Cassazione Penale Sentenza n. 53444/16 – Aborti illegali – Condannato medico – “La decisione impugnata si è posta all’interno del parametro di legittimità ricordato attraverso una puntuale ricostruzione dei termini rilevanti di ciascuna delle vicende esaminate (modalità dell’approccio, mancanza di effettivi margini di trattativa sulla somma pretesa, grave difficoltà psicologica nella quale si trovavano le pazienti, la situazione “necessitata” che le spingeva ad accedere alla richiesta indebita) con la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, così correttamente giustificando l’abuso costrittivo del ricorrente finalizzato alla realizzazione delle remunerative illecite pratiche abortive”.
FATTO E DIRITTO: Con l’ordinanza n. 330/16 il Tribunale di Messina – a seguito di istanza ai sensi dell’art. 309 c.p. proposta nell’interesse dell’indagato (Omissis) avverso la ordinanza emessa il 13.5.16 dal G.I.P. in parziale riforma di detto provvedimento, ha sostituito la predetta misura con quella degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, confermando la gravità indiziaria in relazione alla pratica di aborti illegali eseguiti presso lo studio privato del (Omissis) dirigente medico in servizio presso il reparto di ginecologia dell’Ospedale Papardo, in concorso con (Omissis) dirigente del reparto di anestesia e rianimazione dell’Ospedale Piemonte. Il provvedimento impugnato ha desunto la condotta costrittiva del ricorrente individuando, per ognuna delle vicende passate in disamina, la strumentalizzazione della propria nota posizione in ambito ospedaliero – egli era uno dei due sanitari non obiettori dell’Ospedale Piemonte di (Omissis) presso il quale funzionava un ambulatorio di interruzione volontaria di gravidanza – con la prospettazione di lungaggini nella pratica standard ed ostacoli organizzativi. Il provvedimento ha individuato la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, messa “con le spalle al muro”, atteso che l’alternativa rispetto all’aborto illegale a titolo oneroso era quella di esporsi al rischio – palesato dal ricorrente – di un disvelamento dello stato di gravidanza con conseguente compromissione del rapporto con il partner, di reazioni da parte dei parenti e/o di impossibilità di abortire nel termine legale di 90 giorni. La Corte ritiene che la decisione impugnata si è posta all’interno del parametro di legittimità ricordato attraverso una puntuale ricostruzione dei termini rilevanti di ciascuna delle vicende esaminate (modalità dell’approccio, mancanza di effettivi margini di trattativa sulla somma pretesa, grave difficoltà psicologica nella quale si trovavano le pazienti, la situazione “necessitata” che le spingeva ad accedere alla richiesta indebita) con la radicale compressione della volontà negoziale della vittima, così correttamente giustificando l’abuso costrittivo del ricorrente finalizzato alla realizzazione delle remunerative illecite pratiche abortive. La distinzione tra il delitto di concussione per induzione e quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa e la qualità di pubblico ufficiale concorre solo in via accessoria a condizionare la volontà del soggetto passivo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso