La comunicazione alla base del rapporto medico-paziente in Oncologia

Report n. 115/2010    

LA COMUNICAZIONE ALLA BASE DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE IN ONCOLOGIA

L’importanza di una buona pratica comunicativa medico-paziente, viene messa in risalto dal Professor Paolo Marchetti, Ordinario di oncologia medica all’Università “la Sapienza” di Roma. Quante volte, entrando in ambulatorio, abbiamo trovato il medico impegnato in una conversazione telefonica? Sembra banale, ma è proprio quì che inizia anche con una buona capacità di accoglienza, l’istaurarsi di un rapporto profondo con lui e la sua famiglia.

L’enorme aumen­to delle informazioni in on­cologia non è stato accompagnato da una paragonabile crescita culturale nella capacità di trasmetterle, cioè nella capacità di co­municare. Il medico, nel corso della sua carriera professionale, si trova ad affrontare conti­nue relazioni con pazienti, familiari, colleghi, superio­ri.

Alcune di queste interazioni sono difficili sotto diversi punti di vista. Il medico nel corso del suo iter formativo non è addestrato a gestire colloqui in cui si debbano fornire cattive notizie, gestire situazioni con­flittuali in un gruppo di lavoro, discutere con un su­periore di cui non condivi­de scelte cliniche o scegliere Ie. parole migliori per presentare a un paziente Ie diverse opzioni di trattamento. La gestione delle emozioni in un colloquio clinico, in cui si ha un tempo limitato, costituisce un’altra sfida per il medico la cui formazione è centra­ta sugli aspetti tecnici delIa cura.

La comunicazione medi­co-paziente costituisce un’abilità clinica centrale in medicina e uno dei com­piti più frequenti per il cli­nico. E’ stato calcolato che nel corso delIa propria car­riera, un oncologo medico è impegnato in un numero elevatissimo di colloqui con il Paziente od i suoi familiari: tra i 150.000 e i 200.000 in 40 anni di attività!

Numerosi studi hanno dimostrato come una co­municazione efficace ab­bia effetti positivi sull’accu­ratezza nella raccolta dei dati su sintomi ed effetti collaterali, influenzi l’ade­sione al trattamento e alle raccomandazioni terapeuti­che e contribuisca in mo­do significativo al benesse­re emozionale e alla soddisfazione sia del paziente che del medico. Le capacità comunicative non sono innate e oggi sappiamo che esistono me­todi di provata efficacia per insegnare come, quali e quando usarle in modo consapevole e finalizzato a raggiungere il risultato pre­fisso.

Purtroppo, con po­che rare eccezioni in Cen­tri di eccellenza, il percorso, formativo dei medici e, più in particolare degli specialisti, non prevede una specifica formazione in questo settore. In altri Paesi, come la Svizzera, la Germania o l’Inghilterra, la formazione alla comunica­zione è un requisito impre­scindibile per chi vuole la­vorare in oncologia. In Ita­lia, questo aspetto è anco­ra carente, anche se in alcu­ne Università, come nella Facoltà di Medicina e Psi­cologia della Sapienza di Roma, esistono specifici percorsi formativi.

Le abilità di comunica­zione in oncologia non possono essere affidate alla sola sensibilità che ogni buon medico possiede, ma vanno insegnate e apprese attraverso training specifi­ci. Non sono infatti poche Ie difficoltà incontrate dai medici che lavorano in on­cologia, abituati da sempre a minimizzare con il pa­ziente la gravità della ma­lattia.
Uno dei motivi della "menzogna" è la presenza di una certa riluttanza nei medici a comunicare catti­ve notizie per paura di da­re sofferenza.

Ma non solo. Il medico ha paura di far scattare nel malato una rea­zione emozionale violenta e negativa che non si sente in grado di gestire, ma so­prattutto, non conosce Ie tecniche per dire la verità senza distruggere la speran­za. La conoscenza delle corrette modalità di comunicazione aiuta invece a stabilire una conversazione costruttiva tra medico, paziente e fa­miglia, trovando Ie parole giuste per dire tutta la veri­tà che il paziente può rece­pire in ogni momento del­Ia sua malattia.

Roma, 09/12/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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