I valori della professione per la tutela della salute ambientale
Padova, 9-10 maggio 2008
Nei tempi recenti il concetto di ambiente, al di là della sua identificazione dei vari aspetti correlati alla vita dell’uomo, è divenuto un “valore” al quale il Diritto conferisce esplicito riconoscimento. Anche in funzione di ciò, la tutela dell’ambiente e il raggiungimento di un equilibrio nel rapporto ambiente-sviluppo sostenibile-salute, sono temi che vanno assumendo sempre maggiore rilevanza.
La responsabilità per l’ambiente e tutta la questione ecologica ad essa connessa sono acquisizioni abbastanza recenti. Irrompono sulla scena internazionale da quando il progresso scientifico e tecnologico comincia ad avere un influsso forte sul modo di vivere dell’uomo.
I nostri bisogni si dilatano mentre si ritiene, a torto, che l’ambiente possa adattarsi alle nostre esigenze.
I principali problemi ambientali quali lo sviluppo demografico, l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento che oggi l’umanità deve affrontare appaiono collegati fra di loro e, fatto ancora più grave, crescono in maniera esponenziale.
Questi temi furono oggetto di trattazione per la prima volta nella Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente tenutasi a Stoccolma nel 1972 quando, anche, si prese coscienza dell’esigenza di individuare alcuni principi comuni che potessero guidare i popoli nella salvaguardia e nella valorizzazione dell’ambiente con più attenzione ai sistemi biologici che richiedevano un consumo improntato ad uno sviluppo sostenibile.
Questa tappa politica va anche annoverata quale momento della definitiva ricomposizione della scissione avvenuta nel passaggio dalla filosofia del mondo greco antico al messaggio giudaico cristiano, dove per i pensatori greci l’uomo era cosa tra le cose e addirittura nella natura esistevano cose ancora più nobili, mentre nel messaggio ebraico-cristiano l’uomo era da sempre al centro del creato.
“La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio” si è sempre detto per due millenni e d’altro canto Giacomo Leopardi ancora nella prima metà dell’ottocento, chiamava la natura per un verso: “benignissima madre” e per un altro: “natura matrigna”.
Nel patrimonio della medicina storicamente sono state accolte alcune categorie che hanno contribuito a definirne gli ambiti: la categoria filosofica dell’unità, della totalità del corpo e della sua psiche, la categoria di ambiente, e più recentemente la categoria politica di salute pubblica, in cui la qualità della vita non può essere disgiunta dalla salvaguardia dell’ambiente in cui la vita stessa si svolge.
Noi padovani andiamo fieri per aver avuto il medico Bernardino Ramazzini docente della nostra Università che già alla fine del 600 poneva le basi teoriche per un cambio di paradigma nella medicina del tempo portando alla considerazione l’ambiente, soprattutto di lavoro, quale elemento di forte attenzione professionale.
Concetto che fu poi ampliato nel secolo dei lumi, per cui dalla cura della salute individuale l’azione del medico veniva estesa alla salute della collettività.
La malattia non era più quel disordine solitario del paziente che si doveva eliminare per mezzo dell’arte medica ma era anche una condizione che si doveva prevenire attraverso un forte intervento di tipo ambientale occupazionale.
Il concetto di prevenzione è andato via via radicandosi e sviluppandosi fino a comprendere tutti quegli elementi la cui tutela favorisce la salute dell’uomo ed oggi il medico è tenuto non solo ad applicare una medicina curativa ma a promuovere anche una medicina della salute.
La risposta all’interrogativo quale medicina ci viene da Daniel Callahan che nel suo libro “la medicina impossibile” afferma “Una medicina giusta e seriamente intesa deve essere pronta a sottrarre denaro e risorse al dominio tecnologico (della medicina) per destinarli altrove”.
Questo stesso concetto è stato ripreso qualche mese fa anche dal Ministero della Salute nel documento “Guadagnare in salute”.
Molti nemici della salute, si afferma nel documento, si possono agevolmente prevenire con la promozione di stili di vita salutari, attraverso l’attuazione di una politica e di una strategia efficace in grado di agire anche sulle condizioni socio-ambientali per ridurre considerevolmente il peso di malattie e disabilità che gravano sulla società.
Questo approccio dunque permette anche di indagare il corpo umano in una prospettiva olistica nel suo contesto ambientale e permette anche la visione della natura e del suo ambiente in continuità e al tempo stesso autonomia dal mondo sociale umano.
