Cassazione Civile Ord. n. 7250/18 – Responsabilità medica – Omessa o difettosa tenuta della cartella clinica – Questa Corte, chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della omessa tenuta o lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto, vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico – ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell’esecuzione delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale ex art. 1176 c.c. – controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati. Al riguardo, è stato precisato come la difettosa tenuta della cartella non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla. Pertanto l’ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l’esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall’altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova.
FATTO E DIRITTO: Con citazione notificata il 7 luglio 2007 i genitori della minore G. B. convennero dinanzi al Tribunale di Pinerolo l’Azienda Sanitaria Ospedaliera San Luigi Gonzaga (ora Azienda Ospedaliera Universitaria S. Luigi di Orbassano) ed i due medici V. V. e C. M. chiedendo accertarsi che a causa della non conformità dell’operato dei predetti ai criteri di diligenza professionale non soltanto non si erano risolte le patologie originarie dalle quali era afflitta la figlia (mal occlusione dentale) ma era conseguito un peggioramento della condizione clinica (consistito nella perdita dei denti, deterioramento della situazione occlusale, persistenti dolori e lesioni) e derivati danni patrimoniali e non patrimoniali dei quali chiedevano il risarcimento. In particolare, dedussero: – di aver affidato nel 1994 la minore alle cure della dr.ssa C. M., in servizio presso il reparto di Odontostomatologia della convenuta struttura sanitaria, la quale le aveva prescritto un apparecchio ortodontico che la predetta aveva utilizzato per sei anni sottoponendosi a controlli periodici presso la struttura; – nel 2000, a fronte dell’ingravescenza algica e della persistenza della mal occlusione, la M. indicò alla paziente, divenuta maggiorenne, la necessità di eseguire un intervento chirurgico al fine di spostare il mascellare, intervento descritto come semplice e di breve durata nonché risolutivo per il problema occlusale, previi trattamenti preliminari presso il proprio studio di Torino dove in effetti la stessa paziente si era recata più volte; – a fine 2000, la paziente era stata presentata a V. V., anch’egli medico in servizio presso la stessa struttura sanitaria, il quale l’aveva sottoposta ad un delicato intervento di chirurgia maxillofacciale di avanzamento del mascellare superiore a seguito del quale veniva dimessa il 9 gennaio 2001 “con la bocca in contenzione, la faccia tumefatta, l’impossibilità di masticare e un blocco mascellare per 45 giorni”; – anche dopo la rimozione delle n. R.G. 4565/2015 AC. 0_19.01.2018 Pres. G. T. rei. i. A. contenzioni, la situazione era rimasta critica, tant’è che aveva perso l’anno scolastico e che nel luglio dello stesso anno, ad un controllo radiografico, erano stati riscontrati il distacco delle placche di contenzione dell’osso nonché la grave infiammazione dell’apparato gengivale; – successivamente, presso la struttura sanitaria de qua le venivano estratti diversi denti e nel luglio 2003 le fu praticato un intervento di rimozione delle placche di sintesi, senza però alcun miglioramento dello stato di salute; – di essersi rivolta ad altro medico e di aver appurato che presso l’Ospedale San Luigi non era reperibile la documentazione clinica relativa alla propria vicenda; – di essersi sottoposta a cure endodontiche “per bonificare carie e patologie gengivali derivate quale conseguenza dell’imperito trattamento precedentemente ricevuto” sostenendo che le fosse residuato un “peggioramento della salute del cavo orale rispetto a quello iniziale”.”. Si costituirono sia la convenuta Azienda Ospedaliera S. Luigi Gonzaga sia Vittorio Vercellino chiedendo il rigetto della domanda; C. M. restò contumace. Veniva autorizzata la chiamata in causa della Fondiaria SAI s.p.a. richiesta da V., ammessa ed esperita la Consulenza Tecnica d’Ufficio e disposta anche una integrazione peritale, il Tribunale di Pinerolo con sentenza 13-16/08/2011 n. 275 rigettò la domanda, compensando le spese di lite, salvo il costo della C.T.U. posta a carico di parte attrice. La Corte d’appello di Torino, nel respingere l’impugnazione di G. B., per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la sentenza di primo grado andasse confermata nella parte in cui aveva affermato che l’onere della prova circa la sussistenza di un nesso eziologico tra le varie terapie – asseritamente incongrue e non corrette – prestate dai sanitari M. e V. alla paziente (in un arco quasi decennale) ed il peggioramento della salute – incombesse su quest’ultima e che tale onere non fosse stato assolto tenuto conto che il consulente aveva riferito di non essere in grado di rispondere a nessuno degli articolati quesiti postigli, a n. R.G. 4565/2015 AC. 09.01.2018 Pres. G. T. rel. I. A. causa dell’assenza di significativi riscontri documentali che valessero ad orientare le indagini. Propone ricorso per cassazione G. B. mediante quattro motivi. Rispondono con controricorso l’Azienda Ospedaliera Universitaria S. Luigi di Orbassano e C. M.. Secondo la Corte territoriale: – “in termini del tutto corretti e condivisibili il giudice di prime cure ha affermato che l’onere della prova circa la sussistenza di un nesso eziologico tra le varie terapie prestate dai sanitari M. e V. alla B. in un arco quasi decennale asseritamente incongrue e non corrette ed il peggioramento della salute dell’appellante- incombeva a quest’ultima» (onere che non sarebbe stato assolto in quanto non corroborato neppure dalla esperita consulenza tecnica d’ufficio) ; – “il consulente ha riferito di non essere in grado di rispondere a nessuno degli articolati quesiti postigli a causa dell’assenza di significativi riscontri documentali che volessero orientare le indagini (…) nessun consulente