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Cassazione Civile Sentenza n. 1252/18 – Responsabilità del ginecologo – Omessa diagnosi della grave patologia da cui era risultato affetto il nascituro

Cassazione Civile Sentenza n. 1252/18 – Responsabilità del ginecologo – Omessa diagnosi della grave patologia da cui era risultato affetto il nascituro – La Corte di Cassazione ha affermato che la donna deve provare, attraverso una serie di circostanze (ad esempio, “pregresse manifestazioni di pensiero”) la propria volontà abortiva in caso di gravi malformazioni del feto. Tuttavia, sul professionista ricade l’onere della prova contraria che la donna non si sarebbe determinata comunque all’aborto. La Corte ha escluso la sussistenza in atti della prova del grave pericolo per la salute della gestante sulla base di apprezzamenti di fatto incensurabili in questa sede.

FATTO E DIRITTO: F. B. e D. V., in proprio e quali rappresentanti del figlio minore N., convennero dinanzi al Tribunale di Venezia la USLL 14 di Chioggia, il primario del reparto di ginecologia, R. S., ed il ginecologo N. F., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguente alla omessa diagnosi, in epoca prenatale, della grave patologia da cui era risultato affetto il nascituro. Esposero gli attori che le ecografie compiute dal dott. N. avrebbero già potuto e dovuto evidenziare, fin dalla sedicesima settimana di gravidanza, la mielomeningocele da cui era affetto il feto, e che tale condizione patologica poteva e doveva essere resa nota alla gestante per consentirle di esercitare il diritto all’interruzione della gravidanza stessa. I convenuti, nel costituirsi, eccepirono che le prime ecografie risalivano alla diciannovesima settimana di gestazione, che mancava la prova della volontà della madre di interrompere la gravidanza in epoca successiva al novantesimo giorno – stanti le condizioni previste dall’art. 6 della legge 194/1978 – e che la tempestiva diagnosi di spina bifida rientrava nell’ambito delle prestazioni sanitarie di speciale difficoltà, ex art. 2236 c.c. Il dott. S., dal suo canto, aggiunse di non essere mai stato partecipe delle indagini ecografiche eseguite dal F., e di essersi attivato per segnalare alla direzione sanitaria l’inadeguatezza delle prestazioni ecografico-ostetriche del reparto da lui diretto. Il giudice di primo grado, con sentenza non definitiva, accolse la domanda nei / 17′ confronti del solo F.. Avverso la sentenza venne proposta una prima impugnazione, da parte del F., cui resistettero i coniugi V. proponendo a loro volta appello incidentale, con il quale chiesero l’estensione della condanna anche al S.. Una seconda impugnazione venne poi proposta dagli stessi appellanti incidentali, che chiesero l’ulteriore estensione della condanna nei confronti della USLL. Nel secondo procedimento, si costituirono il F., che eccepì la tardività dell’impugnazione proponendo a sua volta appello incidentale, ed il S., che, eccepita a sua volta la tardività del gravame, propose dal suo canto appello incidentale condizionato. La Corte di appello di Venezia, riunite le impugnazioni hinc et inde proposte, e dichiarata la inammissibilità per tardività del secondo gravame, rigettò la domanda risarcitoria dei coniugi V.. La Corte di Cassazione rileva che la legittimità dell’interruzione di gravidanza ultratrimestrale è, difatti, espressamente sancita dalla norma di cui all’art. 6 della legge 194/78, che la consente, tra l’altro,/ a condizione che siano stati accertati processi patologici, tra cui quelli relativi e rilevanti anomalie o malformazioni del feto, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, come espressamente riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di questa Corte (Cass. 12195/1998). Tanto premesso, e così corretta in parte qua l’errata motivazione della sentenza impugnata, osserva il collegio che essa risulta, per altro verso, conforme a diritto nella parte in cui (f. 13) esclude in fatto la sussistenza delle condizioni previste dalla legge in mancanza di prova del grave pericolo per la salute fisica o psichica della signora R.. La Corte ha quindi affermato che la donna deve provare, attraverso una serie di circostanze (ad esempio, “pregresse manifestazioni di pensiero”) la propria volontà abortiva in caso di gravi malformazioni del feto. Tuttavia, sul professionista ricade l’onere della prova contraria che la donna non si sarebbe determinata comunque all’aborto. La Corte ha quindi escluso la sussistenza in atti della prova del grave pericolo per la salute della gestante sulla base di apprezzamenti di fatto incensurabili in questa sede. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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