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Bari, formazione e accesso al lavoro: intervista ad Amedeo Bianco

Un “piccolo esercito di riserva di medici disoccupati o paraoccupati”: è quanto, secondo il presidente della FNOMCeO Amedeo Bianco, emerge dal confronto tra i dati degli iscritti agli Albi, in possesso della Federazione, e quelli forniti dagli Enti previdenziali.

Ma a cosa si deve questo divario? Uno dei fattori – oltre alla precarizzazione generalizzata del mondo del lavoro – è il numero insufficiente di posti nelle Scuole di Specializzazione e al Corso di Formazione in Medicina Generale. In base alla normativa, infatti, l’ottanta per cento dei posti di lavoro per i medici richiedono anche un titolo di specializzazione o un attestato del corso di formazione in medicina generale. Ma il diciassette per cento dei laureati in medicina – pari a 6637 medici nel 2013 – rimangono fuori dalle Scuole di Specializzazione e dal Corso di Medicina Generale e quindi, di fatto, esclusi dal mercato del lavoro.

È questo della disoccupazione e precarizzazione solo uno dei temi affrontati dal presidente Bianco nel corso dell’intervista rilasciata, in occasione del Convegno del 13-14 giugno a Bari, “Formazione e accesso al Lavoro: innovare per garantire il futuro della Professione”, a Roberta Franceschetti e pubblicata in un numero Speciale del Notiziario dell’Ordine, che sarà distribuito durante l’evento.

In anteprima, l’intervista in versione integrale.

Il 13 e 14 giugno a Bari il Convegno nazionale FNOMCeO metterà al centro del dibattito i giovani e il futuro della professione. Perché avete scelto proprio questo tema?
Perché è uno dei temi fondamentali del presente e del prossimo futuro, soprattutto per le criticità che pone. La formazione pre e post laurea è un elemento chiave della gestione del prossimo futuro. I problemi sono ormai noti, a partire dal numero programmato degli accessi a medicina che non incontra il favore dell’opinione pubblica perché viene vissuto come negazione delle legittime ambizioni dei giovani e perché attorno ai test di ingresso si è sviluppato un clima di sfiducia anche a causa di casi di cronaca amplificati dai media. Tutti concordiamo sul fatto che un corso di studi così lungo e così impegnativo sia per le famiglie che per lo stato, a cui accede 1 studente su 7/8 di quelli che provano il test di ingresso, debba sfociare nell’ingresso nel mondo del lavoro. In base alla normativa attuale l’80% dei posti di lavoro per i medici richiedono anche il possesso di un titolo di specializzazione o al corso di formazione in MG, per cui stiamo parlando di un percorso in tutto di 10/12 anni. Il problema sta quindi nel riuscire a far corrispondere il gettito della formazione con la possibilità di accesso alle scuole di specializzazione.

Alcuni dei problemi maggiormente avvertiti dagli studenti di medicina sono rappresentati dal numero insufficiente di borse di studio, oltre che dalla precarizzazione del mondo del lavoro. Come ritiene si debba operare per evitare l’emorragia di giovani laureati e giovani medici che si trasferiscono all’estero per specializzarsi o per lavorare?
Ci troviamo di fronte ad un paradosso, perché da un lato abbiamo la spinta per aumentare il numero di accessi al corso di laurea in medicina, dall’altro abbiamo laureati italiani che prendono la strada dell’estero. Dal confronto tra dati degli iscritti agli Albi e dati forniti dagli enti previdenziali emerge come esista un piccolo esercito di riserva di professionisti, di medici disoccupati o “paraoccupati”. Un altro problema è rappresentato dalla necessità di trovare una corrispondenza tra l’incremento degli accessi a medicina degli ultimi anni, che vedrà un picco di laureati tra il 2023 e il 2028 e il numero di borse disponibili per le scuole di specialità e quella del corso di Medicina Generale. Anche in questo caso si tratta di allineare i numeri. Si tratta quindi di avere più fondi a disposizione o avere una diversa articolazione del sistema, che sfrutti le strutture del sistema sanitario nazionale – con un approccio formativo dell’”imparare facendo” – e di riuscire a intercettare fondi europei destinati alla formazione. Ci troviamo di fronte alla necessità di mettere in atto un mix di interventi che possano dare risposte concrete ai 10/15 mila nuovi professionisti che usciranno dall’università nei prossimi anni. Il cuore del convegno sta proprio nel cercare di individuare strade che permettano di allineare maggiormente percorsi formativi e accesso al mondo del lavoro. Non possiamo analizzare questi due fattori singolarmente. Dobbiamo fare due passi indietro ed esaminare il problema nel suo complesso.

Quali sono le principali sfide che il sistema sanitario dovrà affrontare dal punto di vista del ruolo e del profilo professionale dei medici?
La sfida principale che il sistema sanitario dovrà affrontare è quella di mantenere fede ai principi di universalismo, equità e solidarietà. Di fronte alla diffusione delle nuove tecnologie, allo sviluppo della conoscenza, alla trasformazione delle organizzazioni sanitarie, si pongono grandi questioni etiche e civili, che possiamo raggruppare sotto il tema della sostenibilità, non intesa in termini economici ma come corrispondenza del sistema ai valori etici della società. Qui entrano in gioco quindi con un ruolo centrale le competenze dei medici, che si manifestano non solo nelle scelte tecniche, ma anche in quelle deontologiche, che hanno un impatto etico e civile. La salute non è la produzione banale di una merce, ma un servizio carico di valore e di significati, con un forte impatto sulla coesione sociale.

Quale sarà il contributo che gli Ordini dei medici potranno dare alle istituzioni in questo campo e come immagina potrà evolvere il ruolo degli Ordini in un sistema sanitario che oggi affronta profondi cambiamenti?
Da anni stiamo inseguendo un progetto di riforma legislativa degli Ordini. Il ruolo che avranno sarà articolato su 3 punti fondamentali. Quello notarile, di tenuta degli Albi, che tutela la salute pubblica. Poi la promozione costante della qualità professionale, attraverso la formazione e l’aggiornamento e nel prossimo futuro anche la capacità di seguire e qualificare lo sviluppo professionale garantendo i cittadini affinché i medici abbiano una valutazione continua delle loro competenze tecniche, ma anche di altri aspetti come la capacità di comunicazione. Infine, avranno il compito disciplinare di verificare e sanzionare eventuali comportamenti scorretti.

Crede che ci sia una crisi del rapporto di fiducia medico-paziente?
Le indagini demoscopiche in realtà dicono che il rapporto di fiducia mantiene livelli alti. È ovvio che la crescita del contenzioso e l’enfasi mediatica su alcuni casi di cronaca hanno un impatto sul rapporto fiduciario, uno degli elementi di sostenibilità non economica cui facevo riferimento prima e su cui si basa l’intero sistema. Io posso investire nel sistema ma se i cittadini non hanno più fiducia, investo invano.

Roberta Franceschetti

Autore: Redazione FNOMCeO

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