Attività imprenditoriale assoggettata ad IRAP

Cassazione Civile Ordinanza n. 12616/16 – IRAP – La Corte di Cassazione ha affermato che la presenza di un collaboratore familiare è sufficiente per configurare un’attività imprenditoriale assoggettata ad IRAP, non rilevando l’esiguo valore dei beni strumentali utilizzati. Pertanto deve ritenersi soggetto all’imposta IRAP l’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare (non i familiari collaboratori), afferendo l’IRAP "non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi" ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.

FATTO E DIRITTO: L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di M.A. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1913/25/2014, depositata in data 25/11/2014, con la quale – in controversia concernente le riunite impugnazioni del diniego (quanto agli anni dal 2005 al 2007) e del silenzio rifiuto (quanto agli anni dal 1998 al 2007) opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanze di rimborso, presentate dal contribuente, agente di commercio, dell’IRAP versata – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto i riuniti ricorsi del contribuente.

I giudici della C.T.P. avevano ritenuto alcune istanze di rimborso (quelle presentate il "12/06/2006" ed il "3106/2010") tardive, per decorso del termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, rispetto al alcuni versamenti in acconto effettuati, nel giugno e novembre 2001 e nel giugno e novembre 2005, ed altre infondate nel merito, stante la sussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione (per rilevanti quote di ammortamento di beni strumentali, elevati valori di immobilizzazioni ed anche a prescindere dalla presenza di un collaboratore di impresa familiare).

L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2, 3, 8, 27 e 36, dell’art. 3 della Legge n. 662 del 1996, comma 144 e dell’art. 230 bis c.c., avendo i giudici della C.T.R. ritenuto irrilevante, ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP, la presenza, pacifica, di un collaboratore familiare, cui veniva corrisposto il 47% del reddito d’impresa, ed, in definitiva, l’esistenza di un’impresa familiare, di per sè sufficiente, pur se non espressamente richiamata dalla disciplina di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, per configurare un’attività imprenditoriale assoggettabile ad IRAP. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta poi la violazione c/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, avendo i giudici della C.T.R. ritenuto tempestive le richieste di rimborso anche con riferimento ai versamenti in acconto (acconti IRAP 2001 ed acconti IRAP 2005) effettuati oltre il termine di cui all’art. 38 del  D.P.R. n. 602 del 1973. La Corte di Cassazione ha affermato che deve ritenersi soggetto all’imposta IRAP l’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare (non i familiari collaboratori), afferendo l’IRAP "non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi" ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.

(Riproduzione riservata)

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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