Anelli, la lectio magistralis agli 80 anni AMCI

Pubblichiamo la lectio magistralis del presidente FNOMCeO Filippo Anelli all’incontro per gli 80 anni della associazione AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani), in corso di svolgimento a Roma.


Erano le ore 23 circa del giorno 8 settembre del 2013 quando Eleonora stava percorrendo la strada provinciale 91 bis, in territorio di Chiuduno, vicino Bergamo a bordo della propria automobile in compagnia di un amico. Notando una persona ferita sul ciglio della strada, un extracomunitario di origine indiana pestato da alcuni connazionali, Eleonora chiede al suo amico di fermare l’automobile, di tornare indietro e di andare – essendo un medico – a vedere come sta il malcapitato lasciato agonizzante, dopo essere stato preso a sprangate e coltellate. Mentre Lei prestava le prime cure venne violentemente travolta da una Golf guidata proprio dal fratello del ferito che, pensando di colpire un rivale, li travolse entrambi uccidendoli.

Era la dott.ssa Eleonora Cantamessa, ginecologa, di 44 anni, alla memoria medaglia d’oro al valor civile e medaglia d’oro al merito della sanità pubblica.

Ho pensato di raccontare questo doloroso fatto di cronaca per evidenziare quanto profondi e radicati nella coscienza di un medico siano oggi i valori e le motivazioni che ispirano il suo operato, ossia quel senso del dovere che considera preziosa ogni vita al punto di non tirarsi mai indietro per soccorrere una persona anche se questo potrebbe mettere in pericolo la propria vita.

Infatti, questa straordinaria professione che è caratterizzata da un lungo percorso formativo al fine di acquisire delle specifiche competenze e abilità, è condizionata nel suo esercizio proprio dall’etica professionale ossia dal rispetto di quei principi e valori che sono custoditi nel Codice di Deontologia medica e che sono riassunti nella formula del giuramento professionale reso da ogni medico all’inizio della sua attività professionale.

La nostra professione, dunque, non può essere esercitata liberamente ossia senza limiti e senza regole e ogni atto medico oggi è finalizzato alla difesa della vita e al sollievo della sofferenza. Un mandato questo che vincola il medico al suo rispetto pena l’esclusione dalla comunità professionale.

Sin dal quarto secolo avanti Cristo, Ippocrate aveva introdotto i limiti alla libertà e alla indipendenza della professione medica subordinandola sempre al bene del malato senza mai recar danno o offesa alla persona assistita.

Oggi, ogni medico inizia la sua professione giurando di “perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona…”.

Durante il Covid questo impegno e questi valori sono apparsi, con grande risalto, come la vera motivazione dei comportamenti dei medici e degli operatori sanitari nella terribile lotta contro una malattia che i media hanno raccontato quotidianamente, con dovizia di particolari. Quei racconti hanno evidenziato da parte dei medici e dei professionisti della salute una dedizione eccezionale per il difficilissimo momento causato da un virus e da una malattia sconosciuta, di cui nessuno conosceva i meccanismi e rimedi e che spesso portava alla morte, soprattutto le persone più fragili. Quei comportamenti sono apparsi alla gente comune straordinari a tal punto da portare i cittadini a definirli eroici.

Sicuramente eroico è stato il sacrificio di ben 380 colleghi che durante quella pandemia hanno perso la vita. L’impegno dei medici “di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute”, previsto dal nostro Codice di Deontologia, ha caratterizzato quel drammatico momento.

Sono i medici che hanno giurato di difendere la vita, “perché ogni vita conta”, e che non si sono risparmiati, nei reparti e sul territorio, per salvare il numero più alto di pazienti. Ospedalieri, Pediatri, Specialisti ambulatoriali, Medici di famiglia, di continuità assistenziale, delle USCA, del 118, delle RSA, Odontoiatri: tutti si sono impegnati, ciascuno per la propria parte, per L’obiettivo comune di contenere gli effetti devastanti della pandemia.

Ogni vita conta!

Per noi medici ogni vita conta!

Conta ogni persona! Ogni storia! Ogni sofferenza! Ogni fragilità!

Conta la dignità di ogni donna, di ogni uomo, in ogni momento della sua vita.

Per questo i medici sono scesi in prima linea “a combattere un alieno, un virus” allora sconosciuto.

Per questo i medici ogni giorno, nonostante tutte le difficoltà, i carichi di lavoro eccessivi, la burocrazia asfissiante, la violenza gratuita, sono lì in prima linea accanto a chi soffre.

La professione ha vissuto con la pandemia un momento epico unico nella sua storia, pagando un prezzo altissimo per la difesa della vita e della salute di ogni persona.

In questi ultimi cento anni la professione ha attraversato vari momenti e grandi cambiamenti.