La medicina pertanto si colloca tra le pratiche dell’attività umana non solo quale arte e scienza della diagnosi e del trattamento della malattia, ma anche quella del mantenimento della salute.
Sappiamo che la sola assistenza medica ha contribuito in misura comparativamente modesta allo stato di salute della popolazione, mentre i più importanti successi realizzati nei secoli passati, sul piano della salute, vanno sicuramente attribuiti allo sviluppo comportamentale e culturale.
E il pensiero bioetico in corso propone per la sanità nuove soluzioni:
divulgazione del concetto di medicina sociale che si ottiene spostando il concetto di salute da una prospettiva individuale ad una collettiva;
attenuazione del perfezionismo medico;
miglioramento delle condizioni economiche e sociali di fondo;
accettazione dell’aspettativa media di vita dei paesi sviluppati.
In pratica si riprende un tema molto caro all’ambientalismo medico: la ricerca di un equilibrio tra la medicina moderna curativa con la pratica dell’igiene e prevenzione cercando di vivere entro i confini della natura, attenendosi ai suoi ritmi, alla responsabilità umana, facendo della medicina-della-cura solo una strategia secondaria e limitandone le aspirazioni sul terreno delle tecnologie avanzate.
In qualità di medici cui sta a cuore la protezione dell’ambiente, dobbiamo prendere atto, che i problemi che affliggono la nostra Terra sono davvero ingenti e che le politiche di conservazione della natura non sono di impedimento allo sviluppo civile ed economico e non ostacolano il progresso scientifico. Anzi, l’attuale ecosistema è il risultato di un raggiunto equilibrio tra ambiente e stili di vita, un equilibrio che va mantenuto e migliorato consentendo condizioni di vita e di lavoro di maggiore benessere.
Non possiamo credere alla sola idea che i problemi dell’umanità, quali la fame e il degrado ambientale, possano essere risolti dal progresso scientifico e tecnologico, ma è indispensabile una continua riflessione professionale che non può non coinvolgere aspetti scientifici, economici, sociali, educativi e culturali, avendo l’occhio puntato proprio alle fasce più vulnerabili della popolazione, come ad esempio i bambini.
Purtroppo la società è troppo presa per preoccuparsi del destino delle generazioni future.
L’idea delle generazioni future è troppo lontana per una mentalità individualistica ed edonistica tesa alla massimizzazione del consumo.
Prevale nella nostra società un atteggiamento predatorio nei confronti delle risorse, atteggiamento che si sta rivoltando proprio contro di noi. Episodi drammatici come l’alluvione che ha raso al suolo New Orleans, lo tsunami asiatico con i suoi 280mila morti e i sempre più frequenti uragani non sono da attribuire alla natura “matrigna” ma alla sconsiderata azione dell’essere umano.
Il cambiamento climatico, la scarsità di risorse idriche e il problema alimentare in un contesto economico di globalizzazione e di crescita generalizzata reclamano pertanto nuove vie per il raggiungimento di un ordine sociale ed economico, che sappia imporre sia nuovi modelli di produzione che di consumo.
Si eviterebbe in tal modo di curare il male in una società e in un mondo che è la prima fonte dei problemi sanitari. Spesso infatti lo sviluppo, la modernizzazione, l’avanzamento tecnologico, portano con sé disastri, in campo ecologico, antropologico, disastri sociali. La salute – è noto – dipende da vari fattori e richiede attività coordinate e sinergiche, con il coinvolgimento di istituzioni e di professionalità le più diverse: dagli educatori-formatori, ai tecnici, agli scienziati, ai medici. Fino ai singoli cittadini e alla collettività.
Non basta allora occuparsi di cure e di salute se non ci si occupa parallelamente dei grandi processi dello sviluppo che riguardano il nostro Paese e il mondo intero, altrimenti si rischia di restare esperti muti capaci di riferirsi soltanto ad una parte di ciò che succede attorno a noi.
E poiché la medicina è scienza, pensiero esistenziale ed etica, tale sintesi permette di porci le domande giuste nei confronti di ciò che sta alla base della nostra vita.
Riflessione sulla medicina tra scienza, etica ambientale e pensiero esistenziale
Quando si parla di ambiente è giocoforza intendere non soltanto l’habitat naturale ma anche quello creato dall’uomo, con la propria scienza e la propria arte. I problemi ambientali non possono infatti essere disgiunti da riferimenti di carattere socio-economico e di carattere culturale con le relative connessioni etiche.
