1) Quali sono le principali strategie argomentative applicate per costruire le bufale?
Notizie infondate si forgiano e diffondono attraverso molti meccanismi. Una parte importante la giocano i nostri pregiudizi, le nostre credenze, quello che crediamo di sapere, che ci fanno leggere la realta’ in maniera selettiva. Se riteniamo credibili complotti intergalattici capitanati da una poco identificabile ma onnipresente Spectre, ci convinceremo che le scie bianche lasciate dagli aerei nei cieli non siano semplici manifestazioni di condensa, ma la prova che i templari ci vogliono avvelenare (chissa’ poi perche’). Un po’ come “sapere” che c’e’ molto ferro negli spinaci: ce n’e’ un po’, poco, ma trangugiare quel fogliame viscido e verdastro non ci fa diventare forti come Popeye. La scienza procede per probabilita’ e falsificazioni. I suoi meccanismi sono lenti e rigidi, i risultati dopo lungo percorso sono spesso solidi, ma all’inizio sono inficiati da possibili errori di stima o di interpretazione. Questi possibili errori sono amplificati dalla tendenza di giornalisti, medici e scienziati a promulgare, spesso, ma non sempre in buona fede, ricette immediate e di facile comprensione.
La disinformazione da parte dei mass media può essere operata anche senza alcun intento di ingannare, per esempio in tutti quei casi in cui si susseguono rapidamente le correzioni delle notizie, che si disvelano inevitabilmente a poco a poco. Proprio come nella cronaca di una partita di calcio in cui il risultato cambia spesso; se ci fermassimo ad ogni dato punto avremmo un’informazione errata del risultato finale della partita. A titolo d’esempio, un’emittente televisiva riportò tempo fa che una famiglia di quattro persone venne ritrovata morta in casa, la sera stessa dopo aver mangiato in un ristorante cinese. Pochi giorni dopo, seguì una rettifica che precisava che le tragiche morti erano state provocate in realtà dal malfunzionamento di una caldaia. Dopo qualche tempo, lo sfortunato titolare del ristorante cinese fu costretto comunque a chiudere il locale, nel quale nessuno arrischiava di avventurarsi, perché “non si sa mai”.
Gabriel Garcìa Màrquez scriveva nel romanzo “Memoria delle mie puttane tristi”: “…come i fatti reali si dimenticano, alcuni che non si sono mai prodotti possono anche inserirsi tra i ricordi come se fossero stati”. Questi falsi ricordi possono essere causati da errori di memoria relativi al monitoraggio della fonte d’informazione, in quanto, dal momento che l’informazione e la sua fonte possono essere ricordate in maniera separata, ci si può ricordare della suddetta informazione ma non della fonte dalla quale l’abbiamo appresa, finendo per attribuirla ad una fonte sbagliata (che ha trattato lo stesso tema, addirittura sostenendo il contrario); per esempio possiamo credere erroneamente che sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad allertare sui rischi dei vaccini.
I social network e il web ci danno l’illusione di sapere. Per cui gli effetti “bufala” sono ora moltiplicati dal loro uso, in cui fonti d’informazioni affidabili si confondono con l’anedottica. Il rumore di fondo che si fa certezza diventa difficile da incanalare in discussioni fattive. Per cui gruppi di persone ben intenzionate e di sani principi, ancora oggi sostengono metodi di cura improbabili per malattie anche gravi, come per esempio la Cura Di Bella per il cancro, sostenuta sul blog di Grillo, che e’ molto seguito. Questo si deve anche alla difficolta’ che il pubblico ha oggi nel districarsi tra fonti scientifiche qualificate e la miriade di pubblicazioni pseudoscientifiche o interventi in convegni a pagamento volti solo a vellicare la vanita’ dei partecipanti, senza alcun valore scientifico. Io stesso posso vantare l’accettazione di una presentazione orale in cui avrei declamato la versione inglese della Vispa Teresa. Dopo aver accettato la mia proposta, gli organizzatori mi hanno comunicato che dato il prestigio della mia scoperta, ero anche invitato a presiedere un’intera sessione del convegno (a fronte di un modesto pagamento aggiuntivo). Non ho accettato. Ma molti accettano. E il pubblico, in buona fede, non sa che si tratta di truffe perché è molto difficile distinguere tra congressi veri e farlocchi.
