Attività di prelievo a domicilio

Consiglio di Stato Sentenza n. 2830/16 – Attività di prelievo a domicilio – Il Consiglio di Stato ha affermato che  la scelta dell’Azienda ospedaliera di concludere accordi per l’effettuazione di prelievi a domicilio solo con i soggetti autorizzati ad erogare servizi di Medicina e Laboratorio determina una immotivata discriminazione ai danni degli infermieri libero professionisti, causando una irragionevole restrizione della concorrenza nel settore e limitando ingiustificatamente l’accesso al mercato di operatori pienamente legittimati dalla normativa di settore, senza che ricorra alcuna causa eccezionale che giustifichi tale restrizione.

FATTO E DIRITTO: L’Azienda Ospedaliera “Ospedale maggiore” di Crema, con atti adottati in conformità della delibera di Giunta regionale n. 3313 del 2 febbraio 2001,  riservava l’attività di prelievo a domicilio unicamente a soggetti autorizzati ad erogare servizi di medicina e laboratorio ASL o SMEL, per cui l’Azienda stipulava una serie di accordi di collaborazione con vari soggetti operanti sul territorio, previamente accreditati presso le ASL della provincia, escludendo che la prestazione potesse essere resa da infermieri professionali libero-professionisti, ancorché iscritti all’Albo, ma non aderenti ad una delle dette istituzioni. I ricorrenti invocano a sostegno della ritenuta illegittimità degli atti dell’Azienda, i principi di libera concorrenza e libero mercato e, in particolare, le modifiche introdotte in materia di liberalizzazione delle attività economiche e delle professioni con decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito in legge n. 148/2011. Il Consiglio di Stato  ritiene che l’esercizio della libera professione infermieristica, svolta da soggetti in possesso di idoneo titolo di studio (diploma universitario abilitante) e di iscrizione all’albo professionale, non possa subire discriminazioni ingiustificate. Ai sensi dell’art. 1 del Regolamento adottato con D.M. 14 settembre 1994, n. 739, adottato ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, l’attività dell’infermiere professionale ricomprende ogni prestazione che possa ricondursi alla generale categoria dell’“assistenza generale infermieristica”, attività con funzione di prevenzione delle malattie e di assistenza dei malati e disabili. A tal fine, l’infermiere professionale agisce sia individualmente, sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali (art. 1, comma 3, lett. e).L’infermiere professionale, in possesso del prescritto titolo di formazione e dell’iscrizione all’albo è, secondo il Regolamento, “responsabile dell’assistenza generale infermieristica” (art. 1, comma 1) e “svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale” (art. 1, comma 3, lett. g). Il Consiglio di Stato ha pertanto affermato che,  stante il tenore di tale disposizione, applicabile su tutto il territorio nazionale, l’infermiere libero professionista può prestare la propria attività assistenziale, anche a domicilio, senza necessità di essere dipendente o collaboratore di un Laboratorio. Pertanto, la scelta dell’Azienda ospedaliera di concludere accordi per l’effettuazione di prelievi a domicilio solo con i soggetti autorizzati ad erogare servizi di Medicina e Laboratorio determina una immotivata discriminazione ai danni degli infermieri libero professionisti, causando una irragionevole restrizione della concorrenza nel settore e limitando ingiustificatamente l’accesso al mercato di operatori pienamente legittimati dalla normativa di settore, senza che ricorra alcuna causa eccezionale che giustifichi tale restrizione

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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