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AIDM, Cappelli: le criticità della professione medica al femminile in Italia e nel mondo

L’approccio alla professione delle nuove generazioni e il problema del tempo. Sono queste le criticità più urgenti da affrontare quando si parla di Medicina al femminile, secondo Ornella Cappelli, presidente dell’Associazione Italiana Donne Medico. Con lei abbiamo approfondito le problematiche della professione “in rosa” a 360 gradi, in Italia come nel resto del mondo.

Presidente Cappelli, nel novembre scorso ha partecipato al Congresso della Medical Women’s International Association del Sud Europa, a Parigi. Un evento che si è concluso con una tavola rotonda sulle criticità della professione al femminile in diversi Paesi. Ci può sintetizzare i temi più importanti emersi in quell’occasione? A livello globale, quali sono oggi le problematiche più ricorrenti tra le donne medico?
È stato un momento di riflessione importante, che ha visto partecipare relatrici da tutti i continenti: c’era la presidente mondiale della WMIA, dal Ghana; la presidente eletta, dalla Corea del Sud; la vice-presidente del Sud Europa, dalla Grecia; le presidenti delle Associazioni Donne Medico di Georgia e Israele; e ancora rappresentanti della professione dal Belgio, dagli Stati Uniti, dalla Francia, oltre a me, naturalmente. Abbiamo cercato di analizzare la situazione delle donne medico nelle diverse realtà mondiali. Il primo problema che è emerso è quello della gravidanza. Innanzitutto, va sottolineato che a livello internazionale ci sono grandissime differenze per quanto riguarda i periodi di congedo, dalle due settimane degli Stati Uniti e del Canada all’anno e oltre di Israele. In questo contesto, devo dire che la situazione italiana è, comunque, molto buona. La discussione è poi proseguita analizzando le difficoltà che incontrano le donne nel fare carriera, come testimoniano le basse percentuali, registrate a livello europeo, di rappresentanti femminili nelle posizioni vitali. Io ho voluto, però, mettere in evidenza un altro problema, ovvero la differenza di prospettiva tra noi donne medico avanti nell’età e nella carriera rispetto alle colleghe più giovani. Le nuove generazioni vedono in maniera molto diversa la professione: sia gli uomini che le donne sono interessati a trovare un bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, sono più indipendenti, oltre che più “tecnologici”, ma hanno anche meno soggezione dell’istituzione. Insomma, la “Generazione X” vede come un semplice lavoro quella che per noi è una missione. Le giovani colleghe vogliono sì far carriera, ma non sono disposte a rinunciare ad avere una famiglia, dei figli. Penso sia necessario, dunque, capire cosa vogliono queste ragazze, perché questo accentua, in qualche modo, le problematiche della femminilizzazione della Medicina. Basti pensare alle maggiori richieste di posti part-time, al rifiuto di fare turni massacranti, ma anche all’orientamento verso branche che permettono una migliore gestione del tempo, ovviamente a discapito di altre. Il sistema sanitario rischia davvero di non farcela a sostenere una simile situazione.

A Parigi lei ha presentato una relazione sulla professione medica al femminile in Italia. Che tipo di scenario si è trovata a descrivere?
Il primo dato che ho evidenziato è ovviamente l’incremento delle donne nella professione medica, un fenomeno che riguarda l’Italia come il resto del mondo. A proposito del problema gravidanza, invece, la relazione sottolinea come le donne medico nel nostro Paese facciano il primo figlio sempre più in là nel tempo, spesso oltre i 35 anni, con tutti i problemi che ne derivano. C’è poi un certo malessere nei confronti di un sistema che sembra “disapprovare” la gravidanza e per questo non vuole concedere alle donne un congedo parentale di uno, due anni. Si crea nelle colleghe quasi un senso di colpa che, devo dire, è tipicamente femminile. Poi non lamentiamoci se i nuovi nati in Italia sono per lo più stranieri…
Per quanto riguarda la scelta delle specialità, ci sono differenze sostanziali tra uomini e donne. In parte ciò è legato ad attitudini di genere, ad un differente approccio alla professione. Le donne sono più orientate alla cura delle persone che non alla tecnologia, per esempio. Ma cercano anche un lavoro che permetta loro di organizzarsi meglio, perciò si dedicano all’attività clinica o alla sanità pubblica. E questo rischia di diventare un grosso limite nel momento in cui le donne diventassero la maggioranza dei medici.
Merita una riflessione anche il discorso della carriera. Non si può non notare che l’organizzazione del lavoro oggi è basata su un modello prettamente maschile. Per fare carriera, ci vuole tempo per fare ricerca, tempo per andare ai convegni, tempo per fare il relatore, tempo per pubblicare. Il problema è che le donne tutto questo tempo non ce l’hanno… E così, alla fine, sono quasi sempre gli uomini a fare più straordinari, ad assumere incarichi aggiuntivi. È un po’ un cane che si morde la coda.
Infine, mi sono soffermata sul già citato problema dell’approccio delle nuove generazioni. Un punto che riguarda sia gli uomini che le donne e che richiederà importanti cambiamenti nell’organizzazione del lavoro.

Alla luce delle criticità che abbiamo appena descritto, come inquadra il ruolo dell’AIDM in questo momento?
Più che “fare”, la nostra Associazione è chiamata a capire come modificare l’organizzazione del lavoro per far collimare le esigenze del sistema sanitario con le richieste dei giovani che si affacciano alla professione. Se il problema fosse solo che l’avanzamento di carriera è troppo legato a criteri maschili, basterebbe cambiare questi criteri. Ma se il problema – sia a livello maschile che femminile – è “non voglio lavorare fino alle 9 di sera”, il discorso cambia. Ci si deve domandare se il sistema può reggere dal punto di vista economico.
Sintomatico, in questo senso, lo scarso interesse per il problema dimostrato dalle più giovani. Alla fine, ad occuparsi di queste tematiche siamo noi colleghe “anziane”, che spesso siamo in pensione. Ma è logico che noi discutiamo della questione partendo da presupposti che non ci sono più. Sarebbe importante, quindi, riuscire a coinvolgere le nuove generazioni in questo discorso, sentire direttamente da loro cosa vogliono, che tipo di richieste, di esigenze hanno.

In concreto, che iniziative avete in programma nei prossimi mesi?
A metà ottobre ci sarà un convegno a Salsomaggiore per celebrare i 90 anni dell’AIDM. In quell’occasione, dedicheremo una sessione di lavoro proprio a questi temi. Ci piacerebbe sentire sia voci autorevoli, come quelle della FNOM, sia qualche giovane medico che esprima un punto di vista personale.

Il sorpasso sui colleghi uomini non è ancora avvenuto, ma i dati e le previsioni ci dicono che nei prossimi anni la professione medica parlerà sempre di più al femminile. La domanda è: una Medicina “in rosa” sotto quali aspetti può essere una Medicina migliore?
Al di là degli aspetti relazionali, quindi della maggiore capacità femminile di “prendersi cura” delle persone, ho l’impressione che le donne siano più abituate all’organizzazione, a lavorare per linee guida, per processi, per obiettivi. Un’attitudine che è sempre più richiesta dal sistema sanitario, così come la maggiore attenzione verso il paziente. Ancora una volta, però, si tratta di un approccio “combinato” alla professione che richiede del tempo per essere messo in pratica. 

Autore: Redazione FNOMCeO

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