Cassazione Civile Sent. N. 26518/17 – Danno intra partum – Responsabilità del ginecologo – La Corte di Cassazione ha affermato che in primo luogo va ovviamente escluso che un ospedale pubblico possa essere chiamato a rispondere dell’errore commesso da un medico libero professionista, sol perché ivi siano stati eseguiti gli accertamenti da questo prescritti. Infondata, altresì, è la tesi giuridica sostenuta dai ricorrenti, secondo cui un ospedale, per il solo fatto di essere stato chiamato ad eseguire un esame ecografico, assuma per ciò solo l’obbligo di diagnosi, terapia e cura. La responsabilità deve essere quindi attribuita al ginecologo personale della gestante che avendola seguita durante l’intera gestazione, si sarebbe potuto avvedere con l’ordinaria diligenza della macrosomia del feto, ovvero del rischio di essa, e avrebbe perciò dovuto consigliare alla gestante il parto cesareo.
FATTO E DIRITTO – Il (OMISSIS), nell’Ospedale Civile di Caserta, venne alla luce un bimbo, V.D., che a causa delle difficoltà espulsive insorte durante il parto patì una grave lesione del plesso brachiale destro, con esiti invalidanti permanenti. Adducendo tali fatti, in data che il ricorso non indica i genitori del minore, V.G. ed P.A., dichiarando di agire sia per sé, sia quali rappresentanti ex art. 320 c.c. del figlio minore V.D., convennero dinanzi al Tribunale di Napoli la Regione Campania e la USL n. (OMISSIS) della Regione Campania, in persona del Commissario Liquidatore, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza dei fatti appena descritto. Per quanto in questa sede ancora rileva, gli attori sostennero che la lesione del plesso brachiale patita dal proprio figlio andasse ascritta a colpa dei sanitari dipendenti della ASL convenuta, i quali:(-) non seppero diagnosticare tempestivamente la macrosomia del feto;(-) scelsero di conseguenza di far partorire la donna per via naturale, anziché con parto cesareo. Con sentenza 14 giugno 2006 n. 6902 il Tribunale di Napoli rigettò la domanda. Appellata la sentenza dai soccombenti, la Corte d’appello di Napoli con sentenza 10 aprile 2013 n. 1386 rigettò il gravame. I ricorrenti deducono, al riguardo, che i sanitari al momento del parto si trovarono dinanzi ad una gestante del peso di 100 kg, ed il cui peso era aumentato di 20 kg durante la gestazione: e da tali circostanze avrebbero dovuto prevedere che la donna fosse diabetica, e di conseguenza intuire che, per effetto di questa condizione, il feto dovesse essere di dimensioni e peso tali, da suggerire l’esecuzione del parto cesareo. Nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto che, se i sanitari avessero saputo prevedere la macrosomia del feto, il parto cesareo non si sarebbe potuto comunque eseguire non già con "ragionevole probabilità", ma con certezza: la regola causale è stata dunque correttamente applicata; lo stabilire, poi, se davvero nel caso di specie vi era o non vi era una ragionevole probabilità di esecuzione del parto cesareo, è questione riservata al giudice di merito, e non più discutibile in questa sede. I ricorrenti deducono di avere, in primo grado, allegato che il ginecologo personale della gestante, avendola seguita durante l’intera gestazione, si sarebbe potuto avvedere con l’ordinaria diligenza della macrosomia del feto, ovvero del rischio di essa, e avrebbe perciò dovuto consigliare alla gestante il parto cesareo. Di questa negligenza del ginecologo personale della gestante era tenuta a rispondere la ASL, poiché nell’ospedale da essa gestito erano stati eseguite le ecografie disposte da quel libero professionista. Il Tribunale di Napoli aveva rigettato tale domanda sul presupposto che degli errori d’un medico che abbia agito quale libero professionista non potesse rispondere la ASL. Con l’atto d’appello, gli appellanti avevano denunciato l’erroneità di tale statuizione, e tuttavia la Corte d’appello omise di pronunciarsi su questo motivo di gravame. Il motivo è fondato, nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia. La Corte di Cassazione ha affermato che in primo luogo, va ovviamente escluso che un ospedale pubblico possa essere chiamato a rispondere dell’errore commesso da un medico libero professionista, sol perché ivi siano stati eseguiti gli accertamenti da questo prescritti. Manca, in tal caso, qualsiasi criterio di imputazione all’ospedale dell’operato del sanitario: non quello di cui all’art. 1228 c.c. , non quello di cui all’art. 2049 c.c. , non il principio cuius commoda, eius et incommoda. Infondata, altresì, è la tesi giuridica sostenuta dai ricorrenti, secondo cui un ospedale, per il solo fatto di essere stato chiamato ad eseguire un esame ecografico, assuma per ciò solo l’obbligo di diagnosi, terapia e cura. La richiesta di un esame ecografico impone al debitore (l’ospedale) di eseguire con diligenza il suddetto esame; ma nemmeno la più lata interpretazione dell’art. 1374 c.c. potrebbe condurre ad affermare che, richiesto un esame diagnostico, il personale sanitario che lo esegue assuma l’obbligo di sostituirsi al medico curante, già scelto dal paziente, assumendone tutti gli obblighi e gli oneri. Il massimo esigibile dal medico o dalla struttura specialistica chiamati ad eseguire un esame diagnostico, oltre il dovere di eseguire quest’ultimo con diligenza, è l’obbligo di informare il paziente circa l’emergere di sintomi dubbi od allarmanti: ma nel presente giudizio il profilo di colpa consistito nell’eventuale violazione del diritto della gestante all’informazione non è mai stato tempestivamente prospettato, come già ritenuto dalla Corte d’appello con statuizione passata in giudicato).