11 GEN – Gentile Direttore,
Ivan Cavicchi, un vecchio e caro amico appassionato – quasi un ultras – della nostra professione, mi dedica ampio spazio nel suo articolo di ieri, accusandomi di fallacia mnestica, cioè di far prevalere la mia storia personale sul giudizio attuale. Proverò a ripetere le mie ragioni anche se non posseggo la vena catartico apologetica di Ivan, sono ancora un modesto medico della mutua uso a osservare i fatti degli uomini. Sono anche privo di “verità vere”, al contrario di Ivan, anzi confesso un’antica laica diffidenza per chi le possiede.
Ma tant’è. Ivan mi dovrà spiegare cosa c’incastrano gli Stati Generali voluti dalla Fnomceo, iniziativa quanto mai opportuna e tale da sola da caratterizzare una presidenza, con i “fatti di Bologna”. Anzi, tali fatti “eclatanti” – come dice Cavicchi – sanno più di narcisismo che di pacata ragionevolezza.
L’Assessore Venturi è “anche medico” dice Cavicchi. Il problema non è questo, è l’estensione dei poteri dell’Ordine professionale. E se Venturi fosse stato infermiere? L’Assessore della mia Regione è un’avvocatessa iscritta all’Ordine. Ho chiesto al Presidente dell’Ordine degli Avvocati, un carissimo amico, di radiarla per qualche delibera su cui non ero d’accordo e mi ha guardato stranito. “Il potere appartiene al popolo che l’esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. A chi risponde un amministratore eletto?
Ivan sostiene che io faccia “prevalere nel giudizio la mia storia personale”. Ebbene sì! Ethos anthropoi daimon. sono sereno nel raccontare che, insieme a un gruppo di amici, ho contribuito a introdurre nella deontologia italiana, nel 1984 ferma ancora ai dettami ippocratici della beneficialità e delle non maleficità, il valore dell’autodeterminazione del cittadino, il concetto di persona al posto di paziente, e il rispetto per l’equità: tra Ippocrate e Ivan in realtà sono successe altre cose.
E’ vero, la professione di medico ha subito grandi torti, concordo con Cavicchi. Mio padre soleva dire chi piange del suo mal pianga se stesso; la società è cambiata e la medicina ancor più, ebbene proprio le posizioni Bologna like hanno eccitato una sorta di vittimismo categoriale senza portare alcun contributo di realismo al necessario adeguamento.
Per fortuna i medici mutano paradigma operativo per propria intelligenza altrimenti saremmo ancora a recriminare su un passato che non è mai esistito mentre the times are changing come canta Bob Dylan.
A questo punto i fatti toscani. Primo: nessuna legge è stata forzata, il nostro Consiglio sanitario si comportò nella piena legittimità; secondo: gli Ordini approvarono un documento assai serio che avrebbe potuto servire a evitare successive polemiche nazionali; terzo nessun incarico aggiuntivo fu assegnato agli infermieri ma si è data attuazione alle competenze previste dalla legge; infine la proposta dei protocolli del 118 e di quelli del see and treat partirono dai dirigenti medici.
Mi chiedo perché in tutta Italia le polemiche tra medici e infermieri drammatizzano i vertici associativi mentre alla base, in ospedale o nel territorio, i problemi esistono ma non sono tali da influire sui risultati dell’assistenza, anzi dove vi è accordo le cose funzionano meglio.
In Toscana abbiamo praticato il metodo del confronto e del dialogo che risulta essere stato utile in altre parti. Perché a Bologna non è stato almeno tentato?
Ultima precisazione. Ivan mi accusa di aver praticato “un rapporto consociativo tra Ordine e Regione”, accusa che respingo fermamente. Chi mi conosce sa che i miei rapporti con i politici o gli amministratori sono sempre stati quelli di discutere idee, di offrire soluzioni, in cui l’interesse dei medici coincidesse con quello dei cittadini.
Non mi sono mai dovuto macerare per decidere se accettare incarichi pubblici magari prestigiosi ma ho sempre proseguito caparbiamente per la via che ritenevo giusta.
A mò di conclusione (provvisoria) rammento che io e Ivan collaboriamo agli Stati generali della medicina con la stessa disponibilità e onestà intellettuale. Tentiamo di realizzare ciò che i medici – vedi la lettera del collega Bayda che Ivan cita – chiedono.
E lo faremo al di là delle querelles. Purché sulla passione prevalga una sapiente saggezza. Se avessimo seguito il metodo toscano forse saremmo meno preoccupati.
Antonio Panti
Autore: Redazione