La domanda che da medici ci dobbiamo porre di fronte alla richiesta del paziente di essere aiutato nel porre termine alla sua vita in determinate condizioni è questa: “Se oggi il paziente richiede atti che sono in contrasto con i valori del medico, fermo restando che il sanitario può astenersene, può il medico respingere come estraneo alla medicina un aiuto alle scelte autonome dei pazienti che altri medici possono accettare di dare?”
in un recente articolo su questo quotidiano, Antonio Panti, nell’elencare i diversi nodi professionali che gli “Stati Generali” promossi dalla FNOMCeO dovranno affrontare si domanda: La medicina è una scienza fondata su valori immutabili e sulla definizione di ontologie nomotetiche di cui garantisce il progresso sul piano conoscitivo e clinico oppure è una costruzione sociale che varia a seconda di come la società definisce salute e malattia e di come la tecnologia costringe a modificare i confini antropologici della cura?
L’argomento sollevato è di grande attualità e lacerante per la comunità medica. Riemerge proprio in seguito alla Ordinanza della Corte costituzionale N. 207 anno 2018 nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale che vieta l’aiuto al suicidio. In sintesi, come afferma la Consulta, il diritto al suicidio assistito emerge già dalla legislazione vigente sulla base del fatto che il bene giuridico protetto dalla norma denunciata e portata al cospetto della Corte per la sua incostituzionalità, non risiede nel diritto alla vita, ma nella autodeterminazione del paziente (per normazione prevista dal consenso informato nella legge sulle DAT) dove si esprime la libertà e la consapevolezza della decisione del soggetto passivo di porre termine alla propria vita, evitando influssi esterni che possano alterare la sua scelta.
Affido a questa lettera il mio personale contributo alla discussione in atto.
La medicina è una disciplina dalla natura composita. Reperisce nelle scienze fisiche e biologiche molto del suo metodo, della sua logica e della sua teoria, tale per cui potremmo considerarla in un certo senso una branca di queste discipline. Ma la medicina è anche praxis in senso aristotelico ovvero conoscenza applicata agli scopi e ai fini dell’uomo, ed è per questo che la medicina può essere classificata tra le scienze tecnologiche. La medicina, inoltre, cerca anche di modificare i comportamenti individuali e sociali e quindi trae radici anche nelle scienze comportamentali.
Ma non è ancora tutto; la medicina operando attraverso una personale relazione si pone lo scopo di “aiutare” una persona a “migliorare” la salute. Ha un significato valoriale, pertanto, non solo per l’aspetto relazionale radicato nelle scienze umane ma anche per il valore della conoscenza radicato nelle scienze della natura.
Queste ultime non sono solo mezzi di comprensione, ma mezzi di intervento nella vita delle persone e della stessa società e non è possibile l’incontro clinico tra medico e paziente (individuale o sociale che sia) senza la comprensione dei processi fisici del vivente. È chiaro quindi che la medicina ha una propria essenza specifica.
Nello stesso tempo, i confini della medicina stessa sono in continua evoluzione; si allargano dalla tradizionale definizione dell’arte medica, in funzione della diagnosi e della cura delle malattie, alla più complessiva interpretazione dell’intervento medico per la conservazione e il mantenimento della salute fino a favorire tutto ciò che può far stare bene alleviando “il dolore e la sofferenza”.
Questa puntualizzazione ci serve per introdurre la questione, non del tutto risolta, se la medicina debba essere considerata una dottrina o una scienza o un’arte, al di sopra degli “attori” che la interpretano, se detiene un proprio valore ontologico immutabile o sia piuttosto una pratica sociale storica che richiede la cooperazione e il consenso dei vari soggetti e un riconoscimento della società cui fa riferimento. In altri termini quanto deve valere la tradizione e quanto invece la trasformazione operata dai fattori di cambiamento della società sulla domanda di salute?
