Ambulatori di assistenza e cura, servizi socio sanitari per i senza tetto, i rifugiati, le donne, i minori. E ancora, attività di ricerca, di formazione, di promozione della Salute: sono questi i principali compiti dell’INMP, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà.
Uno degli obiettivi è costruire una rete nazionale per la gestione dell’assistenza socio-sanitaria delle popolazioni migranti e delle fasce fragili della popolazione. Assistenza che viene sempre fornita a livello “globale”, con un approccio transculturale, olistico e orientato alla persona.
Per questo, l’INMP non poteva mancare al Convegno “Promozione della Salute e Cooperazione internazionale”, nel quale la FNOMCeO ha voluto riunire, il 4 e 5 ottobre, tutti gli attori, istituzionali e non, della Cooperazione sanitaria.
L’Ufficio Stampa ha dunque rivolto alcune domande al suo Direttore Generale, Concetta Mirisola, che il 5 ottobre parlerà di “cooperazione sanitaria italiana a sostegno dell’azione dei Governi locali”.
Concetta Mirisola, lei è Direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà: un centro di riferimento nazionale per l’assistenza socio-sanitaria alle popolazioni migranti e alle fragilità sociali, nonché per la mediazione transculturale in campo sanitario. In un’ottica generale di riduzione del numero degli Enti pubblici, l’Istituto da lei diretto è invece stato istituito nel 2007 e stabilizzato nel 2012. È questo un chiaro indice dell’importanza della tutela della Salute delle fasce più fragili della popolazione: cosa ci dice, al riguardo?
In un momento particolarmente critico dal punto di vista socio-economico, come quello che stiamo vivendo ormai da alcuni anni, aver compreso e condiviso a livello istituzionale l’importanza di servizi a tutela della salute delle persone fragil, è un segnale molto positivo. E crediamo sia anche un riconoscimento del lavoro svolto quotidianamente dall’INMP sul campo. Le risposte ai bisogni di salute di tutti i cittadini, soprattutto in un contesto di aumento del disagio sociale e del rischio povertà, devono essere tenute al centro della programmazione e dell’erogazione dei servizi. Pur in un quadro generale di tagli alla spesa pubblica, l’Istituto è stato stabilizzato, e questa è la risposta “istituzionale” che crea le condizioni ottimali per la realizzazione di interventi concreti. Interventi che rappresentano una risposta “operativa”, come per esempio quelli di medicina sociale che l’INMP porta avanti dal 2011, fornendo assistenza clinica, anche attraverso l’erogazione di dispositivi medici gratuiti alle fasce deboli, in ambito odontoiatrico, oculistico, o di ginecologia, infettivologia e di salute materno-infantile.
E In che cosa consiste l’attività dell’Istituto da lei diretto?
L’Istituto ha come missione lo sviluppo di sistemi innovativi per il contrasto delle disuguaglianze nell’accesso al Servizio sanitario nazionale e, più in generale, nella tutela della salute. Ci rivolgiamo in particolare – ma non in forma esclusiva – ai gruppi sociali svantaggiati e più fragili, assicurando un alto livello di qualità dei servizi, con un approccio transculturale e orientato alla persona. Garantiamo servizi clinici di assistenza e cura – l’ambulatorio polispecialistico è aperto sette giorni su sette – e servizi socio-sanitari per persone senza dimora, richiedenti protezione internazionale, minori, donne. Lo facciamo anche attraverso il servizio di mediazione transculturale, grazie a una lunga esperienza sul campo e a uno staff di trenta mediatori di diverse nazionalità che, oltre a fornire un supporto linguistico, svolgono un’importante funzione di “interpretariato sociale”.
L’attività dell’Istituto si completa poi con i percorsi di ricerca scientifica, di formazione e di sensibilizzazione e promozione della salute.
Può spiegarci più nei dettagli?
In particolare, la ricerca si sviluppa lungo tre direttrici: ricerca clinica, ricerca su modelli assistenziali e ricerca operazionale nei Paesi in via di sviluppo. La formazione invece è rivolta a tutte le figure socio-sanitarie e si concentra sull’identificazione di modelli di intervento innovativi, in particolare per l’assistenza di base, l’area materno-infantile, la medicina delle migrazioni, la cooperazione internazionale e la salute globale, anche attraverso l’uso di piattaforme tecnologiche (come i percorsi di e-Learning e Teleconsulto) e con rilascio di crediti ECM (dal 2011 l’INMP è provider accreditato dell’Agenas).
Accanto all’attività ambulatoriale, l’INMP è poi impegnato nella realizzazione di progetti finanziati da Enti terzi o fondi e programmi comunitari (CCM, PRP, MAE-DGCS, FEI ecc.), mirati a obiettivi specifici come l’accoglienza a Lampedusa, la medicina sociale, la salute in carcere, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili o il contrasto alle mutilazioni genitali femminili.
