Cassazione Civile Ordinanza n. 10719/19 – Tutela della salute

Cassazione Civile Ordinanza n. 10719/19 – Tutela della salute – Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica. La Corte di Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso di una ASL e cassato una sentenza della Corte d’Appello di Firenze  con cui si autorizzava il rimborso a un cittadino, che chiedeva l’erogazione gratuita di una terapia nota come metodo Dikul, ossia un metodo di rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata – conosciuta anche con l’acronimo R.I.C. – per soggetti colpiti da lesioni midollari, eseguita presso un centro specializzato.

FATTO E DIRITTO: La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 7 agosto 2013, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda di L. L. L. intesa ad ottenere la condanna dell’azienda ospedaliera (AUSL n.10 di Fiorenze) ad erogargli gratuitamente la terapia nota come metodo Dikul, ossia un metodo di rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata – conosciuta anche con l’acronimo R.I.C. – per soggetti colpiti da lesioni midollari, eseguita presso un centro specializzato (nella specie, il Centro Giusti di Firenze); 2. la Corte di merito accoglieva la domanda di erogazione gratuita della terapia rilevando, come emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, che la predetta terapia, pur in mancanza di validazione scientifica, aveva dimostrato indubbi ed obiettivi effetti positivi sulle condizioni di salute dell’attuale intimato così integrando il significativo beneficio in termini di salute e, quindi, la sussistenza dei requisiti, di appropriatezza ed efficacia, richiesti dall’art. 1, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992, nel testo modificato dall’art.1 del d.lgs. n.229 del 1999, per la somministrazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale; 3. ricorre avverso tale sentenza la ASL n.10 di Firenze affidandosi a tre articolati motivi, ulteriormente illustrati con memoria, al quale L. L.L. ha resistito. con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria; CONSIDERATO CHE 4. come primo motivo di ricorso la Asl numero 10 di Firenze deduce l’ omessa motivazione in ordine al rigetto della propria istanza di integrazione istruttoria ex articolo 345 cod.proc.civ.; violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 comma uno della Costituzione; lamenta che la Corte abbia implicitamente disatteso senza alcuna motivazione la domanda di integrazione istruttoria che aveva ad oggetto i piani riabilitativi concretamente predisposti dal servizio sanitario nazionale per pazienti che versano in condizioni fisiche analoghe a quelle dell’attuale intimato, al fine di accertare che essi includono di regola anche l’individuazione di un programma di esercizi fisici da effettuarsi a domicilio miranti al i potenziamento della struttura osteo muscolare e al recupero degli arti inferiori; ribadisce che al c.t.u. era stato chiesto di valutare se i benefici psicofisici eventualmente ottenuti dal L. L. fossero o meno confrontabili con quelli ottenibili con le terapie offerte dal servizio sanitario nazionale mentre il consulente riconosceva soltanto che le prestazioni erogate erano sovrapponibili, essendo diversa la durata dei trattamenti, e che inoltre nel SSN si tende a potenziare la funzionalità residua dalla lesione e non a stimolare la riattivazione di quelle perdute; 5. come secondo motivo deduce la motivazione omessa o apparente su un punto decisivo della controversia e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 comma 1 Cost. e lamenta che il giudice di merito abbia ritenuto che analoghi miglioramenti non fossero stati precedentemente conseguiti dal L. L. con la riabilitazione tradizionale erogata dal SSN, mentre questo periodo di riabilitazione era durato appena quattro mesi ed era stato svolto a ridosso dell’incidente, sicché non vi era alcuna materiale possibilità di effettuare una seria comparazione tra i risultati ottenuti con le due terapie; 6. come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 commi 2 e 7 del d.lgs n. 502 del 1992, motivazione omessa o apparente su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 comma 1 Cost.; lamenta che non si sia considerato che per la sostenibilità del costo a carico del servizio sanitario nazionale sono necessarie le evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute a livello individuale o collettivo a fronte delle risorse impiegate; aggiunge che la terapia RIC non presenta alcuna caratteristica innovativa per ciò che attiene alle tecniche di riabilitazione e difetta di riscontri positivi nella letteratura scientifica mondiale; lamenta, infine, che la Corte non abbia valutato il requisito dell’economicità effettuando una valutazione comparativa con i costi settimanali della terapia riabilitativa offerta attraverso strutture pubbliche o convenzionate; 7. i motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati;8. occorre esaminare, in primo luogo, le previsioni normative che attengono ai presupposti per l’erogazione da parte del S.S.N. di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico; 9. questa Corte (da ultimo, v. Cass. 4 settembre 2014, n. 18676, Cass. 22 agosto 2016, n.17244, Cass. 19 marzo 2018, n. 6775), proprio con riferimento alla terapia RIC, altrimenti detta Dikul, ha già avuto modo di enunciare il principio che il relativo diritto deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata dal d.lgs 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1, nel testo vigente, che detta le disposizioni in materia di tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza; 10. il comma 2 enuncia i principi ispiratori del Servizio Sanitario Nazionale, ove dispone che «Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma 3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, numero 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal piano Sanitario Nazionale nel rispetto dei principi della dignità umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità dell’impiego delle risorse»; 11. al successivo comma 7 indica il contenuto dei cosiddetti L.E.A. (livelli essenziali di assistenza), individuando anche le prestazioni che ne sono escluse, ove prevede che «Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2; non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza»; 12. in definitiva, per l’erogazione gratuita di prestazioni sanitarie da parte del Servizio Sanitario Nazionale si richiede il rispetto dei seguenti criteri: – che le prestazioni presentino, per le specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica; – l’ appropriatezza, che impone che vi sia corrispondenza tra la patologia e il trattamento secondo un criterio di stretta necessità, tale da conseguire il migliore risultato terapeutico con la minore incidenza sulla qualità della vita del paziente; I’ economicità nell’impiego delle risorse, che impone infine di valutare la presenza di altre forme di assistenza meno costose e volte a soddisfare le medesime esigenze, di efficacia comparabile, considerando quindi la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale (così Cass. S.U. 27-02- 2012, n. 2923); 13. si tratta di requisiti concorrenti che coniugano, ragionevolmente, le diverse esigenze, concernenti la sfera della collettività e la tutela individuale, in più occasioni richiamate dal Giudice delle leggi in riferimento al diritto alla salute: i condizionamenti derivanti dalle risorse finanziarie di cui lo Stato dispone per organizzare il Servizio sanitario, da una parte, e il nucleo irriducibile del diritto alla salute come ambito inviolabile della dignità umana, dall’altra (cfr. Cass. 19 marzo 2018, n. 6775 e, fra le altre, Corte Cost. nn. 354 del 2008, 432 del 2005, 252 del 2001, 509 del 2000, 309 del 1999); 14. anche nella visione eurounitaria, l’ elevato livello di protezione della salute umana garantito dall’ art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza) e dall’art. 168 T.F.U.E. deve comunque tenere conto delle linee di politica sanitaria seguite dagli Stati nazionali per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica (art. 168, comma 7) occorrendo coniugare la limitatezza delle risorse pubbliche disponibili e la necessità di soddisfare con esse un numero quanto più ampio possibile di fruitori; 15. ne deriva che la pretesa di scelta della modalità tecnica della cura presso un centro non accreditato con il S.S.N. non può derivare solo dal maggiore gradimento soggettivo, occorrendo l’inettitudine delle metodiche pubbliche anche sotto il profilo psicologico- motivazionale; 16. la Corte territoriale non ha condotto la propria analisi in coerenza con i principi esposti: 17. difatti, ha ritenuto giustificato l’intervento del servizio pubblico sulla sola base dell’efficacia della cura rispetto alla situazione del L. L., senza tenere conto dei requisiti dell’evidenza scientifica, dell’appropriatezza e dell’economicità, in ordine alle quali la deduzione e prova incombe sul richiedente; 18. si ricava, in particolare, dalle argomentazioni del giudice di merito che il c.t.u., malgrado il quesito che gli era stato posto, non ha accertato che la terapia RIC abbia apportato per il paziente risultati apprezzabilmente migliori di quelli che si sarebbero potuti ottenere praticando le prestazioni sanitarie già ricomprese nei LEA e dispensate dal SSN, avendo riferito che rispetto a queste il metodo R.I.C. non presenta specifiche diversità al di là dell’ “intensità” del trattamento (pg. 5 della sentenza); 19. mancano, in definitiva, nella sentenza e nelle risultanze di causa le evidenze scientifiche della maggiore validità della RIC, atteso che il ricorrente, come si evince dagli atti, ha eseguito la terapia ASL solo per un brevissimo tempo (contro gli anni di RIC) e a ridosso dell’incidente; 20. l’adeguata comparazione avrebbe infatti richiesto una valutazione non solo degli obiettivi, ma dei risultati ottenibili con i trattamenti somministrati per una durata omogenea, desumibili dal caso specifico, od anche da altri casi o da un’asseverazione della scienza medica, e del resto la Corte di merito ha rimarcato proprio la circostanza che rispetto alle terapie tradizionali, erogate dal SSN, non vi sono particolari specificità diverse dalla «intensità» del trattamento (così a pag. 5 della sentenza);21. in conclusione, la sentenza impugnata, che ha riconosciuto l’erogabilità, da parte del S.S.N., sulla base dei soli riscontri di efficacia effettivamente ottenuti sulle condizioni personali di vita del paziente e sull’innescarsi, in conseguenza della terapia RIC, di un meccanismo proficuo di causa-effetto alimentato dai risultati raggiunti e da quelli potenzialmente ancora raggiungibili, non si è conformata ai predetti principi, deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto in assenza di deduzione e prova dei requisiti illustrati nei paragrafi che precedono, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda, in coerenza con la soluzione adottata da questa Corte nei più recenti arresti resi in fattispecie analoghe (v. Cass. n. 6775 del 2018, n. 17244 del 2016); 22. il consolidarsi del descritto orientamento di legittimità in epoca successiva al deposito del ricorso consiglia la compensazione delle spese del giudizio di merito; le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa le spese dei gradi di merito; condanna la parte intimata al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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