potrà esprimere giudizio sul risultato di un trattamento sanitario senza avere la possibilità di esaminare gli elementi diagnostici probatori antecedenti alle terapie”. Ad avviso della ricorrente, la richiamata motivazione, pertanto, avrebbe omesso di prendere in considerazione un fatto decisivo per il giudizio con riferimento a nesso causale concernente lo smarrimento della documentazione sanitaria relativa alle terapie somministratele sicché la difettosa tenuta della cartella clinica non poteva risolversi in suo danno n. R.G. 4565/2015 AC. 09.01.2018 Pres. G. Travaglino rel. I. Ambrosi anche in considerazione del fatto che il giudice di prime cure in proposito aveva ordinato ex art. 210 c.p.c. l’ordine di esibizione della documentazione sia all’azienda sanitaria sia alla M., ordine restato “senza alcun esito” come espressamente motivato dal giudice di prime cure (in quanto l’azienda dichiarava di averla non rinvenuta, restando in proposito del tutto silente la M.). Avrebbe violato anche il dettato degli artt. 1176 e 2118 c.c. in quanto gli smarrimenti di documentazione imputabili al medico o alla struttura possono rilevare ai fini del nesso eziologico presunto. Con il quarto motivo [“Violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c. e agli artt. 2, 13 e 32 Costituzione, art. 29 del codice di deontologia medica la ricorrente denuncia la parte di motivazione in cui la Corte di merito ha ritenuto che “Infine e sempre in aderenza alle conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale l’assenza di ogni riscontro circa la sussistenza di un nesso eziologico nei termini sopra illustrati, consegue l’irrilevanza della questione vertente sul preteso mancato consenso informato che diverrebbe di attualità solo per l’ipotesi di riscontrato rapporto di causalità tra cure non adeguatamente illustrate in anteprima ed il n. R.G. 4565/2015 AC. 09.01.2018 Pres. G. Travaglino rel. I. Ambrosi peggioramento delle condizioni di salute dell’appellante” così violando l’art.112 c.p.c. non facendosi carico del denunciato inadempimento contrattuale e non valutando la lesione del diritto all’autodeterminazione fonte di autonomo danno rispetto al danno alla salute. I quattro motivi, da esaminare congiuntamente in quanto reciprocamente connessi, sono fondati e meritano accoglimento per quanto di ragione nei termini di seguito illustrati. Questa Corte, chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della omessa tenuta o lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto (Cass. 21/07/2003, n. 11316; Cass. sez. un. 11/01/2008, n. 577), vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico – ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell’esecuzione delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale ex art. 1176 c.c. – controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati (Cass. n. 1538 26/01/2010; Cass. 18/09/2009, n. 20101). Al riguardo, è stato precisato come la difettosa tenuta della cartella non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla. Pertanto l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, essendo, però, a tal fine necessario sia che l’esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella, sia che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno. Alla luce dei principi sin qui richiamati, la motivazione della sentenza impugnata non resiste alle censure formulate in ricorso. In effetti, il giudice di merito si è limitato a dare atto dell’acclarata insufficienza di elementi cognitivi in ordine alle modalità di esecuzione delle terapie e degli interventi per effetto dello smarrimento della cartella clinica e della indisponibilità di documentazione sanitaria inerente alla ricorrente, senza attribuire a tali elementi il rilievo probatorio che invece doveva esservi connesso. A fronte dei motivi di gravame volti ad evidenziare come già il giudice di prime cure non avesse adeguatamente valutato le conseguenze dell’omessa esibizione documentale da parte delle convenute sull’onere della prova circa l’esistenza di un nesso causale tra le asserite cure errate ed il peggioramento delle condizioni di salute della paziente, la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente corrette e condivisibili le argomentazioni del tribunale. A ciò aggiungasi che la Corte territoriale, dopo aver riportato le ulteriori considerazioni del CTU nuovamente interpellato il quale aveva, da un lato, ribadito che “l’attuale stato della paziente può essere compatibile con il risultato ottenuto in seguito ad atti terapeutici corretti” atteso che risultava come la stessa non si fosse sottoposta ad un trattamento ortodontico di perfezionamento, spesso necessario dopo la correzione n. R.G. 4565/2015 AC. 09.01.2018 Pres. G. Travaglino rel. I. Ambrosi chirurgica della mal occlusione e, dall’altro, aveva concluso di non avere elementi per stabilire eventuali responsabilità dei sanitari coinvolti (in una situazione di fatto mutata nel tempo, a nove anni di distanza dai fatti e senza documentazioni strumentali ante status quo) – ha ancora una volta apoditticamente omesso di verificare la sussistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente nel caso come quello in esame ove il medesimo nesso non poteva essere accertato proprio a causa della incompletezza della documentazione sanitaria, con argomentazioni, per un verso, tautologiche e, per l’altro, oscure, volte a ritenere non dimostrata la sussistenza dell’invocato nesso di causalità tra le terapie praticate dalla Basile «di cui non vi sarebbe riscontro certo” rispetto a quelle originarie e precedenti gli interventi dei sanitari. Ritiene il collegio che tali argomentazioni non sono conformi alle regole in materia di riparto dell’onere della prova sopra meglio richiamate e segnatamente al seguente principio “l’ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l’esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall’altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova”. In conclusione, vanno accolti i motivi di ricorso e la sentenza cassata.