Biotestamento: la partita ora si gioca alla Camera

Il Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Giuseppe Palumbo (PdL) valuta che per metà ottobre il disegno di legge sul testamento biologico potrebbe approdare nell’Aula di Montecitorio. Dal 15 settembre, infatti, la Commissione ha avviato l’esame del testo licenziato dal Senato il 26 marzo, unitamente ad altri 11 ddl, ma è chiaro ormai che la base è costituita da quel testo del Senato (ddl Calabrò), di cui è relatore alla Camera Domenico Di Virgilio (PdL). Palumbo sottolinea anche “la chiara volontà di apportare dei miglioramenti al testo” e di procedere con alcune audizioni.
Palumbo spiega poi che l’approvazione della legge, la scorsa settimana, sulle cure palliative da parte della Camera “spianerà la strada” anche alla legge sul testamento biologico.
Si è confermato, in questo avvio di attività parlamentare, che la materia del testamento biologico, che implica considerazioni di fondo sull’etica di fine vita, continua a registrare posizioni molto distanti tra maggioranza e opposizione, nonché posizioni differenziate sia nella maggioranza sia nell’opposizione.

La ‘non obbligatorietà delle cure’ secondo il TAR-Lazio
Ma, a complicare ancora di più il quadro di riferimento di queste contrapposizioni, è intervenuta una sentenza del TAR del Lazio, il 17 settembre, che nel respingere il ricorso del Movimento per la difesa del cittadino (Mdf) verso la direttiva del Ministro Maurizio Sacconi nei giorni del caso Englaro, ha posto dei paletti proprio sul principio della “non obbligatorietà delle cure”, uno dei nodi cruciali del ddl sul testamento biologico in discussione in commissione Affari sociali della Camera. Ovviamente, il pronunciamento del TAR-Lazio ha rimovimentato la giostra delle posizioni e delle dichiarazioni di tutte le parti politiche, ognuna di esse impegnata a tirare la sentenza dalla propria parte, anche se, in effetti, il pronunciamento in sé non presenta e non ha effetti così sconvolgenti.
Intanto i giudici del Tar del Lazio si dichiarano incompetenti per difetto di giurisdizione, rinviando la decisione al giudice civile ordinario. Si ricorderà che il provvedimento di Sacconi, del 16 dicembre 2008, contestato nel ricorso al Tar, stabiliva l’illegalità della sospensione di nutrizione e idratazione artificiale ai pazienti nelle strutture pubbliche, nel contesto della vicenda di Eluana Englaro. Ma il TAR-Lazio, nel dichiararsi ‘incompetente’, ha al tempo stesso formulato alcune precisazioni circa il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari che “è fondato sulla disponibilità del bene ‘salute’ da parte del diretto interessato e sfocia nel suo consenso informato ad una determinata prestazione sanitaria”. I giudici della III sezione quater del Tar del Lazio, presieduta da Mario Di Giuseppe, scrivono  che “i pazienti in stato vegetativo permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare, non devono, in ogni caso, essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso possano, nel caso in cui la loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti”.
In conseguenza di ciò “la verifica circa l’obbligatorietà della prestazione sempre e comunque di trattamenti sanitari, anche nell’ipotesi di accertata volontà contraria del paziente, attiene al diritto della dignità umana che, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve essere tutelata”.