Le post-verità pero’ non le crea il web, ma chi vi scrive e le diffonde. Esattamente come i giornali o la televisione. Il web può essere fonte di conoscenza, di libertà, di emancipazione, è un mezzo, come tale si deve imparare ad usarlo ed a conoscerne limiti e prerogative.
La televisione e’ certamente un modo di diffusione delle affermazioni pseudoscientifiche. In particolare, per la tendenza a trasformare l’informazione in un’arena in cui si confrontano due opinioni, indipendentemente dal peso relativo e dalle basi evidenziali su cui queste opinioni poggiano. Se la stragrande maggioranza della comunita’ scientifica internazionale e’ favorevole alla vaccinazione di massa, gli organizzatori dei talk show televisivi vanno alla ricerca di una seconda opinione! Questa modalita’ di presentare informazione favorisce la personalizzazione della discussione, e la riduce ad un duello tipo Orazi e Curiazi scandito da tifo calcistico. Le bufale trovano terreno fertile ed acquisiscono dignita’ dibattimentale.
Spesso la bufale non si diffondono per mezzo di strategie. David Dunnig, commentando i risultati dei suoi esperimenti che dimostrano come siano proprio le persone incompetenti che ritengono di sapere più di quanto sappiano in effetti, afferma che cio’ che stupisce è che, spesso, l’incompetenza non rende le persone disorientate o perplesse, o caute. Al contrario, gli incompetenti dimostrano un’ inappropriata confidenza in se stessi, sostenuta da quello che pare loro conoscenza. E le notizie prive di fondamento si diffondono.
2) Come -e se – è possibile scardinare i meccanismi di persuasione?
Come dice la Regina di Cuori del Paese delle Meraviglie, tutti noi crediamo ad almeno sei cose improbabili prima di colazione. Tutti sono soggetti a false credenze, false memorie, anche gli scienziati, anch’io
“Mud sticks” dicono gli inglesi per sottolineare come le persone continuino a prestare fede a qualcosa di sbagliato, nonostante siano consapevoli della sua infondatezza. È difficile cancellare qualcosa dalla memoria: le tracce di informazioni anche sbagliate che influenzano i nostri pensieri, nonché le nostre azioni, perdurano. Quindi, informazioni rivelatesi poi scorrette, benché riconosciute dalla persona in quanto tali, continuano ad influenzarne il ragionamento. In ragione di una persistenza così tenace, l’esposizione ai fatti, seppur con le migliori intenzioni, non rappresenta necessariamente un’efficace soluzione. Non solo i fatti non hanno sempre il potere di modificare la nostra posizione su un argomento, ma possono indurre paradossalmente le persone a trincerarsi ancor più nelle loro convinzioni.
In uno studio recente abbiamo dimostrato come persone esposte ad informazioni pro vaccinazioni ne comprendessero il contenuto, ma a distanza di una settimana le ricordassero distorte. Per esempio, le informazioni loro fornite spiegavano come non fosse vero che le vaccinazioni causassero l’autismo, e come questo fosse sostenuto da fonti autorevoli. A distanza di una settimana pero’ le persone ricordavano la connessione tra vaccini ed autismo, e quindi il potenziale pericolo, ed addirittura ne attribuivano la fonte alle autorita’ sanitarie che affermavano il contrario!
L’unico meccanismo di difesa che abbiamo e’ quello di dotarci di regole esterne a noi, alla nostra percezione, al nostro sistema di credenza. Lo scetticismo deve promuovere una societa’ che basa le sue scelte sulle evidenze, piuttosto che sulle opinioni. Che cosa sia definibile “evidenza” deve essere deciso a priori, e concordato. Questo sistema potrebbe permetterci di evitare di reagire emotivamente ad ogni aneddoto, e di operare, invece, scelte condivise.