Sotto la spinta del positivismo, verso la fine dell’800, che sosteneva l’applicazione del metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana, cresceva nella società la fiducia nella scienza e nel progresso scientifico-tecnologico. I medici, grazie alle scoperte nel campo della medicina conquistarono un ruolo sociale pieno di prestigio, ricco di credibilità e autorevolezza. Erano i professionisti che prospettavano un futuro diverso, migliore, con meno sofferenze e meno malattie, ricco di speranza per l’umanità. Le acquisizioni scientifiche conferirono al medico uno status sociale ricco di considerazione ed il potere che deriva dalla conoscenza, esercitato allora in maniera paternalistica verso il paziente, in una società ancora lontana dalla consapevolezza e dalla conquista dei propri diritti.

Poi con la crisi dei regimi dittatoriali, dopo la Seconda guerra mondiale inizia la stagione dei diritti.

Una stagione che riguarda anche i medici e la sanità.

In Inghilterra nel 1948 con William Beveridge nasce il servizio sanitario inglese fondato sull’assunto che “la malattia non è un lusso da pagare o una maledizione da vivere da soli, ma un evento che deve essere affrontato grazie all’efficienza di una società solidale”.

Nasce lo stato sociale, si affermano i diritti e tra questi, quello alla salute. Diritto che è garantito dallo Stato ai cittadini grazie alla solidarietà fiscale di tutti.

In Italia ci arriviamo più tardi, nel 1978.

La nostra Carta Costituzionale, promulgata nel 1947, fonda la Repubblica sui Diritti, qualifica il diritto alla salute come fondamentale e introduce un cambio radicale nei rapporti tra Stato e Cittadino:

“la Repubblica – recita l’art. 2 della Costituzione – riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Ci troviamo difronte ad una vera e propria rivoluzione copernicana, ove non sono più gli individui a chiedere una tutela, un diritto, ma è lo Stato che riconosce e garantisce ad ogni persona i diritti inviolabili dell’uomo.

Una rivoluzione che porterà nel 1978 a istituire il Servizio sanitario nazionale, quale strumento, fatto di uomini e donne, capace di garantire il diritto universale alla salute, riconosciuto ad ogni individuo presente sul suolo italiano.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale”, recita  l’art. 1 della Legge 833/78.

Da una società dove la salute era assicurata in ragione della capacità economica di ogni cittadino a far fronte alle spese per curarsi, si passa ad una società ove la Repubblica diventa garante della salute di ogni persona senza distinzione di censo, “sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Proprio come recita la nostra Costituzione ed il nostro Codice Deontologico.

Il medico così diventa oggi il Professionista dei Diritti, capace di garantire con le sue competenze l’esigibilità dei diritti ai cittadini.

Dal medico che “ordina” una cura, una terapia, al medico che condivide, supporta, aiuta il cittadino nelle scelte relative alla propria salute.

Senza il medico, senza le sue competenze oggi molti dei diritti previsti dalla nostra Carta costituzionale non sarebbero esigibili: il diritto alla vita, alla salute, all’uguaglianza, alla autonoma determinazione sulle scelte relative alla propria salute, alla libera ricerca e alla libera scienza, ad un ambiente salubre e alla tutela della biodiversità.

La salute è oramai considerata nelle nostre democrazie “strategica” alla pari della sicurezza o della difesa. Per questo il Presidente Mattarella ha invitato tutti i medici ed i professionisti della salute ad aprire la sfilata del 2 giugno nel 2022.

Un gesto di ringraziamento per il grande impegno durante la pandemia, ma anche di grande riconoscimento del ruolo sociale svolto proprio dalle professioni sanitarie per garantire alle persone ed alla comunità quei diritti che sono a fondamento della Repubblica.

Il medico dei diritti e del cittadino nella democrazia ove i diritti sono il bene: la Democrazia del Bene.

Questo ruolo, che conferisce una nuova autorevolezza alla professione medica in una democrazia fondata sui diritti, si costruisce proprio sul rapporto di fiducia che caratterizza sempre più il medico e lo caratterizzerà anche in futuro.

La relazione tra medico e paziente – afferma il Codice – è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura”.

Viviamo oggi con profondo disagio la nostra professione, frutto di uno stravolgimento dei valori che sorreggono la nostra società.

Dal primato dell’uomo siamo passati al primato dell’economia!

Le unità sanitarie – USL – sono state sostituite con aziende sanitarie – ASL, il paziente trasformato in utente e gli obiettivi di bilancio son diventati pian piano prioritari rispetto agli interessi del malato. Tutto ciò ha determinato nel medico, nella sua quotidiana attività professionale, un conflitto continuo tra uno Stato sempre più ossessionato dai problemi di bilancio e il rispetto di quei valori custoditi nel Codice Deontologico, su cui ogni medico giura fedeltà all’avvio della sua professione, che vedono nel rapporto con il singolo malato e nella gestione delle sue sofferenze e dei suoi peculiari bisogni di salute il fondamento stesso della professione medica.

