Cassazione Civile Sentenza n. 19151/18 – Responsabilità medica – In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale. Quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale.
FATTO E DIRITTO: Il tribunale di Camerino, adito il 8 luglio 1999 dalla sig.ra L. S., con sentenza del 23 febbraio 2005 giudicava il medico curante della attrice (M. I.) e la struttura sanitaria (ASUR —-), in cui esercitava la professione di ginecologo, solidalmente responsabili per il danno morale, biologico e patrimoniale causato dalla nascita, non desiderata, di una bimba affetta da sindrome di Down, dopo che il medico si era rifiutato di svolgere esami e test prenatali sulla gestante a causa del cerchiaggio che le era stato praticato, a causa del quale il medico aveva sconsigliato ogni pratica invasiva sul feto. Il medico e la struttura sanitaria impugnavano la sentenza, mentre la sig.ra S. svolgeva appello incidentale. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza non definitiva n. 703 del 10 /17 luglio 2013, confermava la sentenza sull’ an debeatur, impugnata dai convenuti appellanti, sull’assunto che le insistenti richieste della madre, rivolte al medico curante, di effettuare test clinici sul nascituro, rimaste del tutto inascoltate, fossero sufficientemente sintomatiche dell’intento di abortire nel caso in cui fosse stata riscontrata una grave anomalia nel feto, sussistendo all’epoca entrambe le condizioni legittimanti l’interruzione di gravidanza di cui all’art. 4 e all’art. 6 della I. 194/1998. Quanto alla sentenza definitiva, n. 33 del 14 gennaio 2016 sul quantum debeatur, oggetto di appello principale e incidentale, la Corte d’appello di Ancona riformava la sentenza del Tribunale di Camerino e accertava in misura minore il danno biologico e patrimoniale conseguente alla omessa effettuazione di test diagnostici richiesti durante la gravidanza al proprio medico curante; inoltre negava la sussistenza del danno morale riconosciuto dal Tribunale come ulteriore voce di danno alla persona, intendendolo assorbito nel danno biologico, di tipo psichico e permanente, riconosciuto nella misura del 20% alla madre. Assegnava quindi alla madre della bimba nata con sindrome di Down non diagnosticata 1/3 del danno biologico accertato nella misura del 20%, con punto d’inabilità permanente valutato secondo le tabelle milanesi e aumentato fino al massimo. L’assunto è che gli altri due terzi di danno biologico, di tipo psichico, hanno cause diverse da quelle inerenti allo stress da nascita indesiderata (essendo collegati allo stress da lunghezza del processo e alla pregressa condizione di compromissione psichica della madre, diagnosticata come soggetto distimico). Nella decisione impugnata si rileva la volontà abortiva è desumibile dalle insistenti richieste della gestante, all’epoca trentaseienne, di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante a causa del c.d. cerchiaggio praticato come terapia antiabortiva, e dalle statistiche sul ricorso a interruzione in caso di feti malformati che mostrano un’alta percentuale di richieste di interruzione della gravidanza in caso di preventiva conoscenza di malformazioni di tal tipo. Sul punto si richiama il principio reso a Sezioni Unite da questa Corte, in base al quale, in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (v. SU Cass.25767/2015; Sez. 3, Sentenza n. 24220 del 27/11/2015 ). In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 901 del 17/01/2018). Conseguentemente, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico- relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (v.Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018). 3.3. Nel caso specifico, pertanto, vale la considerazione che la «struttura a cerchi concentrici del danno psichico >> diagnosticato in termini di danno biologico conseguente alla lesione subìta fa ritenere la menomazione concretatasi in una patologia bio-psichica permanente, e specificamente diagnosticata come la forma più intensa di alterazione del normale equilibrio biologico e mentale, comprendendo al suo interno le forme più blande del danno esistenziale (v. Cass. 23778/2014; Sez. 3, Sentenza n. 13530 del 11/06/2009). Il danno psichico è per sua natura soggettivo e può acquisire una diversa dimensione a seconda del soggetto su cui incide. In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi tratti dagli artt. 40 e 41 cod. pen. generalmente validi di giudizio prognostico secondo il criterio del «più probabile che non» (causalità adeguata), qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile all’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo un criterio di normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. In definitiva, ribaltando la prospettiva operata dalla Corte di merito, rileva sottolineare che la ricorrente è risultata menomata nella sua sfera psichica in ragione dell’evento lesivo riconducibile all’operato del medico e che, per più fattori non autonomamente concorrenti, tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente il fallimento dato da una nascita indesiderata, di reggere la lunghezza e complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale di donna, moglie e madre, e di sopportare il peso di una vita sociale compressa e dedicata esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma. Lo stesso evento avrebbe potuto non incidere psichicamente su una persona con diverse storia e tenuta psichica, o incidere in misura minore. Quella accertata è pertanto la misura del (suo) danno alla persona eziologicamente collegato all’evento lesivo cui la Corte avrebbe dovuto attenersi, senza operare operazioni di scomposizione matematica in base alle diverse concause concomitanti o successive che lo hanno ipoteticamente determinato, che tuttavia non risultano avere avuto una incidenza autonoma e indipendente sul danno complessivamente ricevuto