Illustre Direttore,
il Dr. Gian Antonio Stella, nell’edizione del 2 gennaio c.a. del quotidiano da Lei diretto, a pag. 36 sul “disordine che fa comodo agli Ordini”, mi chiama in causa, sollecitandomi ad un breve commento. Nell’articolo, tutte le argomentazioni prendono spunto da una cronaca di fatti e circostanze oscillanti tra l’illecito amministrativo e la connivenza in attività criminose, che hanno visto coinvolti professionisti sui quali si è espressa, in vari gradi di giudizio, la Magistratura.
Il dott. Stella si domanda perché gli Ordini professionali non hanno visto, né documentato, né denunciato prima tali illeciti e perché aspettano le sentenze in giudicato, per sanzionarli sul piano disciplinare; dopo a che serve? Di conseguenza, a che servono questi organismi? Credo che questo teorema sia ingeneroso e mistificante, nella misura in cui attribuisce agli Ordini funzioni e profili di responsabilità che, nei fatti citati, essi non avevano né potevano assumere, dal momento che la nostra Costituzione affida alla Magistratura ordinaria il compito di accertare la sussistenza o meno di un reato penale o di un illecito amministrativo, nonché la definizione delle peculiari responsabilità dei soggetti coinvolti.
In queste circostanze specifiche, laddove cioè il merito di una presunta violazione disciplinare coincide o deriva da un presunto reato, soprattutto se richiesto dall’incolpato, il principio generale di garanzia e l’evidente diversa capacità inquirente dei soggetti deputati al giudizio,vuole che l’eventuale sanzione disciplinare comminata dagli Ordini segua e non preceda la definitiva sentenza. Fanno eccezione i casi in cui l’evidenza dei fatti è inoppugnabile perché documentata o ammissoria ed è già avvenuto che professionisti siano stati severamente sanzionati dagli Ordini di appartenenza prima ancora che la Magistratura formulasse un capo di imputazione. Sempre in questi casi, il procedimento disciplinare conserva la propria autonomia ed efficacia nel valutare sotto il profilo deontologico la violazione accertata. Infatti le sanzioni comminate possono anche discostarsi dalla valutazione giudiziaria al punto che la stessa Magistratura – oltre che il sanzionato – possono impugnarle.
In tutti gli altri casi, l’esercizio del potere disciplinare avviene secondo procedure e criteri del tutto autonomi, salvo intercettare l’ordinamento giudiziario generale presso la Suprema Corte di Cassazione. In conclusione ritengo che le Istituzioni ordinistiche – che ricordo essere organi ausiliari dello Stato totalmente finanziati dalle categorie rappresentate – non siano affatto esenti da limiti e manchevolezze, dunque possono e devono fare di più e meglio ma, parallelamente, necessitano di maggiore fiducia, meno pregiudizi e soprattutto di nuove norme per un governo autonomo e responsabile della qualità, del decoro, della legalità, della sicurezza dell’esercizio professionale a tutela dei diritti dei cittadini. A questo servono, oggi più che mai, gli Ordini professionali!
P.S. Il mio nome è Amedeo e non Annibale, questo sarebbe forse azzeccato, ma inquietante, se davvero pensassi come il dott. Stella, che nelle fattispecie riportate, gli Ordini possono servire a tenere ordine “al di là” degli iter giudiziari.
Autore: Redazione FNOMCeO