Abbiamo fatto le professioni, adesso bisogna fare i professionisti

Gentile Direttore,
sono molto grato alla sua testata per aver ospitato l’interessante discussione sulla “questione medica”.  Una discussione con toni a volte cavallereschi, a volte aspri, ma sicuramente vera. Un confronto, che come ci ha ricordato la collega Marcella Gostinelli (Qs 9 aprile 2019), non interessa solo la professione sanitaria del medico ma anche le altre professioni sanitarie.

Per noi, ultimi arrivati a pieno regime nel sistema, dopo aver costruito negli ultimi 25 anni la professione, è ora di occuparci di fare il professionista e il contesto di riferimento (Grazia Labate, dieci aprile 2019). Ritengo che dobbiamo aver chiaro e condiviso il quadro generale e i principi di fondo.
C’è chi come Marco Ballico (18 marzo 2019) parla di slogan quali “mettere al centro il paziente” che sarebbero distorsivi e riduttivi. Al centro ci dovrebbe essere “la Relazione nella sua essenza più umana e poi tecnica”.

Credo che questo aspetto meriti una riflessione: per il sistema sanitario nel suo complesso, comprese le professioni e il decisore politico, è necessario che si metta, a mio parere, senza riserve al centro la Persona per creare un sistema coerente fondato su quest’ultima intesa come “archè” (Ivan Cavicchi, 2 luglio 2018).

Quando invece si mette in atto il momento della cura, ecco allora che il professionista, anche in equipe, incontra la Persona assistita e diventa centrale “la Relazione di cura”.

Due aspetti diversi che vanno giustamente differenziati. La Relazione di cura fondata su capacità ermeneutica e comprensione umana (Antonio Panti 6 aprile 2010) è fatta da un professionista autonomo che supera i protocolli e le linee guida che stanno garantendo un approccio uguale alla malattia (Ornella Mancin, 10 marzo 2019), appiattendo la medicina e il professionista.

Le linee guida sono importanti, ma diventano decisive, da un punto di vista tecnico, solo per chi occasionalmente si occupa di certe problematiche, mentre è riduttiva per chi vi lavora quotidianamente.

Sappiamo che sono disponibili applicazioni che elaborano diagnosi algoritmiche sempre più attendibili, ma anch’io credo, tornando al più volte citato storico Carlo Ginzburg, che l’insostituibile professionista sanitario debba essere come Sherlock Holmes o Sigmund Freud che, seguendo le tracce lasciate sulla scena del delitto o nella mente, risalgono rispettivamente all’assassino e all’inconscio.

Il professionista non vede la malattia ma vede le tracce lasciate dalla malattia e con la Persona assistita (archè), le interpreta e le condivide.
Facoltà questa peculiare del professionista sanitario, non replicabile da alcuna applicazione, che dovrà entrare stabilmente a far parte del suo bagaglio culturale.

Abbiamo fatto le professioni, adesso dobbiamo far crescere i professionisti in un contesto, anche formativo, rinnovato e coerente con i tempi, per rispondere alle esigenze delle persone e della Persona assistita.

Mauro Gugliucciello 
Fisioterapista  
Già Responsabile stesura e revisione Codice Deontologico dei Fisioterapisti


Lettera pubblicata su QuotidianoSanità

Autore: Redazione

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