Ove i fattori di cambiamento diventassero significativi, la tradizione deve essere abbandonata? Non è possibile negare che oggi stiamo vivendo una ennesima crisi periodica della medicina e della professione medica nell’occidente avanzato. Il modello bio-medico scientista a impronta naturalistica, centrato sullo studio causale del nesso tra singole malattie e singoli eventi patogeni interni o provenienti dalla natura esterna all’organismo umano e neo-scientista della post-genomica, coniugante le scienze naturali con le scienze dell’artificiale, oggi si scontra con il modello medico-sociale, modello centrato sull’imputazione preferenziale delle malattie e disabilità dovuto soprattutto agli impatti sulla salute e sulla sua concezione provocati dal milieu culturale e dalle concrete organizzazioni societarie.
La medicina è ancora qui, per offrirci una ricca raccolta di metafore per discutere di salute e malattia nel mirare all’integrità, all’armonia e alla completezza di corpo e mente, circostanza questa che costituisce l’affermazione della dignità dell’individuo; dignità che occupa una posizione centrale nell’etica e nella pratica della medicina.
La qualità di vita è divenuta negli anni più recenti il parametro più importante per misurare l’efficacia di molte attività centrate sulla persona oltre che parametro di giudizio della efficacia. La qualità di vita è intesa ultimamente non solo quale pienezza di attività e di validità psicofisica ma obbiettivo da ricercare anche quando non si è più in grado di tutelare la salute e lo stato di salute è grandemente compromesso.
Alla qualità di vita si aggiunge la valorizzazione del principio di autonomia dell’individuo, nel suo doppio significato di mancanza di dipendenza fisica e psichica ed di espressione della singolarità, unicità e in definitiva di libertà anche nella sua autodeterminazione. Il concetto di autonomia del paziente comporta da parte del medico il rispetto dei valori di fondo che ogni uomo sceglie durante tutta la sua vita e sopra tutto quelli che emergono in quel particolare momento di relazione. Non possiamo sottacere che i valori generali della vita di un paziente sono per lo più determinati dalla storia della società in cui il paziente e anche il medico vivono, compresi quelli determinati da quel periodo di vita sotto osservazione medica che meritano un’attenzione particolare.
Qualità di vita e autonomia, nel senso di autodeterminazione, esigono pertanto nuove attenzioni da parte del medico e reclamano specifiche strategie nell’accompagnamento di fine vita per tutelare la qualità della vita dei pazienti inguaribili in cui il giudizio personale sulla qualità della parte finale della sua vita è inviolabile. È un compito non nuovo, ma che si è ampliato con l’applicazione della tecnologia e che impone di aiutare i pazienti a terminare la loro vita secondo i loro valori.
Così, mentre il concetto di salute biologico, cioè di integrità della vita psicofisica, può essere ritenuto universale e relativamente invariante attraverso la storia in quanto legato alle caratteristiche biologiche dell’essere umano, non è così per la qualità della vita a determinare la quale concorrono componenti influenzate dalla cultura, dalla situazione sociale, familiare, politica, economica in cui l’individuo sta vivendo: in breve dalla storia.
Allora, se l’assistenza ai malati costituisce una consistente costante storica e culturale, così come la centralità del rapporto medico-paziente e il modo di interpretare malattia, infermità e disturbo, nonché la risposta a queste, è anche vero che la medicina deve cercare la propria direzione mediante un dialogo continuo con la società, nel corso del quale ciascuno dei due interlocutori preserva la propria sfera legittima dei propri diritti e dei propri doveri.
La medicina ha certamente scopi intrinseci, frutto di ideali più o meno universali e di pratiche di carattere storico, ma le sue conoscenze e le sue abilità si prestano ad essere intese in misura significativa anche in termini di costruzione sociale. Il pericolo vero che si corre, se non si è attenti, è di ridurre il primo punto di vista al secondo e non quello di sostenerli entrambi in un fecondo rapporto di tensione reciproca. La domanda che da medici ci dobbiamo porre alla richiesta del paziente di essere aiutato nel porre termine alla sua vita in determinate condizioni è questa: se oggi il paziente richiede atti che sono in contrasto con i valori del medico, fermo restando che il sanitario può astenersene, può il medico respingere come estraneo alla medicina un aiuto alle scelte autonome dei pazienti che altri medici possono accettare di dare?
Maurizio Benato
Componente Gruppo di lavoro Stati Generali e Consulta Deontologica Fnomceo
Pubblicato su QuotidianoSanità
Autore: Redazione