• Home
  • Archivio
  • Alla ricerca della salute globale: incontro ravvicinato con Medici Senza Frontiere

Alla ricerca della salute globale: incontro ravvicinato con Medici Senza Frontiere

Viviamo oggi in una società complessa e articolata che a fronte di aspetti di grande coesione e unitarietà, (desiderio di pace, libertà, sicurezza, giustizia sociale), presenta aspetti di evidenti divisioni (diversità di culture, rivalità) soprattutto, ed è l’aspetto che più ci interessa in questa sede, sul piano della tutela della salute.
Nel maggio scorso la Federazione degli Ordini ha tenuto a Padova, in collaborazione con l’Ordine provinciale, un convegno dedicato alla salute globale sul tema “La cooperazione sanitaria internazionale, il volontariato della società civile, gli Ordini professionali”.

In quell’occasione il Presidente della FNOMCeO Amedeo Bianco tenne a sottolineare come la salute sia un bene indivisibile e come la comunità medica, ma anche tutti coloro che hanno il compito di produrre cultura, formazione e ricerca, hanno il dovere di affrontare in modo sistematico i temi dell’equità, dell’accesso alle cure, della difesa della dignità e della vita umana.

Da parte sua il Vicepresidente della Fnomceo e presidente OMCEO di Padova, Maurizio Benato, a conclusione del suo intervento affermò : “la professione medica dovrebbe sostenere e salvaguardare le forme e le capacità gestionali di organismi di volontariato esistenti che rispondono a criteri di efficienza e di efficacia ùe soprattutto al diritto di cittadinanza rappresentato dalla salute”.

Riallacciandoci a questi concetti abbiamo rivolto l’attenzione verso quelle associazioni la cui mission è portare soccorso sanitario alle popolazioni in situazioni di emergenza a causa di conflitti, calamità naturali, epidemie.

“Medici Senza Frontiere” non ha bisogno di presentazione, rappresentando da anni una delle più importanti realtà internazionali nel campo dell’assistenza sanitaria alle popolazioni in pericolo.
Nata nel 1971 per iniziativa di alcuni medici reduci dal Biafra i quali, impressionati dal genocidio messo in atto in quei territori, decisero di fondare un’organizzazione medica d’urgenza, non governativa, libera, neutrale e imparziale, per portare soccorso nelle zone meno fortunate del mondo.

In Italia Medici senza Frontiere viene istituita nel 1993 e da allora partecipa attivamente alle varie missioni umanitarie rivendicando, con il diritto all’assistenza sanitaria, la garanzia della piena libertà di svolgere la propria mission.
Per conoscere più da vicino MSF, ma soprattutto per fornire elementi utili a quanti volessero avvicinarsi a questa realtà, abbiamo posto alcune domande a Ettore Mazzanti, Active Recruiter Risorse Umane Terreno di Medici Senza Frontiere Italia


Dottor Mazzanti è possibile fare un consuntivo, sia pure approssimativo, di quanti medici italiani fino ad oggi hanno prestato la loro opera all’insegna di MSF? E in quali Paesi?


A tutt’oggi dallìItalia sono partiti con Medici Senza Frontiere più di 120 medici con differenti background professionali .
Nei più svariati contesti disseminati su tutto il globo terracqueo si sono occupati di accesso alla salute primaria, programmi di salute materno-infantile, risposte ad epidemici acuti e cronici (non solo tropicali, emergenze susseguenti a catastrofi naturali, situazioni di conflitto o di popolazione sfollata/rifugiata, prevenzione, salute mentale, MTS , riabilitazione, violenza di genere…
La mediana dell’età degli Operatori Umanitari medico-chirurghi è leggermente inferiore ad anni 40.


Questo tipo di esperienza, soprattutto da parte dei più giovani, come viene vissuta? Solo come un’opportunità di lavoro o esistono anche altre motivazioni che esulano dal mero interesse professionale?


