Cassazione Civile Ord. 21473/19 – Dirigenti medici – Danno da demansionamento

Occorre ribadire il principio già affermato da questa Corte secondo cui “ai fini della distribuzione degli incarichi (nella specie degli interventi chirurgici ai medici del reparto) assumono valore prioritario la competenza e la capacità degli operatori sanitari, dovendosi ritenere una diversa soluzione, che assegni preminenza ad un criterio di equa ripartizione del lavoro, in contrasto con il fondamentale diritto alla salute dei cittadini”. Discende dal principio di diritto enunciato, nonché da quanto si è detto sull’equivalenza degli incarichi, che il dirigente medico non ha un diritto soggettivo ad effettuare interventi che siano qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dall’art. 1 del D.Lgs. n. 502 del 1992, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura che perseguano l’obiettivo di garantire efficienza e qualità del servizio da assicurare al paziente. Ciò non significa che la professionalità del dirigente medico non riceva alcuna tutela, perché innanzitutto deve essere garantito al dirigente di svolgere un’attività che sia correlata alla professionalità posseduta, sicché il dirigente stesso non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto e allo stesso non assimilabile sulla base delle corrispondenze stabilite a livello regolamentare.

FATTO E DIRITTO: Rilevato 1. Che la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado con la quale l’Azienda Ospedaliera  (Omissis) era stata condannata al risarcimento del danno da demansionamento in favore di G. C.; 1.1. che la statuizione di conferma è stata fondata sulla considerazione che la notevole riduzione nel periodo dedotto degli interventi chirurgici assegnati al C., medico chirurgo pediatrico, titolare di “incarico di natura professionale di alta specializzazione a valenza aziendale nell’area della cardiochirurgia”, comportava significativa riduzione qualitativa dell’attività professionale espletata dal sanitario; ciò in quanto la pratica chirurgica costituiva l’attività più professionalizzante e qualificata per un chirurgo e non era sostituibile con lo svolgimento di altra attività; irrilevante era la circostanza che il contratto non prevedesse un numero minimo di interventi chirurgici all’anno perché il lavoratore non aveva rivendicato il diritto ad un determinato numero minimo di interventi ma lamentato che, nonostante l’intensificazione della attività cardiochirurgica nell’Ospedale, il numero di interventi assegnatigli nel corso degli anni 2009 e 2010 aveva subito, senza alcuna giustificazione, un notevole ridimensionamento; 2. che per la cassazione della decisione l’Azienda Ospedaliera (Omissis) ha proposto ricorso sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso; che entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis .1. cod. proc. civ.; Considerato 1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, censurando, in sintesi, la sentenza impugnata per avere affermato che vi era stata riduzione dell’attività chirurgica nel periodo 2009/2010, in contrasto con le emergenze in atti le quali attestavano che il C., negli anni in contestazione aveva effettuato un numero di interventi in linea con quelli degli anni precedenti e per non avere considerato il profilo qualitativo degli interventi effettuati dal C. quale emergente dalla prova orale; 2. Che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla affermata carenza di giustificazioni circa il ridimensionamento dell’attività chirurgica affidata al sanitario nel periodo 2009/2010; il giudice di appello non aveva, infatti, tenuto conto del comportamento poco collaborativo del chirurgo il quale, a partire dall’ottobre 2008, non aveva partecipato alle riunioni organizzative e programmatorie dell’attività chirurgica, e del fatto che il C., per varie ragioni, era rimasto assente dal servizio, circostanze queste che rendevano la riduzione dell’attività chirurgica non imputabile all’Azienda sanitaria; 3. che con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere collegato la affermata dequalificazione professionale alla sola riduzione quantitativa dell’attività chirurgica nel periodo 2009/2010 laddove tale riduzione, in tanto poteva assumere rilevanza in quanto comportante depauperamento del bagaglio professionale; 4. che con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronunzia sul motivo di impugnazione con il quale essa Azienda aveva investito la statuizione di condanna al risarcimento del danno in favore del C.; 5. che con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art.132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere omesso di motivare in merito al risarcimento del danno liquidato; 6. che con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art.360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt.1218, 1223, 1226, 2013 e 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto il danno da demansionamento nonostante l’assenza di ogni deduzione ed allegazione sul punto da parte del ricorrente che lo aveva sostanzialmente configurato come in re ipsa, quale conseguenza automatica dell’asserito demansionamento; 7. che il terzo motivo di ricorso è fondato, con effetto di assorbimento degli altri motivi. La sentenza impugnata, infatti, pur formalmente convenendo che il C. non aveva rivendicato la effettuazione di uno specifico numero di interventi chirurgici annui, ha, tuttavia, in concreto, ritenuto integrato il denunziato demansionamento sulla base della sola riduzione del numero degli stessi, così mostrando di collegare la dequalificazione al mancato rispetto di uno specifico standard numerico di interventi da effettuare; 7.1. che la decisione si pone, pertanto, in contrasto con il principio, ripetutamente affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale, nel pubblico impiego contrattualizzato, i dirigenti medici non hanno un diritto soggettivo a svolgere interventi equivalenti per qualità e quantità a quelli affidati ad altri dirigenti della medesima struttura, né a quelli svolti nel passato. I poteri che derivano dalla preposizione alla struttura, che sono sostanzialmente quelli già individuati in passato dal d.P.R. n. 761 del 20.12.1979, sono funzionali alla posizione di garanzia che si assume nei confronti del paziente, perché la necessaria tutela del fondamentale diritto dei cittadini alla salute impone al dirigente della struttura e, nel caso di attività chirurgica, al capo equipe di organizzare e sorvegliare anche il lavoro altrui in modo da prevenire errori dai quali possa derivare una lesione al paziente (cfr. Cass.pen.28.7.2015 n. 33329 sulla posizione di garanzia del capo equipe e Cass.pen. 28.6.2007 n. 39609 sulla delega in ambito sanitario). In relazione a detta posizione di garanzia, considerato anche che il dirigente della struttura deve perseguire obiettivi finalizzati «all’efficace utilizzo delle risorse e all’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità» occorre, pertanto, ribadire il principio già affermato da questa Corte secondo cui «ai fini della distribuzione degli incarichi (nella specie degli interventi chirurgici ai medici del reparto) assumono valore prioritario la competenza e la capacità degli operatori sanitari, dovendosi ritenere una diversa soluzione, che assegni preminenza ad un criterio di equa ripartizione del lavoro, in contrasto con il fondamentale diritto alla salute dei cittadini» ( Cass.7.10.2013 n. 22789), Discende dal principio di diritto enunciato, nonché da quanto si è detto sull’equivalenza degli incarichi, che il dirigente medico non ha un diritto soggettivo ad effettuare interventi che siano qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dall’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura che perseguano l’obiettivo di garantire efficienza e qualità del servizio da assicurare al paziente. Ciò non significa che la professionalità del dirigente medico non riceva alcuna tutela, perché innanzitutto deve essere garantito al dirigente di svolgere un’attività che sia correlata alla professionalità posseduta, sicché il dirigente stesso non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto e allo stesso non assimilabile sulla base delle corrispondenze stabilite a livello regolamentare. Inoltre, poiché, come si è detto, il datore di lavoro è tenuto al rispetto dei principi di correttezza e buona fede, l’esercizio del diritto non può essere ispirato da finalità vessatorie né avvenire causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali il diritto medesimo è attribuito; 7.2. che, pertanto, si impone la cassazione in parte qua della decisione con rinvio ad altro giudice di secondo grado, che si indica nella Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, per una rivalutazione della fattispecie alla luce dei principi richiamati; 8. che al giudice del rinvio è altresì demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità; P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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