Cassazione Civile Ord. n. 2369/18 – Consenso informato – Con specifico riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire: da un lato, che il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico; dall’altro, che, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute.
FATTO E DIRITTO: S. S., con atto di citazione ritualmente notificato, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rossano il dr. G. S. e l’ASL n. 3 di Rossano, in persona del legale rappresentante pro tempore, per ivi sentir condannare i convenuti al risarcimento di tutti i danni (biologico, da invalidità permanente, alla vita di relazione, ecc) da essa subiti in occasione dell’intervento di legatura delle tube. In punto di fatto, parte attorea deduceva che: – in data 15 aprile 1996 era stata ricoverata per gravidanza a termine, presso la Divisione di Ostetricia e di Ginecologia del Presidio Ospedaliero di (Omissis); al momento del ricovero le sue condizioni risultavano soddisfacenti, come emerge dalla cartella clinica prodotta in atti; – in data 18 aprile 1996 era stata sottoposta ad intervento di parto mediante taglio cesareo, a causa dei possibili rischi a carico dell’utero, per essere stata già sottoposta ad altro parto cesareo; al termine di tale intervento i sanitari avevano effettuato la legatura e sezione delle tube, senza il suo consenso e senza che fossero intervenute, nel corso dell’operazione, complicanze tali da giustificare clinicamente un intervento di sterilizzazione d’urgenza; – era venuta a conoscenza di tale ultimo intervento soltanto all’inizio del 1998, allorquando il proprio medico ginecologo, al quale si era rivolta per una visita, le aveva dato lettura della copia del cartellino di dimissione del presidio Ospedaliero di (Omissis); – nel mese di giugno del 1998, aveva effettuato presso l’Ospedale di Corigliano una salpingografia bilaterale, che aveva confermato l’avvenuto intervento. Tanto premesso, parte attorea deduceva che – poiché non aveva mai prestato alcun consenso all’intervento di legatura e sezione delle tube; e poiché tale intervento non era in alcun modo necessitato dall’andamento del parto cesareo – sussisteva nel caso di specie una responsabilità del professionista e della struttura sanitaria. Si costituiva in cancelleria l’Asl n 3 di Rossano in persona del Direttore Generale, la quale evidenziava l’assoluta non censurabilità del comportamento professionale serbato dal dr. S. sia dal punto di vista medico-clinico che dal punto di vista deontologico. Invero, le condizioni della sig.ra S. S., sottoposta in occasione di una precedente gravidanza ad intervento di taglio cesareo, erano tali da consigliare di evitare una terza ed ulteriore gravidanza che avrebbe messo in pericolo l’incolumità fisica della donna, peraltro portatrice di rimarchevoli deficit organici afferenti al proprio apparato riproduttivo-genitale. D’altra parte, secondo la ricostruzione della vicenda offerta dal convenuto, la S. era stata resa edotta delle circostanze ora esposte e la stessa aveva prestato il proprio consenso, sebbene non nella forma scritta. Sulla scorta di tali considerazioni, ritenuto di non potersi addebitare alcuna responsabilità alla struttura sanitaria convenuta, la difesa dell’Asl concludeva per il rigetto della domanda proposta dalla sig.ra S. S. La Corte di Cassazione ha rilevato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti (col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’ “id quod plerumque accidie, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo); b) il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente c) il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume astratta rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica. In definitiva, occorre qui ribadire che, in materia di consenso informato, il giudice deve interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico – dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato – ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo. Infatti, se il paziente avesse comunque e consapevolmente acconsentito all’intervento, dichiarandosi disposto a subirlo qual che ne fossero gli esiti e le conseguenze, anche all’esito di una incompleta informazione nei termini poc’anzi indicati, sarebbe insussistente il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e la lesione della salute, proprio perché il paziente avrebbe, in ogni caso, consapevolmente subito quella incolpevole lesione, all’esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario. Pertanto, con specifico riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire: da un lato, che il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico (Sez. 3, sent. n. 20984 del 27/11/2012, Rv. 624388 – 01); dall’altro, che, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute. In definitiva, dal complesso motivazionale di entrambe le sentenze di merito non risulta traccia che la S. abbia dato prova del fatto che, se fosse stata adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione).