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Alimentazione, allergia e intolleranza: il punto di vista di tre società scientifiche

Un fenomeno in aumento quello delle allergie alimentari? O è la percezione del problema ad essere stata sensibilmente alterata negli ultimi anni? Il crescente interesse per le questioni di salute, legate “alla buona ocattiva tavola”, ha trasformato impropriamente un fatto medico-sanitario in un intervento “fai da te”.
I dati dicono che l’epidemiologia dell’allergia alimentare non è chiara ma c’è un generale consenso sulla differenza esistente fra la percezione di allergia alimentare nella popolazione (circa il 20%), rispetto all’incidenza reale del fenomeno, che stima la prevalenza dell’allergia alimentare intorno al 2-4 % della popolazione adulta.
La FNOMCeO ha voluto affrontare questo scenario incerto insieme a tre importanti Società Scientifiche per fare un po’ di chiarezza sulla base di dati scientifici. Èstato elaborato e condiviso un documento che si configura come strumento di conoscenza e analisi del problema.
La redazione Fnomceo in attesa del Convegno di Milano intervista le tre Società di Allergologia e Immunologia Clinica (SIAAIC – Società italiana di Allergologia, Asma e Immunologia clinica, AAITO- Associazione Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri e SIAIP – Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica).

Come nasce questo documento?
L’esigenza del documento spiega Marco Caminati (SIAAIC – Società italiana di Allergologia, Asmae Immunologia clinica) nasce dal bisogno, sempre più urgente negli ultimi anni, di fare chiarezza innanzitutto sulle tipologie di reazioni avverse ad alimenti: dall’ allergia, all’ intolleranza fino all’ipersensibilità. Abbiamo creato insieme a FNOMCeO una strategia condivisa, per medici e professionisti sanitari, per dare orientamenti precisi con un impianto scientifico di alto profilo e con un linguaggio tecnico ma diretto. In questo senso il documento è una specie di guida che ha uno scopo pragmatico: dare strumenti chiari per una corretta attribuibilità dei sintomi. Alla base del nostro lavoro c’è senza dubbio uno sforzo di comunicazione, non solo intesa come revisione sistematica e organizzazione delle diverse tipizzazioni, ma come creazione di un linguaggio comune, e quindi di una cultura condivisa. È infatti necessario provare a scardinare un meccanismo di informazione errato che propone falsi miti: allergie e intolleranze frequentissime? In realtà una parte del problema è legato alle numerose diagnosi eseguite secondo criteri discutibili. Fioriscono test diagnostici alternativi che non hanno alcun valore scientifico e spesso sulla base di risposte, alterate, si costruiscono percorsi di dieta. Ma questo iter non è scevro da rischi. Ricordiamoci che spesso il test non indica il problema.

In campo allergologico – afferma M. Beatrice Bilò (AAITO-Associazione Allergologi Immunologi Territoriali e Ospedalieri) e in particolare sulla tematica della allergia ed intolleranza alimentare, c’è tuttora molta confusione sia nella popolazione generale che nella classe medica. Tale confusione non solo fa riferimento alla terminologia utilizzata, ma anche all’inquadramento di queste patologie, al loro approccio diagnostico e alla loro gestione pratica. L’allergia alimentare è dovuta ad una reazione immunologica mediata dagli anticorpi di tipo IgE che si manifesta con sintomi ben precisi come bolle di orticaria, difficoltà respiratoria, disturbi gastro-intestinali, abbassamento della pressione, fino allo shock anafilattico vero e proprio con perdita di coscienza. Le intolleranze alimentari provocano a volte sintomi simili a quelli delle allergie (di tipo gastrointestinale), ma non sono dovute ad una reazione del sistema immunitario, bensì a meccanismi diversi come ad esempio deficit di specifici enzimi (intolleranza al lattosio). Sotto il termine di intolleranza alimentare vengono invece inclusi dal paziente i sintomi più disparati, che vanno dalla difficoltà di dimagrire a sintomi come vomito, dolori gastrici o addominali che possono essere espressione di malattie gastrointestinali concomitanti (sindrome da intestino irritabile, diverticolite, gastrite, reflusso gastroesofageo) fino ad una avversione psicologica nei confronti di un particolare cibo. A questo da diversi anni fa riscontro una crescente offerta di metodologie diagnostiche non scientificamente corrette e validate, e molto costose per i pazienti. Alcuni esempi sono rappresentati dal test del capello,dal test della forza muscolare, dal Vega test, dal test citotossico per citare solo alcuni dei più diffusi.
Già circa 10 anni fa l’AAITO ha prodotto un documento che metteva in guardia la classe medica sulla inaffidabilità e pericolosità di tali procedure. Negli ultimi anni il problema si è ipertrofizzato, spingendo le Società di settore a collaborare con la FNOMCeO per la produzione di un documento che faccia chiarezza prima di tutto fra i medici non specialisti, per poi arrivare agli altri professionisti della salute e ai pazienti.

