Quanto è diffusa la pratica della circoncisione rituale in Italia? Viene effettuata sempre e solo nei circuiti medici ufficiali? E se no, con quali rischi per la salute? Ancora: è giusto che questi interventi siano a carico del Servizio Sanitario?
A questi interrogativi ha risposto ieri, nell’ex Sinagoga di Padova, un convegno unico nel suo genere che, organizzato dall’Ordine dei Medici insieme all’Associazione Medica Ebraica Italia, ha visto confrontarsi urologi, pediatri, medici legali da una parte e rappresentanti delle diverse religioni dall’altra.
Tra i promotori del Convegno, il presidente dell’Ordine di Padova nonché vicepresidente della FNOMCeO, Maurizio Benato, che ha esaminato il “Profilo etico e deontologico” della questione.
A lui l’Ufficio Stampa ha voluto porre alcune domande su questo argomento poco “battuto” ma che apre la strada a diverse questioni bioetiche, sanitarie, legali.
Presidente, cosa si intende per circoncisione rituale? E quanto questa pratica è diffusa in Italia?
La circoncisione rituale è una pratica antichissima, appartenente a molti popoli, diversi e lontani (Antico Egitto, Africa nera, Australia). Nella religione ebraica viene praticata per specifico comando divino espressamente formulato nella Bibbia (Genesi:17, 9-14; Levitico:12,3, n.d.r.).
Per gli ebrei, l’atto della circoncisione rappresenta l’alleanza fra Dio e il popolo eletto. L’ottavo giorno dopo la nascita, il neonato ebreo viene circonciso ricorrendo all’uso di oggetti rituali (coltello dotato di lama particolare, scudo di protezione, contenitore per il prepuzio): l’evento suggella in modo tangibile l’ingresso del bimbo nella comunità ebraica ed è solo allora che i genitori impongono il nome al circonciso. Pratiche analoghe sono proprie di altre religioni o tradizioni etniche in Africa (passaggio dall’età adolescenziale a maschio adulto).
La pratica della circoncisione maschile è in ogni caso diffusa in molte regioni del mondo e anche in Italia rappresenta un fenomeno emergente in seguito alla presenza di minoranze straniere che per motivi religiosi, tradizionali, culturali o profilattici sottopongono neonati, bambini o adolescenti all’operazione. La circoncisione rituale maschile è riconosciuta e ammessa dalla legge nell’ambito della libertà di culto per la religione ebraica, e per analogia alle popolazioni che professano l’Islam (nei diversi continenti) e alle popolazioni appartenenti ad altre religioni e tradizioni culturali (minoranze etniche africane).
La legge italiana prevede la circoncisione?
Nelle culture che praticano la circoncisione rituale religiosa, questo adempimento costituisce un preciso obbligo personale posto a carico dei genitori, un atto tradizionale di devozione che può essere oggettivamente ricondotto alle forme di esercizio del culto garantite dall’articolo 19 della Costituzione. La conformità della pratica ebraica ai principi del nostro ordinamento giuridico trova conferma in alcuni enunciati della legge 101/1989 (sull’intesa fra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane). I principi stabiliti in tale intesa, per analogia, possono essere estesi a tutte le altre confessioni religiose che pratichino la circoncisione.
E, ad eseguirla, deve essere sempre e solo un medico?
Non necessariamente. Solo quando la circoncisione è motivata da ragioni terapeutiche o profilattiche deve essere realizzata da un medico. Per contro, la circoncisione rituale dei neonati ebrei può essere eseguita non solo da medici, ma anche da altre persone, in genere ministri di culto, competenti e responsabili della corretta effettuazione, con rispetto scrupoloso dell’igiene e dell’asepsi, che garantiscano personalmente la continuità dell’assistenza dopo la circoncisione. Nel caso in cui la circoncisione rituale venga richiesta per un bambino o un adolescente (come è frequentemente il caso degli aderenti all’Islam) o per un adulto (per sua conversione ad una fede che la richieda), l’operazione va assimilata a un vero e proprio piccolo intervento chirurgico e quindi deve essere effettuata da un medico.
Dove viene praticata? L’intervento è a carico del Servizio Sanitario?
L’operazione è esplicitamente esclusa dai LEA e pertanto non può essere eseguita a carico del S.S.N. ma solo a pagamento, presso ospedali e ambulatori disponibili. Non si ritiene infatti che esistano ragioni di carattere etico e sanitario che debbano indurre lo Stato a porre a carico della collettività le pratiche di circoncisione maschile rituale.
La mancata copertura sanitaria può rappresentare motivo di discriminazione fra bambino e bambino, in base al reddito della famiglia o alla minoranza etnica?
In effetti, è proprio quello che si verifica. Da un lato cittadini ebrei o statunitensi trovano, nell’organizzazione della loro Comunità in Italia, presidi e strumenti finanziari adeguati per eseguire senza difficoltà l’intervento di circoncisione. Per contro, le possibilità economiche di molte famiglie immigrate (in particolare quelle africane) non permettono di affrontare il costo dell’intervento in ambito sanitario o la spesa di un viaggio in patria e ricorrono a pratiche tradizionali in casa, esponendo il bambino al rischio di gravi complicazioni.
Con quali pericoli per la Salute?
Le circoncisioni maschili eseguite clandestinamente, non da medici esperti, senza idonei strumenti e garanzie di igiene, asepsi e assistenza, sono pericolose e da contrastare.
È necessario continuare l’opera di sensibilizzazione recentemente avviata dal ministero della Salute. Occorre nel contempo fornire alle famiglie interessate risposte adeguate e reali alternative. È infine opportuno sviluppare, nella formazione dei medici e degli operatori sanitari, i temi e le problematiche legate alla migrazione.
Esistono, nel nostro Paese, dei progetti pilota che vanno in questa direzione?
Sono stati avviati, in via sperimentale, alcuni progetti, ad esempio nelle Regioni del Piemonte, della Liguria, del Friuli Venezia Giulia, tutti con l’obiettivo di garantire interventi fatti da personale qualificato, rispettando tutte le norme di igiene e sicurezza, per evitare operazioni clandestine e rischi di conseguenze negative sulla salute del bambino, con possibili aggravi nei costi sanitari derivanti dal trattamento delle eventuali complicanze.
C’è poi un’altra pratica rituale, definita dalla comunità internazionale con il termine di “Mutilazioni genitali femminili”, ancora molto diffusa soprattutto nei paesi del Sud del mondo. Cosa dice la legge italiana, al proposito?
Tali pratiche hanno come effetto la grave e irreversibile mutilazione irreversibile del corpo femminile e l’alterazione dell’identità psicofisica e non trovano alcuna giustificazione nell’interesse della salute, ma anzi costituiscono una terribile violazione dei diritti umani. Per questo, a differenza della circoncisione maschile, tali pratiche sono espressamente proibite. In Italia, ad esempio, il 9 gennaio 2006 è entrata in vigore un’apposita legge che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chiunque pratichi l’infibulazione.
Eppure, sono ancora tre milioni l’anno le bambine che vengono sottoposte a queste pratiche barbare. In tutto, si stima che le donne che hanno subito una mutilazione genitale siano attualmente 140 milioni.
Autore: Redazione FNOMCeO