Biondelli: donne e dipendenze

Intervenendo ad un autorevole workshop su "Possibili percorsi e scenari di cura nell’ambito delle dipendenze" organizzato al Senato dall’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione, la senatrice Franca Biondelli ha affrontato con grande intensità e precisione il tema del rapporto tra donne e dipendenze. Sono intervenuti tra gli altri Roberto Piscitello (del Ministero di grazia e giustizia), Icro Maremmani (presidente della SITD) e Alfio Lucchini (presidente di Federsert).

Pubblichiamo con piacere, qui sotto, l’intervento della senatrice Biondelli.

“Possibili percorsi e scenari di cura nell’ambito delle dipendenze”

La tematica oggi affrontata è stata ed è oggetto di ampio dibattito e sicuramente di accurati studi. Proprio per la sua vastità cercherò, in modo molto sintetico, di esplicitare il mio pensiero sia in funzione del mio ruolo in Senato nella Commissione Salute, ma soprattutto in quanto particolarmente sensibile al ruolo della donna. Donne e dipendenze è argomento che nella più ampia problematica che oggi trattiamo, assume per me una particolare rilevanza anche per l’impatto che noi donne abbiamo nell’ambito sociale. Ho letto ed ho trovato molto interessante lo studio di quello che viene ritenuto un grande esperto europeo in materia, il Dr. William Lowenstein (psichiatrafrancese che da ventiquattro anni è in prima linea nella lottacontro le assuefazioni, è autore del libro “Donnee dipendenze – una malattia del secolo”), e ne condivido le riflessioni sulle dipendenze al femminile.
Stressate da una vita che le obbliga a ricoprire troppi ruoli, sempre più donne diventano schiave di alcol, fumo, cocaina. Ma anche dell’anoressia o perfino della chirurgia estetica.  La dipendenza è una vera malattia neuropsichiatrica, che colpisce proprio chi è più sensibile alle emozioni. Anche se facciamo finta di non saperlo, accade. Di nascosto, schiacciate da vergogna e sensi di colpa, sempre più donne si drogano o diventano vittime di comportamenti compulsivi. Sono adolescenti, impiegate, casalinghe, manager che tentano disperatamente di tenere testa a un’esistenza frenetica e carica di stress. La loro vita è una corsa a ostacoli che richiede performance di volta in volta più alte. Come maratonete in affanno, si dopano con alcolici, psicofarmaci, cocaina, anfetamine, sigarette e cibo. E c’è chi, per sentirsi più sicura, ricorre ossessivamente persino alla chirurgia estetica. I dati parlano chiaro. Cinque milioni di italiane sono schiave della nicotina. L’8 per cento delle ragazze soffre di disturbi alimentari. L’alcolismo femminile fa oltre 7.000 vittime all’anno, e il consumo tra le giovanissime è quasi raddoppiato in 12 mesi: il 16,8 per cento delle ragazze tra i 14 e i 17 anni beve fuori pasto, contro il 9,6 dell’anno scorso. Per non parlare del consumo di cocaina, esploso soprattutto tra le teenager. La sniffano il 2,5 per cento delle ragazze e l’1,9 delle giovani tra i 25 e i 34 anni. Eppure nessuno ne parla, c’è una gigantesca rimozione collettiva. Come se la dipendenza fosse una piaga maschile.
La dipendenza in un certo senso è una malattia delle emozioni nel senso che il rapporto con gli altri costa grande fatica, si ha sempre paura di non farcela, di non essere all’altezza Così si ricorre a sostanze o comportamenti coatti che offrono un’iniezione di autostima, un momento di euforia dopo tanto sfinimento. Parlare della dipendenza femminile significa anche rompere un tabù, cambiare la mentalità corrente ed evitare molte morti inutili tra le donne. Le donne dipendenti subiscono molto più degli uomini la riprovazione sociale. Soffrono in silenzio, si nascondono, sopraffatte dalla vergogna. Solo una donna su sei uomini si rivolge a un centro pubblico per farsi curare. E lo fa magari dopo otto anni che ha cominciato a essere schiava di una sostanza. Devono agire al più presto, invece. Sapendo che la dipendenza non nasce da una scarsa forza di volontà: è una vera malattia neuropsichiatrica e come tale va curata». Le donne sono più a rischio degli uomini in quanto particolarmente vulnerabili, anche per cause biologiche. Il loro umore, il ritmo del sonno, la fame sono influenzati dagli ormoni e dai loro sbalzi nel corso della vita: durante il ciclo mestruale, la pubertà, la gravidanza la menopausa, Le tempeste ormonali spesso provocano depressione e ansia, che nel sesso femminile sono tre volte più frequenti. Questa fragilità rende le donne più vulnerabili verso la dipendenza da sostanze che alleviano la fatica di vivere. Ma non è il solito motivo. Ci sono anche ragioni sociali, più determinanti. Le donne moderne coprono un’infinità di ruoli tutti assieme: sono mogli, madri, amiche, padrone di casa, figlie di genitori anziani da accudire, professioniste brillanti. Questo comporta un perenne stato di iper-attività, spesso causa di depressione e ansia. E impossibile soddisfare tutte le richieste e le aspettative. Per essere all’altezza, molte scelgono la strada del doping in tutte le sue sfaccettature.
Per cercare una via d’uscita occorre accettare che si tratta di una vera malattia. E farsi curare. Prima possibile.
Quando si parla di dipendenze al femminile occorre perciò tener presenti diversità tanto fisiologiche che sociali ma, soprattutto, occorre considerare il fatto che il ruolo della donna è diventato via via più complesso e sfaccettato, che alle incombenze tradizionali se ne sono sostituite ed aggiunte di nuove.
Inoltre, quando si osserva la situazione delle donne rispetto al problema della dipendenza, si nota che anche in questo ambito (soprattutto nel caso del consumo di droghe illegali) esse sono confrontate con un mondo prevalentemente maschile, dove non di rado si ricorre alla violenza; non va poi dimenticato che spesso le donne sono anche madri e devono prendersi cura tanto dei figli e, sovente, anche del proprio partner.
Per questi motivi, soprattutto tenendo presente il ruolo centrale che la donna spesso riveste nella famiglia, è stata compiuta una serie di tentativi di nuovi approcci sesso-specifi, p.es. nell’ambito della cura della tossicodipendenza, in cui si prende in considerazione la donna in quanto madre, offrendole la possibilità di restare vicina ai figli ed aiutandola a trovare un alloggio adeguato;in quanto perno anche economico della famiglia, aiutandola a trovare lavoro (attraverso la riqualifica professionale), cercando poi di aiutarla a recuperare la stima di sé. Si è poi tenuto conto non solo della figura femminile ma anche dei figli, attraverso la presa a carico dei problemi dei bambini, garantendo loro un adeguato un sostegno psicologico e la gestione delle questioni legate alla scuola e alla loro salute. Questo è solo uno degli esempi possibili di “approccio di genere” al problema della dipendenza; chiaramente in questo caso l’intervento è di carattere terapeutico e non preventivo. E’ questa la chiave di volta sulla quale insistere.

Autore: Redazione FNOMCeO

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