Né possiamo parlare di etica e ambiente e del loro rapporto prescindendo dalla conoscenza corretta e completa del problema, modalità che può non essere sufficiente ma che è certamente necessaria. E le conoscenze scientifiche sono sicuramente la componente primaria. Prescindendo da una razionale costruzione scientifica si corre il rischio di privilegiare l’aspetto prettamente ideologico cosa che spesso succede anche in altri settori. Non dobbiamo certo pretendere che le conoscenze procurate dalla scienza offrano di per sé soluzioni etiche, che invece appartengono alla sfera socio-politica.
La scienza costruisce conoscenze che vanno sottoposte a verifica e i risultati e le applicazioni ne costituiscono il banco di prova.
La scienza, in quanto tale non è nemmeno arte, fucina di miracoli o di catastrofi come spesso si crede per l’effetto di disinformazione o di ignoranza.
La medicina ha sempre messo sullo stesso piano le conoscenze e l’etica al fine di favorire una autonomia professionale e di evitare condiscendenza a posizioni di potere così come a posizioni ideologiche dogmatiche.
Nel dibattito sulle problematiche ambientali alcune informazioni considerate corrette, in realtà non lo sono e si finisce per privilegiare l’ideologia rispetto alla conoscenza scientifica.
Dobbiamo evitare che affermazioni di carattere ambientale siano dettate da propagandismo ideologico, se non addirittura da strumentalizzazione di carattere politico. Mi riferisco alla demonizzazione dell’energia nucleare, all’ostracismo verso le ricerche biotecnologiche, i procedimenti tecnologici avanzati in tema di smaltimento dei rifiuti, il problema dell’uranio impoverito, al catastrofismo correlato ai cambiamenti climatici imputati all’effetto serra di origine antropica e, infine, al cosiddetto elettrosmog o inquinamento elettromagnetico.
La correttezza dell’informazione può non essere sufficiente nei casi citati, ma rimane condizione indispensabile per una seria valutazione e una chiara politica ambientale, sorretta da principi etici validi. Paradigmatica è la questione demografica che è ovviamente collegata al fabbisogno energetico e alla qualità della vita. Nello specifico i modi evidenziati per risolverla vanno visti con una certa lucidità e giudicati con intelligenza, senza false ipocrisie.
Esiste una modalità ecologico e tuttavia perversa: quello di lasciar fare alla natura. La selezione naturale, se non contrastata, è uno strumento (ecologico) formidabile (leggi: mortalità infantile). Se ne possono aggiungere altri, pure naturali, o anche artificiali qualora presuppongano un qualche intervento umano: le catastrofi naturali, le carestie, la fame, le guerre. A tale proposito ci sono dubbi sull’origine non naturale delle guerre; la conflittualità è storicamente presente nelle società umane. Allora cerchiamo di non dimenticare che con il DNA si è sviluppata la cultura e, in conseguenza, la civiltà della specie umana è l’unico antidoto alla violenza e ai conflitti.
Questa civiltà può solo progredire nella democrazia aiutata dalla scienza. Se così non fosse tutto il progresso si rivolgerebbe contro l’essere umano: le patologie professionali, gli inquinamenti organici, la contaminazione degli alimenti delle acque e dell’aria, la diffusione di inquinanti attraverso le specie migratorie.
Orbene: l’uomo è un animale intelligente e forse per questo troverà anche il modo di non morire in un sistema che si riscalda o si congela (prospettiva imputabile all’effetto serra). Il passato ci insegna che il fatto di intervenire spesso – anche contro natura – gli ha risolto enormi problemi di sopravvivenza e di evoluzione sociale e civile. Due esempi realistici che potrebbero sembrare paradossali.
La prima rivoluzione anti-ecologica dell’uomo può essere rinvenuta nell’invenzione dell’agricoltura, e cioè il primo esperimento biotecnologico di massa: l’intervento dell’uomo sulla natura per provvedersi di cibo più abbondante e risolvere quindi il problema della fame.
La seconda rivoluzione anti-ecologica è da identificare indubbiamente con la medicina e la prevenzione sanitaria che, debellando, tra l’altro, la mortalità infantile, ha bloccato la selezione naturale. Mi domando e vi domando allora: Quali sono stati i principi etici che hanno guidato queste importanti rivoluzioni e qual è stato il corretto rapporto fra etica e ambiente?
