Cassazione Civile Sentenza n. 10608/18 – Consenso informato

Cassazione Civile Sentenza n. 10608/18 – Consenso informato  – La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale diverso dalla lesione del diritto alla salute;ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.

FATTO E DIRITTO: M. P. S. ha agito in giudizio nei confronti del medico F. M. e della ASL Napoli 5 per ottenere il risarcimento dei danni a suo dire subiti in conseguenza di inadeguati trattamenti sanitari che le erano stati praticati, senza previa indagine ed informativa, presso l’Ospedale Civile di (Omissis). La Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, rigettando sia l’appello principale della S., sia quello incidentale relativo alle sole spese di lite del M.. Ricorre la S., sulla base di un unico motivo. Il ricorso è inammissibile. Nella rubrica dell’unico motivo di ricorso non sono indicate le norme che si assumerebbero violate, e nell’esposizione successiva non si chiarisce in modo sufficientemente specifico l’oggetto delle censure avanzate. Vengono poste (in modo prolisso e confusionario, comunque non agevolmente intelligibile) una serie di questioni di cui non viene chiarito (e non è possibile comprendere) l’effettivo rilievo in relazione al fondamento logico e normativo della decisione impugnata (in particolare, questioni attinenti alla natura della responsabilità dedotta ed alla prova della mancanza di un consenso informato), ovvero riguardanti accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e adeguatamente motivati, e come tali non censurabili in sede di legittimità (in particolare, ciò è a dirsi in relazione alla corretta esecuzione dell’intervento chirurgico da parte del M. ed all’assoluta esclusione di un nesso di causa tra tale intervento e i danni alla salute lamentati dall’attrice: in proposito, nella sentenza impugnata è chiaramente affermato che la sterilità della S. era preesistente e non è affetto stata provocata dall’operazione; su questo punto non si rinviene in verità neanche una specifica censura nel ricorso, per quanto è dato comprendere dalla confusa esposizione in esso contenuta). Questa Corte intende ribadire l’orientamento ormai consolidato  che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, ai fini di una eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente al trattamento medico. Vanno, in particolare, ribaditi i seguenti principi: a) la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale diverso dalla lesione del diritto alla salute;ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto del- la persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive. La lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile, sul piano puramente equitativo, tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse. Il diritto leso, per essere oggetto di tutela risarcitoria, deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico; il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, onerato della relativa prova. Nella specie, la corte territoriale ha chiaramente affermato che la ricorrente non aveva allegato, ancor prima che provato, che in presenza di adeguata informativa non si sarebbe sottoposta all’operazione, e le censure su questo punto risultano non conferenti sul piano logico, in quanto vengono svolte sull’erroneo presupposto che l’intervento eseguito dal Manga- naro abbia provocato la sterilità della paziente, mentre la sterilità preesisteva e l’intervento era, al contrario, diretto a porvi rimedio. Inoltre, non è chiarito in modo specifico se era mai stato allegato, ed in che termini, un concreto danno da mancato con- senso e da lesione del diritto all’autodeterminazione, autonomo rispetto al danno alla salute dedotto come conseguenza della non corretta esecuzione dell’operazione (e in verità, per quanto è dato evincere dalla confusa esposizione contenuta nel ricorso, ciò sembrerebbe doversi addirittura escludere, in quanto la ricorrente sostiene nella sostanza che non si sarebbe sottoposta all’intervento se avesse saputo che esso le avrebbe provocato la sterilità, ma non allega specificamente di avere chiesto il risarcimento del danno derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione, per essersi sottoposta ad un intervento volto a curare la propria sterilità che non garantiva certezza di successo, e tanto meno richiama gli atti processuali in cui sarebbe contenuta la relativa domanda). Con riguardo all’eventuale danno derivante dall’avere espresso il proprio consenso all’esecuzione dell’intervento in mancanza di adeguata informazione (danno peraltro risarcibile esclusivamente laddove ricorrano le condizioni sopra dettagliatamente esposte, che vanno specificamente allegate – oltre che provate – dal danneggiato) il ricorso si rivela assolutamente generico: non si chiarisce affatto se il risarcimento di un tale specifico e concreto danno era stato richiesto in sede Ric. di merito ed i termini in cui eventualmente sarebbe stata articolata la relativa domanda. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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