I dati parlano chiaro: nei prossimi dieci anni potrebbe verificarsi, anche in Italia, una carenza di medici e specialisti.
Il maggior numero dei professionisti in attività, infatti, appartiene alla cosiddetta “pletora medica”: ha cioè un’età compresa tra i 54 e i 64 anni. Si prevede, perciò, che nei prossimi cinque-dieci anni la maggior parte dei medici oggi attivi andrà in pensione. Ciò a fronte di un incremento del numero di anziani nella popolazione, dovuto all’invecchiamento dei figli del “baby boom”.
Anche il nostro paese, allora, soffrirà del cosiddetto “effetto Gran Bretagna”, ossia sarà costretto a importare medici dall’estero? Gli Ordini segnalano già da tempo questo trend e la necessità di correre ai ripari con una formazione adeguata, non solo nel numero, ma soprattutto nella qualità.
La carenza si farà sentire soprattutto in alcune aree specialistiche. L’Ufficio Stampa ha voluto sentire, sulla questione, Luigi Conte, presidente OMCeO di Udine e membro della Commissione di Lavoro FNOMCeO su “Formazione e valutazione del fabbisogno” che a Bari – come stiamo vedendo – il 18 settembre, darà voce proprio alle “attese degli Ordini rispetto alle facoltà mediche sulla formazione specialistica”.
La FNOMCeO è stata la prima a farsi carico della problematica che si creerà nel futuro se non si farà corretta programmazione: la situazione inglese potrebbe davvero travolgere anche noi?
Assolutamente sì, se mancheranno interventi equilibrati ed attenti alle diverse problematiche. Soprattutto bisognerà coniugare numero di medici con qualità formativa. E’ impensabile, infatti, aumentare esclusivamente il numero di accessi, senza farsi carico di accrescere la capacità didattica e formativa e senza impegnare in modo adeguato le molte e diffuse risorse e competenze del SSN. Già quest’anno si è verificato una rincorsa ad aumentare gli accessi a Medicina da parte di Facoltà che non sono propriamente al vertice della qualità formativa.
E quali sono le aree specialistiche in cui potrebbero verificarsi carenze per il futuro?
Il trend negativo riguarda tutte le specialità. In questo momento le carenze prospettiche più evidenti riguardano Anestesia e Rianimazione, Pediatria, Medicina del Territorio, Chirurgia generale.
C’è quindi bisogno di fare una seria programmazione creando contingenti di accesso flessibili nel tempo e rispondenti alle effettive necessità, in modo che i giovani possano scegliere sia secondo le loro predisposizioni, sia secondo le disponibilità di spazi.
Andrebbero secondo lei revisionate le prove di ammissione alle scuole di specializzazione? Se sì, in che modo?
Le prove di accesso sicuramente vanno modificate: vanno modificate sia quelle di accesso a Medicina, sia quelle di abilitazione all’esercizio professionale, come anche quelle di accesso alle scuole di specializzazione con quiz psico-attitudinali e con quiz di “non technical skill”.
Ma, soprattutto, è da evitare il sistema dei quiz predefiniti tra i quali sorteggiare le domande per l’ammissione alle scuole: ciò induce ad una preparazione sterilmente mnemonica, facendo emergere chi ha più memoria e non il più competente.
Lei ritiene che i livelli politici e istituzionali, così come il SSN nel suo complesso, siano coscienti dei pericoli che corre il nostro Paese in mancanza di una programmazione intelligente e di una corretta visione sul futuro?
Se consapevolezza c’è, è una "sterile" consapevolezza. Dico “sterile” perché non è seguita coerentemente da atti e determinazioni che possano contrastare l’attuale tendenza: prevale, invece, sempre e soltanto l’attenzione ai tagli di spesa ed ai miopi contenimenti dei costi. D’altra parte, se vogliamo porre rimedio ai problemi che si verificheranno nel 2022, dobbiamo decidere adesso, visto che per fare un medico specialista occorrono dagli 11 ai 12 anni.
Invece, ad oggi, per quanto riguarda gli Specialisti, a fronte di un fabbisogno stimato (da Ministero, Regioni ed Ordini) di circa 7000 posti ne vengono finanziati soltanto 5000/anno.
Il ruolo degli Ordini nei confronti della formazione specialistica: quali sono le responsabilità che la professione è in grado di assumersi da subito?
A fronte di dati demografici ben individuati che disegnano una curva di riduzione consistente dei medici attivi dal 2011 fino al 2025, bisogna assumersi la grande responsabilità di commisurare e modulare l’offerta quantitativa di medici ad una domanda che si svilupperà in uno scenario di sistema sicuramente diverso dall’attuale. Ecco quindi il ruolo che ci siamo dati e ci compete come istituzione: capire e delineare lo scenario di sistema della futura sanità del nostro paese e dare risposte adeguate. Ma fatto ciò dobbiamo essere ascoltati dall’Università e da tutti i livelli politici ed istituzionali.
Cosa chiedono, quindi, gli Ordini all’Università, alla Politica, alle istituzioni?
La qualità professionale è l’elemento più importante di cui, come Ordini, ogni giorno, siamo chiamati a rispondere.
I “fondamentali” di un professionista di qualità si costruiscono in un lunghissimo percorso che contempla, oltre ai 6 anni del corso di laurea anche 5 o 6 anni di formazione specialistica. E questa è competenza esclusiva dell’Università a cui costantemente offriamo collaborazione per integrare di più e meglio la formazione pre e post-laurea ai bisogni ed alla complessità del moderno esercizio della nostra professione.
Per riassumere – e in estrema sintesi – ecco quelli che ritengo siano i quattro punti essenziali e imprescindibili:
1) Qualità nella formazione dei professionisti che valorizzi il “saper fare” e “saper essere”;
2) Fattiva attenzione all’evoluzione del sapere medico e delle istanze che vengono dalla società;
3) Giusta valorizzazione dei “non technical skill”, comprendenti abilità cognitive e relazionali;
4) Corretta programmazione degli accessi in rapporto al futuro scenario della professione e della sanità.
Autore: Redazione FNOMCeO