Per poter partire con Medici Senza Frontiere bisogna già possedere una professionalità acquisita, questo a sottolineare la volontà di proseguire ad erogare una azione medica di qualità. Non ci si può improvvisare benché i contesti e gli scenari di intervento siano drammaticamente diversi dagli standard occidentali in cui siamo soliti lavorare. Molto spesso ci si può avvalere unicamente di una diagnostica per immagini e laboratoristica basica. In queste situazioni trova risalto assoluto la pura semeiotica per poter impostare un’appropriata terapia. Difficilmente nella nostra realtà italiana abbiamo candidature di medici che decidono di partire con Medici Senza Frontiere perché privi di un’occupazione stabile. Direi piuttosto che il problema è inversamente rappresentato, ovvero il lasciare transitoriamente un’occupazione stabile presenta una serie di ostacoli non solo di natura amministrativa-burocratica.
Sottesa alla scelta di agire con MSF rimane a tutt’oggi la volontà di esprimere la propria professionalità in contesti in cui l’accesso alle cure, alla salute, alla dignità di vita è precario o assente, o dove milioni di persone debbono quotidianamente confrontarsi con esperienze di soprusi e mancato riconoscimento come persone umane. L’aver scelto di essere “strumento in funzione degli altri, trova verosimilmente nei Paesi in cui MSF opera una concreta modalità di rinforzare e sottolineare il mandato professionale a cui si è aderito.


Che tipo di rapporti, anche dal punto di vista professionale, si instaurano in ambienti dove prevale la sofferenza?


Uno degli aspetti salienti nelle missioni MSF è che si agisce in team. Sembrerà scontato o finanche retorico è però vero che solo in alcuni specifici contesti del nostro agire professionale in Italia possiamo affermare che questo accada. Tra l’altro, sempre in linea con il mandato professionale medico, nei Paesi in cui operiamo viene richiesto a chi parte con noi una buona attitudine ad educare. Educare nel senso etimologico primo: ex ducere, trarre fuori dalle persone dello staff locale – risorsa insostituibile che con noi presta assistenza medica – il potenziale presente perché possano poi in modo autonomo proseguire le attività sanitarie. La nostra presenza nel contesto di MSF non è per sempre e terminata l’emergenza o la privazione all’accesso alla salute, siamo un po’ più rasserenati nel lasciare quel preciso scenario poiché avremo trasmesso competenze e consapevolezza in chi ivi rimane. Il lavoro di squadra è un riconsiderare il nostro ruolo di professionisti sanitari svestendo gli abiti impropri di superiorità o competizione, rinvigorendo il lato umano e di relazione all’altro (non solo paziente ) che è intrinseco alla professione. Le fatiche e le delusioni fanno ovviamente parte del “vissuto” nelle missioni di MSF. Emozioni che vengono ammortizzate e assottigliate grazie alla condivisione con i vari attori del team con cui agiamo e con cui è estremamente premiante e gioioso condividere anche gli innumerevoli traguardi raggiunti. In situazioni disarmanti, ove non abbiamo più strumenti tecnici o molecole opportune a disposizione da poter utilizzare, il fatto di essere lì a fianco di chi è immerso nel soffrire angoscioso (chiamasi prossimità) fa la differenza e testimonia la volontà di cum-patire, come accade anche qui in Italia nei nostri ospedali ed ambulatori.



Quali consigli si sente di dare a quei colleghi che volessero offrire il proprio contributo a MSF?


Mi piacerebbe dichiarare che non ce n’è più bisogno, che “siamo a posto”. Mi piacerebbe – ma non posso. Non corrisponde al vero.
Allora in modalità più oggettiva suggerisco a coloro che dentro di sé si sono interrogati e hanno sentito accendersi il desiderio di poter essere parte tangibile nel tentativo di riequilibrare lo squilibrio fatale oggi presente nel mondo, a loro suggerisco di non attendersi gloria né onore. Siamo chiamati ad avere una buona dose di flessibilità e pazienza, ci sporchiamo mani ed abiti. Abbiamo la determinata consapevolezza del valore della nostra vita che, come quella dei beneficiari, è preziosa e va preservata. Da mettere in preventivo fatiche, sudore, gioie, risa, arrabbiature ed euforie.
Siamo straordinariamente ordinari, drammaticamente normali.


E suggerimenti sul piano pratico, anche in rapporto all’attività professionale che temporaneamente si lascia nel paese di provenienza?


Un’esperienza vissuta con Medici Senza Frontiere in un Paese terzo non lascia indenni. Volenti o nolenti siamo costretti a rivedere il nostro bagaglio di presupposte inamovibili sicurezze umane e professionali. E’ ineluttabile che oggi la tecnologia e le risorse a disposizione consentono un rapido progredire nella ricerca e conoscenza medico-sanitaria. Non ci accorgiamo però che l’attenzione rivolta in maniera sempre più preponderante all’ultraspecializzazione professionale ci induce talvolta a dimenticare che chi si rivolge a noi esprimendo un bisogno di salute è una persona. Persona con un suo vissuto culturale, sociale, economico ed esperenziale che la rende unica indipendentemente dal quadro patologico che può essere più o meno presente o più o meno rappresentato nel tessuto sociale di riferimento.
Il timore che si insinua nel pensare di perdere l’aggiornamento/progressione del proprio specifico professionale durante il periodo speso in missione con Medici Senza Frontiere, benché legittimo, va ridimensionato: i cambiamenti radicali relativi agli approcci terapeutici richiedono sovente tempi ben più ampi.
In contemporanea, come accennato all’inizio, essendo noi parte di un contesto sociale in continuo e progressivo mutamento siamo talvolta in imbarazzo per le nuove esigenze di salute espresse dai nuovi cittadini .
Vivere un’esperienza con Medici Senza Frontiere non è ricevere un’abilitazione certificata per rispondere in maniera appropriata alle mutate richieste di salute e benessere delle persone con cui quotidianamente ci confrontiamo. Abbiamo però consapevolezza di avere acquisito strumenti più raffinati per poter meglio accogliere ed soddisfare le diverse istanze di salute.


Qual è la strada migliore per mettersi in contatto con MSF?


Visitare il sito web www.medicisenzafrontiere.it che mostra come Medici Senza Frontiere agisce, i contesti, le testimonianze, le Campagne di sensibilizzazione, lo Statuto ed altro ancora.
Nella sezione “Parti con noi” sono dettagliati i profili professionali da noi ricercati.
Per informazioni ed eventuali candidature scrivere a
reclutamento@msf.it

Che tipo di collaborazione, secondo Lei, potrebbe essere avviata tra MSF e Ordini provinciali?


Fuor di retorica posso affermare che non esiste spazio più consono che la Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri in cui Medici Senza Frontiere possa essere ospitato. Di questo siamo estremamente grati perché, purtroppo, non vi è mai sufficiente visibilità per quelle persone che nei contesti più disparati quotidianamente cercano di sopravvivere. Se è vero che “occhio non vede cuore non duole” è altresì vero che noi, osservatori privilegiati, facciamo davvero fatica a restare muti e non testimoniare che il diritto alla salute ed alla dignità viene ripetutamente calpestato. Ed è infatti il secondo mandato di Medici Senza Frontiere essere voce di chi non può, non riesce, non sa parlare. E possiamo permetterci di farlo perché quotidianamente “appoggiamo lo stetoscopio”.
I professionisti sanitari che con noi partono sono provenienti dalle più diverse parti d’Italia con il più svariato bagaglio professionale. Mi piace poter pensare che possano trovare idoneo spazio ove poter condividere con colleghe e colleghi il vissuto professionale ed esperenziale grazie anche all’attenzione e la volontà degli Ordini Provinciali.


 

Autore: Redazione FNOMCeO

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.