Benato: la Salute è anche un mercato?

Consumerismo, “commercio di malattie”, pubblicità, profitti: molti sono gli elementi del Mercato che si inseriscono in un contesto, quello della Sanità, che non è certo solo regolato dalla legge della domanda e dell’offerta.

Ma la Salute è anche un mercato? E questo costituisce una minaccia per la Deontologia o, al contrario, ne è proprio uno dei presupposti?

L’Ufficio Stampa lo ha chiesto al vicepresidente della FNOMCeO, Maurizio Benato che, il 12 ottobre, a Padova, rappresenterà la Federazione al Convegno “Pubblicità sanitaria o commercio della professione?”.

Presidente, al Convegno di Padova lei solleverà una domanda provocatoria: “La pubblicità mina la Deontologia?”. Qual è la sua risposte?
La pubblicità non mina la Deontologia che, come tale, è sottoposta a costanti revisioni in conseguenza delle modificazioni dei contenuti della disciplina e dei contesti storici in cui si esercita, ma sgretola le basi su cui si sviluppa il ragionamento etico che la supporta.
Rende difficile mantenere l’integrità e l’ autonomia professionale.
L’ autonomia del medico è infatti strettamente collegata al principio della giustizia e dell’equa distribuzione delle risorse, che è presente sia nell’esercizio pubblico della professione, sia in quello privato.
Ma, pensandoci, forse questo è anche il male minore perché la pubblicità interviene ben più in profondità: snatura l’integrità della nostra disciplina e permette al mercato di servirsi dei suoi contenuti professionali. In questo modo, la Professione diventa una ancella triste del potere economico.
Difendere la professione significa difendere il significato più intimo del termine professare, quello indicato dal latino Profiteor, che significa metter in evidenza, mettere davanti a tutti ciò che si è, che si ha, ciò che si crede, che si sa, nella teoria e nella pratica, con il solo vincolo di essere di aiuto al paziente e alla società intera .

Ma la Salute si può considerare un mercato?
Anche se la Salute non può essere considerata come un mercato, non si può comunque negare che abbia, con il mercato, molti punti in comune: innanzitutto, entrambi sono il luogo dove si incontrano domanda – che per la Sanità è domanda, da parte della Società, di prestazioni e servizi – e offerta.
In questo senso, la Medicina non solo è un mercato, ma è anche un mercato rischioso, perché zeppo di "anomalie". Pensiamo al fatto che nel servizio sanitario esiste un "terzo" pagante, tramite tra tra chi chiede una prestazione e chi la eroga; che tutto quanto riguarda la medicina è dominato dall’incertezza dei risultati; pensiamo alla forte asimmetria di informazione che esiste tra operatori sanitari e utenti, e alla difficilissima misurabilità della qualità dei servizi.
Non solo: non dobbiamo sottovalutare il rischio di conflitti di interesse, la scarsa trasparenza delle modalità attraverso cui si prendono decisioni. E tutto questo si combina, in una miscela esplosiva, con una potenzialità di domanda pressoché illimitata.
In questa cornice, si può ben capire come a sanità sia comunque un mercato dove la domanda può essere fortemente influenzata dall’offerta, quindi con grandi potenzialità di profitto.

E per sfruttare queste potenzialità di profitto, a volte si va anche oltre la pubblicità di prestazioni e servizi. Ha fatto molto rumore, recentemente, l’uscita del libro di Miche Bocci e Fabio Tonacci “La mangiatoia”, dove torna alla ribalta il fenomeno del “disease mongering”, il commercio di malattie…

L’idea di partenza poteva anche essere meritoria: portare una patologia in piazza per farla conoscere, e magari raccogliere soldi per ricerca e assistenza. Il sistema però è cresciuto a dismisura. Si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine. Oppure di curare malattie che una volta non erano malattie.
Le giornate del malato, come certi studi clinici, i convegni e le pubblicità, in alcuni casi possono essere utilizzate per il cosiddetto disease mongering, la creazione a tavolino delle malattie.
La stessa osteoporosi, la menopausa, la timidezza, un tempo non erano considerate patologie, ora sì. Una recente ricerca scientifica, svolta negli Usa e pubblicata da Social science & medicine, prende in considerazione una decina di situazioni -ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, infertilità, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno – che sono state “medicalizzate”, alcune magari anche giustamente, negli ultimi anni e calcola che costino ogni anno alla sanità Usa settantasette miliardi di dollari, il 3,9% della spesa. Ci siamo chiesti quanto costi, in Italia medicalizzare le patologie che un tempo non esistevano?

Sempre più si parla, anche in Sanità, di Consumerismo. Quali sono le caratteristiche del “Consumatore di Salute”?
Nel modello neoclassico di Mercato, il Consumatore è sovrano e le sue decisioni possono influenzare sia la produzione che il mercato stesso.
Nel “mercato sanitario”, al contrario, è l’anello più debole: deve formulare la propria domanda in condizioni di estrema necessità in assenza o scarsità di informazioni e in condizioni di elevatissima asimmetria informativa.
Il fenomeno del consumerismo in sanità ha diverse ricadute, anche in positivo, sulla Relazione di Cura e sui modelli sociali di fruizione dei servizi sanitari. Si esprime in atteggiamenti e comportamenti del paziente tali da mettere in questione il tradizionale rapporto medico-paziente, basato sull’autonomia e sul potere decisionale del primo rispetto alla deferenza e passività del secondo. Il nuovo paziente “consumatore” è, infatti, più istruito, più informato, più “riflessivo”, quindi più esigente e perfino più “aggressivo”. È meno fedele ad un singolo medico, più propenso a ricorrere alle medicine “alternative”, all’auto-cura e, finanche, alle denunce alla magistratura. Espressione di queste nuove esigenze sono le Carte dei diritti del malato, la verifica della qualità dei servizi, una nuova attenzione alla customer satisfaction.

E in tutto questo, qual è il ruolo della Deontologia?
È proprio da queste premesse che nasce il bisogno di Deontologia: la Deontologia è un aspetto dell’etica che investe il medico non per la sua coscienza, ma per il suo ruolo sociale e soprattutto relazionale.
La deontologia corregge infatti l’asimmetria del rapporto medico paziente, esplicitando le norme di comportamento cui i sanitari si impegnano ad attenersi, e nello stesso tempo tutela il paziente da eventuali comportamenti illeciti dei membri della professione.
In un mondo dominato da un mercato che può condizionarlo pesantemente, il medico deve coltivare elementi indipendenti di giudizio, non avere conflitti di interesse, agire in piena autonomia.
È un supplemento di onestà che gli viene richiesto. Ecco spiegato come tra le prerogative di una professione intellettuale spicca, e non per ultimo, il riferimento a un codice deontologico, volto ad abilitare il controllo e la trasparenza sociale.

Autore: Redazione FNOMCeO

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