Spesso si parla del recidivare di patologie che, nel nostro Paese, erano state pressoché debellate e si additano i migranti come “untori”. È proprio così?
Ancora oggi purtroppo il migrante è considerato “l’untore”, colui cioè che porta le malattie infettive nel nostro Paese, ma le cose non stanno proprio in questi termini. Infatti, in generale, il migrante che arriva sul nostro territorio è in buone condizioni di salute; si tratta del cosiddetto effetto migrante sano, una sorta di selezione naturale all’origine, per cui decide di emigrare chi è in buone condizioni di salute. E questo poiché solo chi è in buona salute è in grado di affrontare un viaggio spesso lungo e difficoltoso e in precarie condizioni, come quello che effettuano molti migranti presenti sul nostro territorio.
Gli immigrati, spesso giovani, sono portatori di un patrimonio di salute che tende a mantenersi nel tempo, nonostante l’esposizione ai numerosi fattori di rischio presenti nel Paese ospite (condizioni di disagio sociale, difficoltà nei processi di integrazione, scarsa accessibilità ai servizi). Tuttavia, spesso si trovano a vivere in condizioni precarie sotto differenti punti di vista, con conseguente abbassamento delle difese immunitarie e aumento della suscettibilità alle infezioni.
L’“untore” quindi non è tanto lo straniero, quanto il sistema che produce disuguaglianza e marginalità, non consentendo ai migranti adeguate condizioni di vita e pari accessibilità alle cure.
È pur vero però che spesso i migranti provengono da Paesi a elevata endemia per alcune infezioni (epatiti virali, HIV, tubercolosi…), meno prevalenti nei Paesi europei ove, oltretutto, nell’ultimo decennio si sta osservando la recrudescenza di patologie cosiddette riemergenti, ovvero quelle malattie per le quali l’incidenza era nettamente diminuita, come la tubercolosi. Ma l’emergenza e riemergenza di malattie infettive è un fenomeno complesso al quale contribuiscono sia i rapidi spostamenti di popolazioni, sia fattori quali i cambiamenti climatici, le modificazioni ambientali e l’evoluzione dei microrganismi patogeni, che acquisiscono maggiore virulenza e capacità di adattarsi a nuove specie.
Proprio in virtù di tali osservazioni, in termini di salute pubblica, appare di cruciale importanza rafforzare il sistema di sorveglianza e garantire un facile accesso alle cure a tutti.
Ci sono, al contrario, malattie endemiche in Europa che sono pericolose per i migranti che vengono a contatto per la prima volta con agenti patogeni per loro sconosciuti?
Il profilo di salute dell’immigrato si sovrappone, in realtà, a quello degli abitanti autoctoni di pari età, seppur influenzato dalle conseguenze delle precarie condizioni di vita, in particolare nella fase iniziale di arrivo nel nostro Paese e durante il percorso migratorio. Gli immigrati si ammalano di malattie comuni o routinarie che sono espressione di un disagio socio-economico e culturale in cui vivono nel nostro Paese: malattie delle alte vie respiratorie – dovute a mancanza di abitazione o ad abitazioni insalubri sovraffollate -, disturbi gastrointestinali causati da un’alimentazione inadeguata, malattie dermatologiche dovute a promiscuità abitativa e carenze igienico-sanitarie, disturbi dell’apparato muscolo scheletrico per i lavori pesanti e la maggiore incidenza degli infortuni sul lavoro. Un’infezione molto temuta e strettamente correlata alle pessime condizioni di vita è la tubercolosi: molti immigrati si ammalano dopo due anni dal loro ingresso in Italia poiché l’estremo disagio sociale in cui sono costretti a vivere, compromettendo il loro stato nutrizionale e indebolendo le loro difese immunitarie, favorisce l’insorgenza della malattia.
È frequente inoltre che i migranti, una volta giunti nel Paese di destinazione, cambino abitudini di vita (come ad esempio i costumi sessuali e il consumo di stupefacenti e alcolici); questi cambiamenti, uniti alla carenza di informazione e di educazione sanitaria, fanno sì che i migranti si trovino maggiormente esposti, ad esempio, alla possibilità di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili.
L’INMP, proprio per questo, ha tra i suoi obiettivi quello di validare e promuovere modelli d’intervento in grado di assicurare il diritto alle salute anche alle fasce più svantaggiate della popolazione italiana e straniera, attraverso un approccio transculturale e orientato alla persona che si fondi anche sulla presenza di figure chiave, non attualmente previste dal SSN, quali il mediatore transculturale esperto in ambito sanitario e l’antropologo.
Autore: Redazione FNOMCeO