Ritengo che solo l’evoluzione culturale possa far comprendere il problema etico dello sviluppo demografico che può essere affrontato soltanto elevando il tenore della qualità della vita senza sottostare ad imposizioni demagogiche. Se parliamo poi di sviluppo sostenibile ai paesi del Terzo mondo, siamo di fronte al dilemma etico della loro penalizzazione.
Si mettono sullo stesso piano le loro responsabilità nelle emissioni di anidride carbonica, future ed eventuali (in caso di sviluppo economico-industriale), con quelle dei Paesi sviluppati che con i loro consumi energetici, hanno già contribuito pesantemente al pericoloso effetto serra. Per questi paesi forse si dovrebbe parlare più opportunamente di sottosviluppo insostenibile. E allora tutti i criteri per diminuire le emissioni di CO2 e intervenire sul possibile effetto serra, i problemi del buco dell’ozono, le questioni della biodiversità, la protezione delle specie in pericolo di estinzione e quant’altro, non possono prescindere dal fatto che popolazioni enormi si affacciano alla ribalta del mondo industrializzato e chiedono benessere, se non di uguale livello, almeno vicino.
Dove sta dunque l’etica? Il problema etico nei riguardi dell’ambiente non consiste solo nella predicazione e nella sua traduzione in termini socio-politici di comportamenti umani volti a salvaguardare l’habitat naturale e a rispettare la natura. È anche il ricorso alla conoscenza, che solo la ricerca scientifica e l’onestà intellettuale ci possono dare, rendendocene consapevoli e contrastando la disinformazione strumentale o di comodo.
Stiamo attenti a non fare della natura una specie di divinità pagana! La Ecologia e Ecologia, economia e società
La crisi ecologica odierna è frutto di un’economia e di una società il cui aspetto distruttivo rischia di prevalere su quello costruttivo. Dobbiamo mettere in atto comportamenti quotidianamente scelti in base alle nuove esigenze ma anche a valori autentici e a nuovi equilibri che richiedono la partecipazione e il contributo di tutti.
La maturità richiesta dalla straordinarietà degli eventi che investono molteplici aspetti fra loro strettamente correlati consiste nel saper rinunciare a tutta una serie di valori indotti dalla cultura dello spreco a tutti i costi, per eliminare la prima è più pericolosa forma di inquinamento che è l’inquinamento della coscienza collettiva.
Occorre un modello culturale nuovo in cui l’ambiente non sia luogo di sfruttamento e di dominio, ma abbia il ruolo di co-protagonista dell’uomo per il suo sviluppo. È evidente che l’uomo ha una peculiare responsabilità a motivo del suo intelletto e della sua libertà.
Una corretta educazione ambientale deve portare al rispetto dei cicli naturali, deve essere fondata sulle conoscenze scientifiche degli effetti del deterioramento dell’ambiente, sulla valutazione dei diversi aspetti del problema ecologico che richiedono integrazione di approcci: da quello biologico, a quello economico, industriale, giuridico ed etico. Lo sviluppo di una coscienza ecologica a livello personale e comunitario deve essere accompagnato da adeguati interventi sul piano politico per assicurare le condizioni di uno sviluppo sostenibile mediante controllo della gestione dell’ambiente.
Conclusioni
La professione medica deve rispondere ai richiami etici cui storicamente si è uniformata, richiami che sono condivisi con altre professioni e non si discostano dai principi morali di sempre: rispetto, equità e competenza.
Ma il medico nel coltivare la scienza pratica un’arte in cui felicemente si confrontano etica e pensiero esistenziale e la professionalità che sta alla base del contratto tra medicina e società lo vincola a fissare e mantenere standard di competenza per offrire alla società consulenza esperta sulle questioni di salute.
Questo ruolo sociale lo investe di una valenza in grado di migliorare la qualità di vita della società umana globale.
Nel medico sono condensate la missione antropologica ed etica del professionista, quella formativa dell’educatore e comportamentale del cittadino, in un contesto ambientale non circoscritto al proprio ambito di lavoro, ma esteso nello spazio e nel tempo, che reclama opportuni stili di vita. Sono questi ultimi, infatti, che costituiscono un fondamentale determinante di salute soggettivo e collettivo, poiché sono le singole azioni che producono, in bene o in male, il cambiamento ambientale.
Autore: Redazione FNOMCeO