CORTE COSTITUZIONALE – Attività libero-professionale intramuraria vietata al personale non medico – La disciplina degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 determina un allargamento dell’ambito dei soggetti ai quali la legge statale consente lo svolgimento di attività professionale intramuraria, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi fondamentali della materia “tutela della salute” la cui determinazione spetta alla legislazione dello Stato. L’esercizio della libera professione intramuraria é stata infatti prevista dal legislatore statale esclusivamente per i dirigenti medici e i medici dipendenti dal Servizio sanitario nazionale e solo a particolari condizioni, al fine di assicurare un equilibrio tra attività istituzionale e libera professione. Tale circostanza assume il preciso significato di circoscrivere a tali categorie il riconoscimento del diritto in questione (Sentenza n. 54/15 )
FATTO: Con ricorso spedito per la notifica il 30 maggio 2014, ricevuto dalla resistente il successivo 4 giugno e depositato nella cancelleria di questa Corte il 5 giugno 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante “Disposizioni in materia di esercizio di attività professionale da parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) e successive modificazioni e integrazioni”. La legge regionale censurata, al dichiarato scopo di assicurare una più efficace e funzionale organizzazione dei servizi sanitari regionali, prevede che il personale sanitario non medico di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) possa svolgere attività libero-professionale intramuraria in strutture sanitarie regionali, sia “singolarmente”, sia anche in forma “allargata” in strutture sanitarie diverse da quella di afferenza (art. 1, comma 1). Ritiene il ricorrente che tali previsioni violino l’art. 117, terzo comma Cost. in quanto si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali nella materia di “tutela della salute”. Si è costituita in giudizio la Regione Liguria la quale ha chiesto il rigetto del ricorso evidenziando come la legge impugnata troverebbe fondamento nell’esigenza di fronteggiare la forte carenza di professionisti infermieri e tecnici sanitari di radiologia medica, della prevenzione, delle cure riabilitative, della ostetricia e degli altri operatori delle professioni sanitarie non mediche, carenza che si ripercuoterebbe sulla adeguata erogazione di cure a livello territoriale.
DIRITTO: La Corte costituzionale ritiene oramai pacificamente che la disciplina della professione sanitaria intramuraria rientra nella materia concorrente “tutela della salute”. La legge regionale impugnata, pertanto, intervenendo a disciplinare il profilo soggettivo dell’attività libero professionale intramuraria, inciderebbe su un ambito riservato alla competenza del legislatore statale. Il ricorrente individua un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. n. 6 del 2014, nella parte in cui consente al personale sanitario non medico lo svolgimento di attività libero-professionale “anche in forma intramuraria allargata, presso le Aziende sanitarie locali, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e gli altri enti equiparati”. L’art. 1 della legge reg. n. 6 del 2014, in contrasto con tale previsione, consentirebbe al personale non medico di cui alla legge n. 251 del 2000 di svolgere attività intramuraria anche presso strutture diverse da quella di appartenenza, contravvenendo al modello delineato dal legislatore statale che pone a carico della struttura di appartenenza il compito di individuare gli spazi da assegnare all’attività intramoenia. L’esercizio della libera professione intramuraria sarebbe stata prevista dal legislatore statale esclusivamente per i dirigenti medici e i medici dipendenti dal Servizio sanitario nazionale e solo a particolari condizioni, al fine di assicurare un equilibrio tra attività istituzionale e libera professione. In particolare, l’art. 1, comma 1, permettendo al personale che esercita le professioni sanitarie di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) di svolgere attività libero-professionale intramuraria, disciplinerebbe il profilo soggettivo dell’attività sanitaria intramoenia che attiene ai principi fondamentali in materia di tutela della salute, la cui individuazione è riservata alla legislazione statale. La disciplina regionale determinerebbe un allargamento dell’ambito dei soggetti ai quali la legge statale consente lo svolgimento di attività intramuraria, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi fondamentali della materia “tutela della salute” la cui determinazione spetta alla legislazione dello Stato. La Corte Costituzionale ha già avuto modo più volte di chiarire che le disposizioni concernenti l’attività sanitaria intramuraria debbono essere ricondotte alla materia della “tutela della salute”. Questa Corte ha, invece, escluso che le disposizioni attinenti alla disciplina dell’attività intramuraria, ivi comprese quelle concernenti la predisposizione delle strutture a tal fine necessarie, possano essere ricondotte alla materia della “organizzazione sanitaria” dal momento che tale ambito neppure può essere invocato come “materia” a sé stante, agli effetti del novellato art. 117 Cost., in quanto l’organizzazione sanitaria è parte integrante della “materia” costituita dalla “tutela della salute” di cui al terzo comma del citato art. 117 Cost.» (sentenza n. 371 del 2008). Come appare chiaro dalla normativa richiamata, la disciplina dell’attività libero-professionale intramuraria ha sempre riguardato specificamente il personale medico, nonché, ai sensi degli artt. 4, comma 11-bis e 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, il personale della dirigenza del ruolo sanitario, costituito da farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi secondo quanto specificato dall’art. 3 del d.P.C.m. 27 marzo 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento concernente l’attività libero-professionale intramuraria del personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale). Quanto ai veterinari del servizio pubblico, il d.P.R. n. 761 del 1979 ha riconosciuto loro la facoltà di svolgere attività libero-professionale fuori dei servizi e delle strutture dell’unità sanitaria locale (art. 36). Nulla, invece, è previsto per il personale sanitario non medico, ad eccezione di quanto stabilito dall’art. 30, comma 4, del R.D. 30 settembre 1938 n. 1631 (Norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario degli ospedali), il quale dispone che “Tanto alla ostetrica capo che alle ostetriche è inibito l’esercizio professionale”. Non può condividersi l’assunto della difesa regionale secondo la quale il personale non medico sarebbe già abilitato all’esercizio della libera professione in équipe e a supporto del professionista in forza dell’art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 120 del 2007. Tale disposizione, infatti, si limita semplicemente a prevedere che gli importi da corrispondere a carico dell’assistito per la prestazione libero-professionale intra moenia devono remunerare anche i compensi dell’équipe e del personale di supporto. La circostanza che lo svolgimento dell’attività libero-professionale all’interno della struttura sanitaria sia stato previsto e disciplinato espressamente solo per i medici e i dirigenti del ruolo sanitario assume – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa regionale – il preciso significato di circoscrivere a tali categorie il riconoscimento del diritto in questione. Conseguentemente, l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Liguria n. 6 del 2014, nell’estendere al personale sanitario non medico di cui alla legge n. 251 del 2000 la facoltà di svolgere tale attività, ha esorbitato dall’ambito riservato alla legislazione regionale, violando l’art. 117, terzo comma, Cost. Pertanto la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Liguria 31 marzo 2014, n. 6 recante “Disposizioni in materia di esercizio di attività professionale da parte del personale di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) e successive modificazioni e integrazioni”.