Confronto senza tanti complimenti tra maggioranza e opposizione
Le posizioni ‘distanti’ sul ddl sul testamento biologico sono altrettanto distanti anche sul pronunciamento del TAR. Il Ministro Sacconi, per esempio, difende comunque la ‘sua’ cosiddetta ‘norma Englaro’, da approvare, magari stralciandola dal ddl sul testamento biologico: “Una norma che sancisca l’inalienabile diritto all’alimentazione e all’idratazione per offrire una certezza normativa coerente con l’articolo 2 della Carta costituzionale e con il riconoscimento del valore della vita che è presente nella tradizione largamente condivisa del nostro popolo”. Gli dà man forte Eugenia Roccella che parla di “interpretazione ideologica” da parte del TAR.
Di parere opposto Ignazio Marino: “La sentenza del Tar è importantissima perché chiarisce una volta per tutte che idratazione e nutrizione artificiali sono delle terapie e come tali devono essere considerate”. Precisa Marino: “La sentenza del Tar del Lazio chiarisce molte ambiguità che si erano create in occasione della drammatica vicenda di Eluana Englaro. Il Tar infatti afferma che non è possibile imporre l’alimentazione e l’idratazione artificiale ad un paziente, nemmeno nel caso si trovi in stato vegetativo permanente. E’ evidente che si tratterebbe di una discriminazione tra due pazienti, tra due cittadini italiani, che invece devono avere gli stessi identici diritti rispetto alla scelta delle terapie, come prevede del resto la nostra Costituzione. E proprio per non incorrere nuovamente in queste ambiguità –conclude Marino- serve che il Parlamento voti una legge equilibrata sul testamento biologico, una legge che rispetti tutti e che permetta a tutti di poter scegliere quali terapie si ritengono accettabili se un giorno ci si trovasse nella condizione di non poter più esprimere direttamente il proprio consenso informato”.
Ma il rimpallo di dichiarazioni pro e contro la sentenza del TAR è infinito, e, come spesso accade, ognuno si sente autorizzato a dire la sua, anche prescindendo dalla situazione reale del momento, vale a dire dal fatto che in commissione Affari sociali e quindi nell’Aula della Camera il dibattito è concentrato sul ddl Calabrò. Al momento questo è il tema. E lo stesso Raffaele Calabrò (PdL), relatore al Senato del testo, lo evidenzia, riferendosi al TAR-Lazio: “Non è una questione di libertà di coscienza, che non è in discussione ferma restando l’esistenza di una linea largamente maggioritaria nel PdL: in gioco c’è la concezione stessa di sovranità popolare, se per avallare le proprie tesi ci si spinge a dire che il legislatore debba sottomettersi alle improvvide teorizzazioni di un Tar nella valutazione di costituzionalità di una legge”.

Cortocircuito tra Codice deontologico, Costituzione e legislazione
Certo, il clima è quello che è. E non è facile prevedere se si stempererà da qui alla metà di ottobre, cosa auspicata, in qualche modo, dal Collegio italiano dei chirurghi (CIC), che nel chiedere un’audizione alla commissione Affari sociali, ha articolato così la propria valutazione in una lettera pubblica indirizzata alla politica: “Gia’ all’indomani dell’approvazione al Senato avevo espresso alcune perplessità. La prima di queste è stata ulteriormente sottolineata dalla recentissima sentenza del Tar del Lazio. Di fatto, opinioni scientifiche, quasi unanimemente condivise circa la nutrizione e l’idratazione artificiale, erano state completamente disattese”. Inizia così la lettera aperta di Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi (Cic), a proposito della decisione del Tribunale amministrativo del Lazio che ha stabilito che a nessuna persona, cosciente o incosciente, possono essere imposte idratazione e nutrizione artificiali. “I professori Contaldo e Muscatiroli- continua Forestieri nella lettera- a nome di tutte le Società scientifiche di nutrizione, e sulla base della letteratura internazionale, avevano affermato, nelle relative audizioni, che la nutrizione artificiale è un trattamento medico e, come tale, richiede un opportuno consenso informato. Ricordo che i diritti dell’autodeterminazione e della salute sono ampiamente garantiti e regolati dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione italiana”. Il chirurgo poi si augura che “questa sentenza, anziché inasprire ulteriormente gli animi, ci faccia finalmente comprendere che tematiche così importanti devono essere affrontate con la mente aperta e libera, senza condizionamenti religiosi o politici. E’ innegabile, infatti, che finora vi siano stati eccessi propagandistici da entrambe le parti e che su temi del genere nessuno possa avere delle certezze. L’importante è, però- sottolinea- che si dialoghi senza preconcetti e senza pregiudizi, con il solo intento di fare leggi sagge e giuste”. Per quanto concerne il testamento biologico, il Collegio italiano dei chirurghi ha “da tempo fatto specifica richiesta di audizione alla XII Commissione Affari sociali. E’ opinione concorde del Collegio di non tenere in alcun conto le posizioni ideologiche, e tanto meno politiche, di alcuno. Ci raccomandiamo solo che ai medici vengano date delle norme chiare, che non siano contraddittorie tra loro e che non creino dei pericolosi equivoci tra codice deontologico, Carta costituzionale e legislazione”. Quasi il timore di un corto circuito tra norme.