Dott.ssa Bilò, i falsi miti legati alle intolleranze alimentari dominano spesso la scena mediatica: è veramente nocivo questo approccio al problema?
La confusione che ruota attorno alle intolleranze alimentari e la diffusione nell’utilizzo dei metodi diagnostici non validati scientificamente di cui sopra sono legate a molteplici fattori, come la sfiducia nella medicina tradizionale, la ricerca di un migliore rapporto medico-paziente, la ricerca di metodi cosiddetti “soft” nella diagnosi e nella cura delle più svariate malattie e, naturalmente, le campagne pubblicitarie su vari canali di informazione che da un lato diffondono allarmismo e dall’altro favoriscono il “fai da te”. I media dovrebbero veicolare messaggi corretti alla popolazione generale e sollecitare i pazienti a rivolgersi al proprio medico curante il quale potrà indirizzarli, anche grazie a questo documento condiviso, dallo specialista allo scopo di ottenere una diagnosi corretta ed un idoneo approccio dietetico.

Studi recenti dicono che sono sempre di più i giovani che ricorrono al “fai da te” e in tema di alimentazione, per esempio, con approcci di tipo restrittivo. Nell’ambito di sua competenza ha mai riscontrato fenomeni analoghi? Esiste un rapporto tra DCA e intolleranze?
La disinformazione– continua M. Beatrice Bilò – è a questo proposito molto dannosa. L’utilizzo indiscriminato di metodiche diagnostiche per le quali non esiste una comprovata validità scientifica, come autodiagnosi da parte del paziente o anche di medici non esperti del settore, può portare non solo ad un danno economico cospicuo per gli stessi pazienti ma anche a gravi ripercussioni sulla loro salute. Ho avuto bambini che, sulla base dell’esito di alcuni test di intolleranza, sono stati sottoposti a diete ristrette che hanno causato loro significativi deficit nutrizionali e dadolescenti, soprattutto giovani donne, nelle quali l’ipotetica intolleranza alimentare con conseguente dieta ristretta ha slatentizzato disturbi molto seri del comportamento. A questo può aggiungersi infine il rischio di un ritardo diagnostico di patologie più gravi perché erroneamente considerate “intolleranze alimentari”.

L’impatto della disinformazione in ambito pediatrico: che ricadute ha in termini di salute del bambino e di allarmismo generale?
Sull’argomento allergie nel bambino c’è molta disinformazione spiega Mauro Calvani  (SIAIP -Società Italiana di Allergologia e Immunologia Pediatrica). Di certo le allergie alimentari sono aumentate negli ultimi decenni, ma oltre all’aumento reale vi è un timore di essere affetto da una allergia alimentare ancora più diffuso e spesso ingiustificato. Ovvero molte persone attribuiscono i sintomi più disparati ad improbabili allergie o intolleranze alimentari e in questo vengono talora assecondate da medici poco preparati sull’argomento o peggio talora in mala fede, dato che impiegano test diagnostici non validati, o frequentemente già dichiaratamente riconosciuti inefficaci, e non ultimo spesso costosi. In questo alcuni media generalisti hanno la colpa di non scegliere bene gli esperti da intervistare, individuabili facilmente nell’ambito delle società scientifiche nazionali di immunologia o allergologia dell’adulto o pediatriche. Pertanto a volte capita di sentire alla televisione o alla radio affermazioni assolutamente scorrette che contribuiscono a diffondere allarme e ingigantire un problema che è già grande di per sé. L’impatto dei media sulla popolazione è assolutamente importante: qualunque affermazione venga fatta viene ritenuta attendibile, pur se non lo è.

Le conseguenze più importanti della disinformazione:

a) creare molta paura nei confronti di alcuni alimenti (ad esempio le fragole e la cioccolata) di per se assai raramente causa di allergie nel bambino

b) creare dei falsi allergici, che per questo hanno una dieta più ristretta e spesso incompleta, con potenziali rischi sull’accrescimento e sulla salute, oltreché più costosa per i genitori, cosa di certo importante in un periodo come l’attuale di ristrettezze economiche

c) sottovalutare o non inquadrare correttamente i veri allergici, che invece poi rischiano reazioni assai gravi e talora mortali, se esposti di nuovo all’alimento allergizzante

La FNOMCEO, in collaborazione con le società scientifiche più accreditate sull’argomento proprio al fine di un corretto inquadramento diagnostico e di chiarire quali sono i quadri clinici attribuibili ad una allergia/intolleranza alimentare e quali i test diagnostici da effettuare nei diversi quadri clinici, si è fatta di recente promotrice della pubblicazione di questo opuscolo che sarà inviato a tutti i medici italiani e pubblicizzato attraverso convegni e media.