Non e’ una battaglia. Dobbiamo pero’ saper distinguere tra pubblicita’ e scienza, tra opinioni e fatti, tra vantaggi economici e principi ideali. C’e’ differenza tra linguaggio semplice e linguaggio semplicistico. Le persone devono essere messe in grado di apprezzare la complessita’, sento spesso la frase “non sono un esperto pero’…”, ecco il “pero’” e’ talvolta un problema. Il rimedio migliore e’ un percorso scolastico che insegni il senso critico, il ragionamento logico, l’approccio probabilistico; meno contenuti ma piu’ profondi.
Matteo Renzi, durante le primarie del PD cortesemente accetto’ di rispondere alle nostre domande sul rapporto tra politica e scienza. Il suo atteggiamento ben rappresenta il sentire comune. Alla domanda “Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN? Rispose “….sono quelle pratiche e tecniche naturali e bioenergetiche esercitate per favorire il raggiungimento, il miglioramento o la conservazione del benessere complessivo della persona.” Lapalissiano come un’affermazione del compianto Massimo Catalano: e’ meglio star bene che star male! Purtroppo naturali sono anche i veleni, le malattie e le catastrofi, quindi “naturale” non e’ necessariamente sinonimo di “benessere”. Cosa c’e’ di peggio del senso comune?
3) Secondo lei – nel contesto medico-paziente- che equilibrio c’è tra verità – credenza e mitigazione dal punto di vista cognitivo e linguistico?
Il concetto di Post-verità, mutuato dalle scienza politiche, ha fatto irruzione nel dibattito sulle pseudoscienze mediche. Ne e’ derivata una maggiore consapevolezza che noi medici dobbiamo farci carico di fornire una informazione sanitaria basata sulle evidenze e contrastare notizie infondate.
Ma un buon comunicatore sa che i suoi tentativi di correggere credenze profondamente radicate, per quanto ben intenzionati e formalmente corretti, sono destinati a fallire fin dall’inizio se inizia la sua informazione sottolineando come gli interlocutori siano in errore. La conseguenza più probabile di una simile condotta sarà un atteggiamento difensivo e di chiusura di fronte alle argomentazioni proposte. Una strategia più promettente nel far recedere qualcuno dalle sue convinzioni risiede invece nel presentare, ove possibile, il messaggio che si vuole trasmettere cercando di renderlo meno ostile rispetto alla visione del mondo degli interlocutori ed abbinandolo a momenti di cosiddetta auto-affermazione tenendo in considerazione le loro opinion e preferenze. Uno studio di Cohen e colleghi ha dimostrato come la resistenza ad accettare visioni diverse dalle proprie possa essere allentata allorquando si offre loro l’opportunità di spiegare perché una determinata caratteristica personale o comportamento è così importante per loro. Così, le persone non sentiranno la propria immagine intaccata e saranno più ricettive verso contro-argomenti che altrimenti potrebbero minacciare e paradossalmente rafforzare le proprie credenze.
4) Cosa sbaglia a suo avviso la comunicazione istituzionale nel trattare questi temi?
E’ un tema complesso, che non si puo’ risolvere in pochi minuti e con poche parole; inoltre ci sono anche molte iniziative istituzionali ben pensate e fruttuose. Mi limitero’ ad indicare alcuni possibili fonti di errori che la comunicazione istituzionale compie: accettare la dicotomia ufficiale/alternativo come base di discussione. Non risolvere le ambiguità tra comunicazione e fatti.
In uno studio che abbiamo appena concluso, abbiamo dimostrato come le persone prediligano l’ affidabilità percepita delle fonti, considerate oneste, integre e fidate, piuttosto che la loro credibilità istituzionale, cioè dotate di conoscenze ufficiali, di abilita’ tecniche e di esperienza specifica. Il che spiega anche perchè molti si fidano di affermazioni fatte da celebrità che ammirano o da politici con le cui posizioni si trovano in sintonia. Quando Trump reiterò la connessione tra vaccini ed autismo, molti repubblicani si dissero d’accordo, i democratici lo sbeffeggiarono. L’opposto sarebbe successo a personaggi invertiti. Il miglior comunicatore quindi dovrebbe essere sia esperto che percepito come affidabile dalle persone cui si rivolge.
