Cassazione Civile Ordinanza N. 8886/2020 – Responsabilità medica

La suprema Corte ha affermato cheil principio di diritto secondo cui la causalità materiale tra illecito ed evento dannoso deve ritenersi sussistente a prescindere dall’esistenza ed entità delle pregresse situazioni patologiche aventi valore concausale, ancorché eventualmente preponderanti. Nel caso di specie, gli eventi naturali sopravvenuti (emorragia e deficienza respiratoria) non avrebbero interrotto il nesso causale che ha legato l’insorgenza della malattia con le trasfusioni infette ricevute.”

FATTO E DIRITTO. Rilevato che: 1. Nel 2005, V., S., S. e M. M. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di B., il M. della S., al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del decesso della rispettiva moglie e madre, R. C., avvenuta nel 2002 in conseguenza di una epatopatia cronica I-ICV contratta a seguito di trasfusioni di sangue eseguite fra il 1982 e il 1990 presso l’Ospedale di B.. Si costituì in giudizio il M. convenuto, eccependo la nullità della citazione, il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni e, nel merito, la infondatezza della pretesa. Istruita la causa mediante prova per testi e due consulenze tecniche medico-legali, il Tribunale adito, con sentenza n. 3040/2012, rigettò le domande attoree. In particolare, il Tribunale ritenne prescritta la domanda di risarcimento del danno iure successionis, osservando che, in ogni caso, la somma che sarebbe spettata in relazione alla invalidità permanente della avente diritto (accertata dai c.t.u. nella misura del1’8% o del 15%) sarebbe stata comunque inferiore o equivalente all’importo al quale gli eredi avevano diritto a titolo di indennizzo ex L. 210/1992; escluse inoltre il diritto degli attori ad ottenere il risarcimento dei danni da perdita parentale, reputando non sussistente il nesso causale tra la patologia epatica della C. e il suo decesso e considerando quale fattore causale autonomo le pregresse patologie da cui era affetta la paziente; osservò inoltre che i M. non avevano provato che la morte della congiunta avesse inciso pregiudizievolmente sul loro stato di salute, ovvero che avesse comportato una diminuzione della loro sfera patrimoniale. 2. La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di B., con la sentenza n. 1514/2017, depositata il 9 ottobre 2017. La Corte territoriale, conformemente al giudice di primo grado, ha escluso la sussistenza del nesso di causalità materiale tra le emotrasfusioni e l’evento morte, osservando che, dalle due consulenze tecniche d’ufficio espletate nel giudizio di primo grado, emergeva che nel decesso della C., causato da emorragia cerebrale, avevano avuto un ruolo preponderante le ulteriori patologie da cui la stessa era affetta (alterazioni della parete vascolare causate dall’arteriosclerosi, ipertensione, fenomeni correlati ad età, la sindrome dismetabolica, l’uremia terminale e la dialisi extracorporea), mentre la moderata patologia epatica contratta in occasione delle emotrasfusioni (in base alla quale era attribuibile un’invalidità permanente valutata pari all’8`)/0 dal primo consulente e al 15()z/) dal secondo consulente) aveva avuto ruolo di mera concausa per aver determinato alterazioni dell’emocoagulazione. Per tale ragione, la Corte ha escluso la spettanza del risarcimento per il danno subito a causa del decesso del congiunto. Quanto al danno non patrimoniale lamentato dagli attori iure proprio in conseguenza della malattia del congiunto, il giudice di secondo grado ha rilevato che, tenuto conto della modesta entità del danno biologico subito dalla C. a causa della epatopatia, non era credibile la tesi dei M. secondo cui la loro congiunta era stata costretta proprio da tale patologia a vivere costantemente letto, interrompendo ogni rapporto sociale, essendo più verosimile che una tale situazione esistenziale della donna fosse dovuta alla preesistente grave patologia renale che aveva reso necessario il trattamento di emodialisi. Infine, la Corte di appello ha ritenuto che il giudice di primo grado avesse correttamente applicato il principio della compensazione fra il pregiudizio subito dalla danneggiata e l’indennizzo a cui quest’ultima aveva diritto ai sensi della L. 210/1992, applicabile anche d’ufficio dal giudice, non trattandosi di eccezione in senso proprio.3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, illustrato da memoria, sulla base di tre motivi, i signori V., S., S. e M. M.. 3.1. Resiste con controricorso il Ministero della Salute. Considerato che: 4. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 40 e 41 c.p., nonché, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte territoriale, nell’affermare che la pregressa situazione patologica della paziente e la diffusa emorragia cerebrale hanno costituito fattori causativi autonomi nel decesso della C., avrebbe del tutto ignorato le univoche risultanze delle due c.t.u., dalle quali emergerebbe che la donna non sarebbe morta se non vi fossero stati problemi di coagulazione derivanti dall’epatite provocata dalle trasfusioni infette. Secondo il ricorrente, la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata supererebbe espressamente la regola dell’all or nothing, affermando il principio di diritto secondo cui la causalità materiale tra illecito ed evento dannoso deve ritenersi sussistente a prescindere dall’esistenza ed entità delle pregresse situazioni patologiche aventi valore concausale, ancorché eventualmente preponderanti. Nel caso di specie, gli eventi naturali sopravvenuti (emorragia e deficienza respiratoria) non avrebbero interrotto il nesso causale che ha legato l’insorgenza della malattia con le trasfusioni infette