Dott. Calvani, oggi si fa ancora confusione tra allergia e intolleranza nei bambini?
Assolutamente si. Infatti già da diversi anni le società scientifiche hanno stabilito che devono essere definite allergie tutti quei quadri clinici (malattie) che si verificano a causa di un meccanismo immunologico (quali ad esempio le allergie alimentari IgE mediate che possono portare a reazioni potenzialmente mortali quali la anafilassi) mentre sono da definirsi intolleranze solo quei quadri clinici che si verificano a causa ad esempio di una mal digestione,come ad esempio la intolleranza al lattosio o per meccanismo farmacologici legati alla presenza in alcuni alimenti di sostanze, quali ad es la tiramina o agli additivi. Mentre l’intolleranza al lattosio è piuttosto frequente anche in età pediatrica, le altre sono molto meno frequenti. Ma il problema più grande è legato al fatto che alle intolleranze alimentari vengono attribuiti i quadri clinici più disparati, come la cefalea o l’obesità, che invece assai raramente riconoscono una causa nella alimentazione. E tutto questo grazie all’impiego di numerosi test diagnostici non validati o più frequentemente già studiati e dimostrati inefficaci ai fini diagnostici, quali ad esempio l’analisi del capello, il test citotossico, la biorisonanza, il pulse test…

E secondo un quadro clinico le allergie in età pediatrica sono in aumento? Ci sono dati sommersi?
Le allergie alimentari, come tutte le malattie allergiche, sono aumentate negli ultimi decenni. L’età pediatrica è particolarmente interessata in questo aumento, in quanto i bambini, in specie quelli dei primi anni divita, soffrono di allergie alimentari molto di più degli adulti. Si stima che circa il 10% della popolazionepediatrica e circa il 4,5% della popolazione adulta soffra di allergie alimentari. Ci sono molti studi epidemiologici effettuati su popolazioni numerose e in diversi paesi europei, che lo dimostrano. Con il crescere per fortuna la gran parte dei bambini tende a guarire e quindi a sviluppare la tolleranza verso diversi alimenti comuni, quali ad es. il latte e l’uovo, ma alcuni continuano a soffrirne anche in età adolescenziale o addirittura nell’adulto. Altre allergie alimentari, come quelle per le noci o i semi o i crostacei invece iniziano più tardi, dopo i primi anni di vita, e guariscono più con difficoltà. Queste in particolare sono in grado di determinare reazioni molto gravi. Certamente gli studi epidemiologici sono difficili da farsi e per questo non sono numerosi. E’ possibile che nuovi studi possano contribuire a chiarire meglio l’importanza e la diffusione delle allergie alimentari.

Etichettatura degli alimenti eallergie: un rapporto critico. Esiste un Regolamento europeo, ma la sua applicazione è soddisfacente o ci sono ancora disfunzioni del sistema?
Dalla fine del 2011 anche in Italia – continua Calvani – è entrata in vigore la normativa Europea relativa alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. In particolare per quanto riguarda le allergie alimentari obbliga ad esporre chiaramente l’elenco degli ingredienti contenuti negli alimenti destinati al consumatore finale, con particolare riferimento alle sostanze che provocano allergie o intolleranze,quali le arachidi, il latte, la senape, il pesce, i cereali contenenti glutine,cereali, crostacei, uova, soia, sedano, senape, lupini, molluschi. Chiaramente questo ha costituito un grosso passo avanti per gli allergici, che riescono con più facilità a individuare gli alimenti per loro pericolosi. D’altra parte però esistono numerosi altri alimenti in grado di dare allergie alimentari, e per iquali non esiste l’obbligo di dichiararli e comunque rimangono esclusi dalla norma gli alimenti pre confezionati nei supermercati per la “vendita diretta”,come ad esempio le carni, i formaggi o i salumi che la grande distribuzione vende avvolta nel cellophane accanto agli alimenti confezionati che invece riportano tutte le informazioni, con il conseguente evidente rischio per i consumatori.

Autore: Redazione FNOMCeO

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