Molti ritengono le istituzioni al traino di grossi interessi. Anche se questa generalizzazione e’ sciatta e fallace, non dovremmo comunque fare l’errore di generalizzare al contrario. Casi di evidente disinformazione sono operati da multinazionali. Le grandi aziende produttrici di tabacco, hanno usato per anni la strategia di far credere che non vi fosse certezza sui danni da fumo, che questi fossero ancora fonte di dibattito, che gli scienziati e i clinici non avessero un’opinione univoca. Per suffragare l’idea che i rischi da fumo fossero ancora oggetto di studio, hanno ideato campagne pubblicitarie distraenti che hanno goduto di ampi spazi sui mezzi di comunicazione, nonché profumatamente finanziato ricerche che servissero da specchio per le allodole, con la complicità di scienziati consenzienti (e spesso prezzolati). Evidenti conflitti di interesse si riscontrano anche nel caso della Coca-Cola, che ha contributo a finanziare delle ricerche sull’obesità e i problemi ad essa legati, con lo scopo di promuovere l’idea secondo cui l’obesità epidemica nelle popolazioni occidentali non sia dovuta all’eccessivo apporto calorico dell’alimentazione, quanto esclusivamente alla mancanza di attività fisica. L’indignazione degli ambienti medici rispetto a questo tentativo di plasmare la ricerca a proprio favore è ben sintetizzata dalle parole di Simon Capewell, che in un’intervista alla BBC ha affermato che: “affidare la ricerca sull’obesità alle industrie alimentari è come affidare a Dracula la banca del sangue”.
Una questione di dati “massaggiati” per interessi privati si riscontra anche nel caso delle industrie di farmaci omeopatici, che fanno guadagni miliardari vendendo trattamenti il cui effetto è paragonabile al placebo. Lo stesso meccanismo si riscontra nel caso molti prodotti di non provata efficacia distribuiti da case farmaceutiche e talvolta acriticamente accettati e prescritti da noi medici. Non esiste una medicina ufficiale ed una alternativa o complementare. Esitono terapie suffragate da dati empirici solidi e replicati, ed altre basate sul marketing e la connivenza. La nostra scelta di campo dovrebbe sempre essere guidata dall’esistenza di dati affidabili.
Taluni di noi arrivano ad affermare che sarebbe necessario certificare quali fonti siano attendibili e quali no, aumentando i filtri, implicitamente riconoscendo le nostre come attendibili. Ritengo che il confine tra notizia errata e censura sia troppo sottile per essere evaso con provvedimenti draconiani. Abbiamo bisogno di piu’ cultura, non di una cultura del sospetto.
Inoltre, questo atteggiamento colonizzante della “verità” ci espone alla critiche di chi non si fida: l’accademia e la medicina sono state rappresentate ai vertici piu’ alti anche da persone poco competenti, le carriere talvolta seguono il flusso di un familismo amorale che umilia il merito, esistono troppi conflitti d’interesse irrisolti, mostriamo troppe ambiguità.
Ci lamentiamo che la verità di cui ci immaginiamo detentori sia storpiata da giornalisti in cerca di sensazionalismi, ma e’ dimostrata la stretta correlazione tra il tono dei nostri comunicati stampa accademici e il modo in cui le notizie mediche vengono riportate dai media.
Basti considerare che l’Ordine dei Medici ammette la pratica di terapie di non provata efficacia, come l’Omeopatia. Con che autorita’ poi possiamo contrastare il mercato dei farmaci di non provata efficacia o confutare le pericolose affermazioni degli anti vaccinisti? Il controargomento che sento spesso afferma piu’ o meno cosi’: “Si’, all’Ordine sappiamo che si tratta di terapie di non provata efficacia, ma proprio per questo e’ preferibile che siano medici a prescriverle e quindi controllarne gli effetti piuttosto che praticoni senza laurea”. Che e’ un po’ come affermare che “Si’, rubare nei supermercati e’ da condannare, ma meglio che lo facciano persone per bene, piuttosto che ladri di professione”.
Per essere visti come fonte affidabile di informazione dovremmo ridurre al minimo le nostre ambiguita’ fattuali.
5) Quali sono le caratteristiche del metodo antibufale e soprattutto le scelte di linguaggio? C’è qualcosa di sproporzionato- secondo lei- tra le aspettative e i bisogni dei cittadini e le risposte di chi si occupa di debunking?