Il CIC auspica che si tenga conto di tutti gli aspetti
La nota continua con un chiaro riferimento al caso Englaro: “Passata l’ondata emotiva del singolo caso e sulla scorta dei pronunciamenti della Corte di Cassazione e del Tar del Lazio, un rinnovato clima di una serena discussione potrebbe anche essere un’opportunità per varare una legge che regoli chiaramente le DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento), non solo per i pazienti in coma vegetativo permanente, che rappresentano un’esigua minoranza (meno dello 0,005%), ma per tutti coloro che volessero lasciare disposizioni anche per altri fini, quali, ad esempio, la donazione di organi o la donazione del corpo a fini scientifici. Ciò- ricorda Forestieri- sarebbe estremamente importante per la formazione ed il perfezionamento dei chirurghi italiani. Molti di questi, infatti, sono costretti ad andare all’estero e pagare fior di quattrini per potersi esercitare sui cadaveri, modalità di apprendimento assolutamente indispensabile ed insostituibile". In conclusione il presidente del Cic avverte: "Se il fine e’ evitare l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, non vi è bisogno di alcuna legge ulteriore. Se, invece, si vuole affrontare un tema più complesso e generale che, inevitabilmente, porterà a discussioni e lacerazioni prima di giungere ad una scelta condivisa, allora lo si faccia completamente e in tutti i suoi molteplici aspetti. Per questo- annuncia- con spirito unicamente costruttivo, il Collegio rinnova la più completa disponibilità a collaborare, nella speranza che la Commissione Affari sociali prenda in considerazione la richiesta di audizione avanzata”.
Ma è nei meandri della politica che le posizioni tendono a differenziarsi più per scelta di schieramento che per aderenza al tema in oggetto, pur con alcune eccezioni. Il Vice-Presidente del Senato Domenico Nania (PdL), per esempio, sostiene che “Il ddl Calabrò- aggiunge- può essere migliorato nella parte in cui prevede l’assoluta indisponibilità della vita ‘senza che sia necessario’ per impedire l’eutanasia o il suicidio assistito. È l’inviolabilità della vita, ai sensi dell’art.2 della Costituzione, valore insopprimibile e precedente a qualunque altro che fa argine contro chi vuole aprire una breccia nel nostro ordinamento giuridico per introdurre il sostegno del Servizio sanitario nazionale, e dunque della Repubblica, a chi vuole anticipare la morte per denutrizione e disidratazione in quanto ritiene la vita che gli rimane non degna di essere vissuta”. Sempre dalle fila del PdL, la voce del radicale Benedetto Della Vedova su sentenza TAR e ddl Calabrò: “Dovendo motivare perché si rifiutava un ricorso per difetto di giurisdizione, i giudici amministrativi – prosegue Della Vedova – hanno spiegato che in ballo c’era un diritto costituzionale e quindi non spettava a loro sentenziare. Potranno aver male interpretato la Costituzione, ma non hanno debordato dalla loro funzione. La stessa interpretazione della Costituzione, per altro,  sul caso Eluana l’avevano già data la Cassazione e la Corte d’Appello di Milano”. Per Della Vedova “anziché scandalizzarsi intravedendo una congiura politica della magistratura, si farebbe bene a riflettere sul fatto che forse il testo Calabrò, semplicemente, così com’è, non è costituzionale e che forse è meglio evitare di porre in imbarazzo il Quirinale prima e, nel caso di promulgazione, di portare lo scontro – e se la legge venisse approvata senza radicali variazioni si arriverà al primo caso di una famiglia che voglia rispettare le volontà di un paziente incosciente – fino alla Corte Costituzionale. Sono d’accordo che non si debba giocare al massacro delle istituzioni e dello Stato di diritto, ma allora la via maestra non è quella di aggirare la Costituzione e additare al pubblico ludibrio i magistrati che la applicano, ma quella di modificare la stessa carta fondamentale”.

I giudici TAR: niente pregiudizi, solo rispetto della Costituzione
Ferma, infine, la posizione dei giudici amministrativi sulle critiche che gli sono piovute addosso da parti della politica. L’ANMA, Associazione Nazionale Magistrati Amministrativi con il suo segretario Alessandro Maggio, è categorica: “Tutte le sentenze sono evidentemente suscettibili di critica, ma non è accettabile – aggiunge Maggio – che si imputi ai giudici di assumere decisioni dettate da pregiudizi ideologici o ancor più da volontà di condizionare in qualche modo le scelte politiche, atteso che, al contrario, tutte le pronunce costituiscono esclusivamente applicazione delle norme di diritto ed in primis della Costituzione”. Nello specifico, inoltre, non può non rimarcarsi che solo “una non meditata e poco attenta lettura della sentenza – conclude l’Anma – può aver portato ad affermare che essa sia frutto ‘della fantasia della giustizia amministrativa’ o che ‘incarni in sé il virus del totalitarismo’, tenuto conto, che i giudici si sono limitati ad applicare principi pacifici in tema di riparto di giurisdizione, alla stregua dei quali non sono entrati nel merito della controversia”.

Autore: Redazione FNOMCeO

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