Libertà ed autonomia, requisiti fondamentali della professione, sono stati sostituiti da codici di comportamento e linee guida obbligatorie con l’obiettivo di mutare il ruolo del medico in semplice tecnico della salute.

Un tecnico cui è possibile imporre regole di comportamento e norme per l’esercizio professionale, trasformandolo pian piano in funzionario, in uno strumento dello Stato, limitato nel suo esercizio professionale e condizionato nei suoi rapporti con il cittadino.

In un contesto di questo genere, l’utilizzo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale in medicina associato alla maggiore rivendicazione da parte dei cittadini dei loro diritti, se non adeguatamente supportati da riferimenti etici e deontologici, potrebbe rappresentare un perverso strumento per ridurre i costi dell’assistenza e limitare maggiormente, se non proprio sostituire, il ricorso al rapporto tra medico e paziente.

Nessun robot e nessun algoritmo potrà mai sostituire il rapporto che si instaura tra medico e cittadino, perché l’arte medica non si fonda esclusivamente sulle competenze acquisite nel percorso formativo, ma nella capacità del medico di utilizzare quelle stesse competenze in una relazione che tende a valorizzare e tutelare la dignità di ogni persona che a lui si affida. In altre parole, potremmo definire l’arte medica come la capacità di trasformare quelle specifiche competenze mediche in una relazione umana, ossia in “compassione”.

Per questo la rivoluzione digitale che stiamo vivendo e che investe anche la nostra professione, oggi richiede una consapevolezza ed uno sforzo particolare non solo da parte dei medici, ma anche di tutta la società civile al fine di ripristinare la giusta gradualità dei valori, in modo tale che sia effettivamente riconosciuto al cittadino la titolarità del diritto alla salute e al medico il ruolo di professionista che tutela proprio quel diritto alla salute del cittadino e della sua comunità.

Il medico della persona e dei diritti, e non già un funzionario di Stato.

Così, medico e cittadino sono posti sullo stesso piano, con gli stessi diritti, gli stessi valori, gli stessi doveri.

Un medico garante dei diritti è colui che è capace di trasformare il potere che deriva dalle sue competenze e conoscenze in servizio al cittadino, perché possa liberamente e con cognizione di causa decidere liberamente sulle cure a lui proposte.

A sua volta il cittadino rispettoso dei diritti è colui che riconosce al medico il diritto di rifiutare atti e trattamenti che siano in contrasto con la sua coscienza o con i valori che liberamente ritiene fondamentali per la sua dignità professionale.

Diritti e libertà rappresentano così i principi fondanti di questa società ove l’impegno di tutti sta nel rispetto della dignità di ogni persona.

I profondi cambiamenti che viviamo incideranno fortemente sull’esercizio professionale.

Cure mediche personalizzate, cellule staminali, medicina su scala nanometrica, terapia genica e editing del genoma, digital health, caratterizzeranno e rivoluzioneranno il panorama sanitario del prossimo futuro.

La trasformazione digitale e lo sfruttamento di tecnologie digitali ed innovative non solo miglioreranno l’efficienza e l’efficacia dell’assistenza sanitaria, ma consentiranno ai pazienti di assumere un ruolo attivo nella gestione della propria salute.

Tutto ciò porterà alla necessità di aver un medico che sia preparato e messo nelle condizioni di comprendere i bisogni della persona, al fine di mettere a disposizione le grandi opportunità che la scienza e la tecnologia stanno sviluppando.

Serve oggi un cambio di passo, un cambio di paradigma, intendendo per questo la necessità di rivedere il ruolo del medico in questa società ossia il passaggio da un professionista preparato oggi per curare la malattia ad un medico capace e formato per curare la persona.

La malattia non potrà essere curata senza la conoscenza di quel singolo malato come persona e come individuo. Bisognerà educarsi all’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure che configurano la singolarità del caso e la sua complessità, perché è sempre possibile curare, è sempre possibile consolare, anche quando non è possibile guarire.

Mettere il malato prima della malattia”, è l’invito di Papa Francesco: “per una cura che sia veramente tale, veramente integrale, veramente umana”.

I medici devono essere formati ad utilizzare una comunicazione efficace nel rapporto con la persona: il tempo della comunicazione è tempo di cura!

Devono imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo che hanno di fronte, utilizzando la complessità degli strumenti a disposizione.

Devono poter giungere ad una presa in carico della persona nella sua interezza, perché il medico debba non solo curare le malattie attraverso la diagnosi e la terapia, ma essere sempre più il medico della persona.

I medici sono i custodi della vita e della salute delle persone e la “misericordia” lo strumento di cui il medico può avvalersi per lenire le sofferenze, sanare per quanto possibile le malattie, perché la misericordia altro non è che un atto di amore verso l’uomo sofferente finalizzato al rispetto della dignità di ogni singola persona, di ogni malato.

 

                                                                                                      Filippo Anelli

Autore: Redazione

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