E’ importante capire non solo cosa la gente pensa, ma come pensa. In situazioni di scelta rischiosa, è stata osservata la tendenza sistematica ad operare scelte che implicano l’omissione piuttosto che l’azione concreta, anche quando l’omissione espone a rischi maggiori. Ritov e Barton, nel loro studio pubblicato nel 1990 sul Journal of Behavioral Decision Making, furono i primi ad osservare sperimentalmente questo fenomeno: i partecipanti dovevano decidere se vaccinare o meno i loro figli contro un’ipotetica epidemia che aveva effetti letali, sapendo che anche il supposto vaccino esponeva ad un rischio, ma nettamente inferiore. I partecipanti a questo esperimento tendevano a preferire l’omissione, decidendo quindi di non vaccinare il loro bambino, sebbene così facendo il rischio di morte fosse più elevato.
Spesso la comunicazione “anti-bufale” parte dal presupposto che esista una verità, e che noi ne siamo i detentori. Quindi ne diffondiamo il verbo e ci crogioliamo nel numero di persone che accedono ai nostri siti. E’ possibile però che noi agiamo entro camere dell’eco, bolle mediatiche, in cui persone che la pensano già come noi, consolidano le loro credenze. Otteniamo così l’opposto di quanto ci prefiggiamo: alieniamo proprio quegli utenti, che invece sono molto scettici sulla medicina ufficiale, ed a cui vorremmo parlare.
Il modello del “Deficit di informazione”, secondo i cui dettami gli errori terapeutici che le persone commettono sono dovuti a carenza di informazione (quindi forniamo corretta informazione e risolviamo il problema) ha fallito: anche in presenza di informazioni ritenute corrette le persone raramente modificano le loro credenze o i loro comportamenti. Quando una persona ottiene un’informazione ne costruisce un “modello mentale”. Se noi le diciamo che parte di questo modello è falso, le risultera’ difficile costruire un modello mentale che abbia un “buco”. La gente preferisce un modello errato ad uno incompleto. C’è, paradossalmente, il rischio di rafforzare un mito semplicemente parlandone. Qualora la correzione sfidi delle credenze profondamente radicate, le persone possono reagire incrementando la propria fede nel concetto infondato. Per esempio, quando si dice a un Repubblicano che non sono state trovate armi di distruzione di massa in Iraq nel 2003, è molto probabile che questi creda esattamente il contrario; allo stesso tempo la probabilità che una persona che teme effetti collaterali dei vaccini faccia vaccinare diminuisce più gli viene detto quanto siano innocui.
“Una persona con una convinzione è una persona difficile da cambiare. Ditele che siete in disaccordo con lei, e se ne andrà. Mostrategli fatti e numeri, e metterà in discussione le vostre fonti. Fate ricorso alla logica, e non sarà in grado di capire il vostro punto di vista”. Con queste parole, nel 1956, Leon Festinger propose il concetto di “dissonanza cognitiva”, un meccanismo di cui è dotata la nostra mente per cui la consapevolezza dell’incoerenza tra i nostri atteggiamenti e/o credenze darebbe origine, per l’appunto, ad una sensazione di dissonanza, di mancanza di armonia. Per ridurre tale dissonanza, le persone possono attivare diverse strategie cognitive, come quella di evitare o rifiutare le informazioni dissonanti. Nel caso dei vaccini, ad esempio, un genitore che non crede nei vaccini e non ha vaccinato i suoi figli, per proteggere le proprie radicate credenze e giustificare i suoi comportamenti, tenderà a rifiutare qualsiasi evidenza sull’utilità dei vaccini. Ragioniamo quindi sulla base di pregiudizi.
Per quanto ci dispiaccia ammetterlo, non siamo esseri razionali.
Intervista a Sergio Della Sala
Docente di Human Cognitive Neuroscience,
University of Edinburgh
Presidente Cicap
Componente Tavolo “anti-bufale” FNOMCeO
Su Torino Medica- Maggio
Festival Tv e Nuovi Media 2017
Autore: Redazione FNOMCeO