ricevute. La sentenza impugnata sarebbe comunque viziata sotto il profilo motivazionale, poiché la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che il c.t.u. dott. C. aveva accertato che l’emorragia della C. non era stata contenuta a causa dell’alterazione dei fattori coagulanti provocata dalla epatite contratta a seguito delle trasfusioni infette. Il motivo è fondato. Contrariamente a quanto ritengono i ricorrenti, l’orientamento ormai consolidato di questa Corte conferma la perdurante valenza del principio ornothing” in materia di rapporto di causalità materiale. Secondo tale principio, una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. La comparazione fra cause imputabili a colpa/inadempimento e cause naturali è quindi esclusivamente funzionale a stabilire, in seno all’accertamento della causalità materiale, la valenza assorbente delle une rispetto alle altre: il nesso di causalità materiale tra illecito (o prestazione contrattuale) ed evento dannoso deve ritenersi sussistente — a prescindere dalla esistenza ed entità delle pregresse situazioni patologiche aventi valore concausale e come tali prive di efficacia interruttiva del rapporto eziologico ex art. 41 c.p., ancorché eventualmente preponderanti — ovvero insussistente, qualora le cause naturali di valenza liberatoria dimostrino efficacia esclusiva nella verificazione dell’evento, ovvero il debitore /danneggiante dimostri la assoluta non imputabilità dell’evento di danno. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale (v. Cass. civ. Sez. III, 21-07-2011, n. 15991; Cass. 11.11.2019, n. 28986). Orbene, nel caso di specie, è vero che, come riportano i ricorrenti, entrambi i c.t.u. (ed in particolare il dott. C.) hanno ritenuto che l’alterazione dei valori di coagulazione causata dalla patologia epatica può incrementare il rischio emorragico e, dall’altro lato, aumentare la probabilità di prognosi infausta dell’emorragia, a causa di alterazioni dei fattori di coagulazione. Pertanto sicuramente contraddittoria è la motivazione del giudice del merito che ha aderito alle consulenze tecniche che hanno accertato che le patologie da cui la C. era affetta (alterazioni della parete vascolare causate dall’arteriosclerosi, ipertensione, sindrome dismetabolica, uremia terminale e dialisi extracorporea) hanno avuto un ruolo preponderante nel decesso della paziente, ma le stesse consulenze hanno anche riconosciuto un ruolo di concausa nel decesso alla patologia epatica. Pertanto ha errato il giudice del merito là dove ha affermato che ‘in mancanza di prova che l’emorragia cerebrale che portò a morte la C. sia dipesa dall’epatite di modesto grado o che l’epatopatia cronica abbia accelerato il decesso della donna’. Tale ratio decidendi non si concilia con quanto dichiarato dal Giudice in merito alle consulenze che hanno riconosciuto un ruolo di concausa nel decesso la patologia epatica. E pertanto tale concausa erroneamente non è stata valutata proprio sulla base della sentenza di questa Corte citata dallo stesso giudicante (Cass. n. 15991/2011). 4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. La Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso il risarcimento del danno subito iure proprio dai ricorrenti ritenendo non provato il pregiudizio alla salute o la diminuzione della sfera patrimoniale derivante dalla morte della congiunta. Il fatto illecito costituito dall’uccisione del congiunto, quando colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, darebbe luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nelle conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale. Tale motivo è assorbito dall’accoglimento del precedente. 4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della L. 210/1992 e dell’art. 2043 c.c. L’orientamento che ravvisava un ingiustificato arricchimento nella cumulabilità del risarcimento del danno e dell’indennizzo ex L. 210/1992 sarebbe superato dalla più recente giurisprudenza, secondo cui tale indennizzo non potrebbe essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno qualora non sia stato corrisposto. Il motivo è solo parzialmente fondato. Per costante giurisprudenza di questa Corte, difatti, la compenso/io tra indennizzo e risarcimento deve ritenersi legittima (per tutte, Cass. ss.uu. 576/2008 e anche Cass. S.U. 12564/2018), sempre che dagli atti emerga la prova che detto indennizzo sia stato effettivamente versato. Infatti, “nel giudizio promosso nei confronti del M. della s.per il risarcimento del danno conseguente al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo di cui alla 1. n. 210 del 1992 può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compenso/io bari cum damno) solo se sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il bicrum” (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, ai fini della detrazione dall’importo risarcitorio dell’indennizzo “ex lege” n. 210 del 1992, ne aveva ritenuto provata la corresponsione al dante causa dei ricorrenti, alla luce della documentazione versata in atti e delle allegazioni contenute nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado, sebbene il relativo mandato di pagamento fosse stato prodotto senza quietanza) (Cass. n. 21837/2019; Cass. 20909/2018).Nel caso di specie non risulta prova dell’avvenuto pagamento da parte del M.. 5. In conclusione, la Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia alla Corte di Appello di B. in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio. P.Q.M. la Corte accoglie il primo e terzo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia alla Corte di Appello di B..

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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