08 APR – Gentile Direttore,
l’intervento della collega Mancin mi costringe, mio malgrado, a scrivere ancora. Prima osservazione. Rilevo una tale sintonia concettuale e direi quasi lessicale in tutti gli interventi che mi hanno contestato da far pensare che ho toccato un punto nodale. In vita mia ho sempre sostenuto con fermezza le mie opinioni e così mi attendo dalle giovani colleghe. Chi è di Casa Pound?
Seconda osservazione. “Per noi che abbiamo tutta la carriera davanti far fronte a una società così evoluta e a un concetto così rivoluzionario di scienza avendo a disposizione i mezzi del 900 rappresenterebbe una condanna e una sconfitta”. Riporto la conclusione della collega per chiedere se intende rinunciare ai RX, alla penicillina e all’insulina da un lato, dall’altro al servizio sanitario, tutte conquiste del 900.
Terza osservazione. “Fare il medico oggi è molto diverso che farlo nel 900”. Anche farlo nel 900 era diverso che farlo nell’800 e così via; esercitare nel 2030 sarà completamente diverso rispetto al 2010 e basti pensare alle applicazioni dell’I.A.
Quarta osservazione. Siccome si è parlato del mio passato, il mio impegno ordinistico e sindacale è sempre stato volto al tentativo di adeguare la professione allo sviluppo della società, al rispetto della libertà della persona, alla coerenza della prassi con la scienza, alla tutela della professione in ogni ambito. Ciò mi ha posto in contrasto con molti che ora scoprono che il mondo è cambiato e se lo avessero scoperto prima tante difficoltà della professione ce le saremmo evitate. Mi ha sempre appassionato il futuro della medicina, consapevole che il passato non ritorna e che il medico deve stare assai attento perché niente gli sfugga di quel che accade nella scienza e nella società.
Quinta osservazione. Mi sono sempre dedicato alla “questione medica” portando, con tanti altri colleghi più validi di me, la medicina generale in Italia, fondando la SIMG e introducendo i primi moduli del consenso informato. Non mi pento del mio passato sindacale, come, ne sono certo, non si pente Cavicchi del suo, perché entrambi abbiamo portato, pur in diverse sedi, sempre le nostre idee e i nostri convincimenti politici e etici.
Sesta osservazione. Ci deve essere un fraintendimento. Coordinerò un gruppo sulle prime 30 tesi a Roma e desidero soltanto contribuire alla discussione cercando il bandolo della matassa, convinto che non dobbiamo costruire un nuovo ponte bensì un’altra arcata del ponte del progresso medico.
Settima osservazione. Ho chiesto alle giovani colleghe di spiegare cosa intendessero per “libertà del medico all’interno del metodo” e per “appreso paradigma”. Se si parla del ragionamento clinico c’è qualcosa da aggiungere alla sterminata letteratura sull’argomento? Se si parla di metodo clinico posso assicurare che i miei maestri durante il corso di laurea dal 1955 al ’61, e erano Greppi, Lunedei e Teodori, mi hanno insegnato che la conoscenza della medicina porta alla diagnosi solo e soltanto se integrata dal suo vissuto, dai suoi valori e da quelli dominanti, dal “che lavoro fa”, dal contesto sociale e familiare. Le stesse cose mi raccomandava mio padre, laureato nel ’35, allievo di Schupfer, Chiarugi e Valdoni. E’ chiaro che abbiamo fatto una gran fatica per star dietro alla scienza, alla società, alla sanità che cambia e al paziente con queste. Ma qual è “l’appreso paradigma” tra i tanti esistenti?
Ottava osservazione. Se, come può accadere a chi ripete e si batte per le stesse cose da tempo, ho assunto un tono vagamente didascalico mi dispiace perché ricordo quanto mi arrabbiavo da giovane.
Ultima osservazione. Infine, caro Direttore, speriamo che il dibattito si estenda e che altri intervenga con maggior competenza metodologica o filosofica della mia. Si potrebbe aspettare i risultati dell’iniziativa del 17 maggio a Roma per riprendere il discorso alla luce di un più ampio confronto.
Riconosco di cuore l’impegno dei giovani che è di grande importanza e lo apprezzo vivamente.
Antonio Panti
Post scriptum
1. La medicina prosegue la sua corsa appassionante
2. Un certo clima sociale aveva abituato il medico a un certo grado di libertà
3. Oggi scienza, cittadini, giudici, amministratori e politici pongono condizionamenti
4. Questi condizionamenti sono malposti ma inevitabili
5. Rischiamo di perdere la più grande conquista per la sanità cioè il servizio nazionale
6. Occupiamoci di questi immani problemi
7. Ai quali si aggiungono le incombenti trasformazioni dell’innovazione informatica
Pubblicato su QuotidianoSanità
Autore: Redazione