Cassazione Civile Sentenza n. 34732/19 – MMG

L’incarico in regime di convenzione è incompatibile con la posizione di medico fruente di trattamento pensionistico.

FATTI DI CAUSA 1. G. F. convenne in giudizio la ASL n. 6 Friuli Occidentale ed espose di aver lavorato alle dipendenze della ASL n. 6 dal 1.3.1987 al 1.9.2008, inquadrato dal 18.7.2001 come Dirigente medico di odontostomatologia area odontoiatria. Quindi dedusse che – cessato dal servizio per dimissioni volontarie dal 1.9.2008, quando aveva conseguito dall’INPDAP la pensione di anzianità – in data 27 ottobre 2011 aveva presentato domanda, alla direzione regionale della salute, per un incarico di medico convenzionato di medicina generale in zona carente nel Comune di Pordenone e che, in data 7.2.2012, aveva accettato l’incarico a tempo indeterminato di assistenza primaria nel Comune di Porcia. Espose che, tuttavia, il 7 marzo 2012, la A.S. n. 6 gli aveva comunicato che l’incarico in regime di convenzione era incompatibile con la sua posizione di medico fruente di trattamento pensionistico. Chiese perciò al Tribunale di accertare la compatibilità dell’incarico e, dichiarata la nullità, annullabilità o inefficacia del provvedimento adottato dall’Azienda sanitaria poi da questa confermato il 12 giugno 2012. 2. Il Tribunale con sentenza non definitiva accolse la domanda e, previa disapplicazione del provvedimento, dichiarò il diritto del F. allo svolgimento dell’attività di medico convenzionato. 3. La Corte territoriale, invece, accolse l’appello proposto dall’ Azienda Sanitaria n. 6 Friuli Occidentale e rigettò il ricorso proposto dal F.. 4. Il giudice di appello, confermata la giurisdizione del giudice ordinario, osservò che l’art. 17 dell’A.C.N. del 23 marzo 2005, richiamato dall’art. 2 dell’accordo stesso, al n. 2 lett.f), prevedeva l’incompatibilità, per il medico che goda del trattamento di quiescenza relativo ad attività convenzionate e dipendenti del SSN, con lo svolgimento delle attività previste dall’accordo stesso escludendo da tale limitazione i soli medici che fossero già titolari di convenzioni di medicina generale all’atto del pensionamento. 5. Rilevò poi che i rapporti tra medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, disciplinati dall’art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, corrispondevano a rapporti libero professionali che si svolgevano di norma su un piano di parità in un regime di parasubordinazione. Conseguentemente la legge di riferimento per la contrattazione collettiva nei rapporti in regime di convenzione non poteva essere l’art. 19 del d.l. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, neppure richiamata dall’Accordo „() r.g. n. 1037/2015 2010. Infine ritenne che l’assegnazione del posto al medico inserito nella graduatoria era comunque subordinata all’assenza di situazioni di incompatibilità. 5. Per la cassazione della sentenza propone ricorso G. F. che articola cinque motivi ai quali resiste con controricorso l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 Friuli Occidentale. Il Procuratore generale ha concluso per la reiezione del ricorso e l’Azienda n. 5 Friuli Occidentale ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod.proc.civ.. Rinviata a nuovo ruolo per la decisione in pubblica udienza il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.. RAGIONI DELLA DECISIONE 5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 comma 2 lett.f) dell’A.C.N. Lavoro del 23 marzo 2005, come modificato dall’art. 2 dell’A.C.N. del 10 marzo 2010, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 9 della legge n. 412 del 1991 e dell’art. 2 comma 1 lett.c) n. 7 della legge 421 del 1992, in combinato disposto con le previsioni degli artt. 2 comma 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001. 5.1. Sostiene il ricorrente che se anche per effetto delle modifiche apportate all’art. 17 dell’accordo del 2005 con l’ACN del 2010 fossero rimaste salve le incompatibilità già previste da quello del 2005, ciò nonostante non tutti i criteri dettati da quell’accordo sarebbero ancora vigenti tenuto conto delle modifiche apportate al d.lgs. n. 165 del 2001 quanto alla cumulabilità del reddito da pensione con il reddito da lavoro autonomo. Osserva che la Corte di merito non avrebbe considerato che la natura degli accordi collettivi in questione e la loro efficacia erga omnes avrebbe imposto di applicare l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 il quale esclude dall’ambito della contrattazione collettiva la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali e di “quelle di cui all’art. 2 comma 1 lettera c) della legge 23 ottobre 1992 n. 421”. Conseguentemente, secondo il ricorrente, il conferimento e la revoca degli incarichi sarebbe soggetto ad una vera e propria riserva di legge. La disposizione richiamata si occupa, tra l’altro, della razionalizzazione e revisione delle discipline in materia di sanità (art. 2 comma 1 lett.c) n. 7) e la Corte di merito avrebbe trascurato di verificare la compatibilità della disciplina collettiva con le norme di legge oltre che di considerare che l’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha ristretto la possibilità per i contratti collettivi del settore pubblico con efficacia erga omnes di derogare alle norme di legge. r.g. n. 1037/2015 6. La censura è infondata. 6.1. La Legge n. 421 del 1992 alli art. 2 ha delegato il Governo ad emanare “uno o più decreti legislativi, diretti al contenimento, alla razionalizzazione e al controllo della spesa per il settore del pubblico impiego, al miglioramento dell’efficienza e della produttività, nonché alla sua riorganizzazione” ed a tal fine gli ha demandato, tra l’altro, “la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici” e l’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha assoggettato i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche alla disciplina dettata dal libro V , titolo II, capo I del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa ma ha fatto salve le disposizioni contenute nel decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo precisando che, “eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi” possano essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non siano ulteriormente applicabili “solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.” 6.2. Si tratta di una complessa disciplina che trova applicazione ai rapporti di pubblico impiego in senso stretto e non anche ai rapporti in convenzione, qual’ è quello del medico di medicina generale convenzionato rivendicato dall’odierno ricorrente al quale perciò non si applicano i limiti alla contrattazione collettiva richiamati. 6.3. D’altra parte questa Corte ha chiarito, con riguardo all’iscrizione negli elenchi dei medici convenzionati con il Servizio sanitario nazionale dei pediatri di libera scelta, che l’art. 17 dell’accordo collettivo nazionale del 28 settembre 2005 – di cui anche qui si controverte – che prevede, in via integrativa delle disposizioni di cui all’art. 48, della legge 23 dicembre 1978 n. 833, un’ulteriore causa di incompatibilità nel godimento, da parte del sanitario di un trattamento di quiescenza relativo ad attività convenzionate e dipendenti dal medesimo Servizio sanitario nazionale, è legittimo atteso che l’elencazione, contenuta all’art. 48 citato, delle incompatibilità e delle limitazioni del rapporto convenzionale non è tassativa ed una tale previsione non è contrastante con il fine, perseguito dalla norma primaria, di favorire la migliore distribuzione del lavoro medico e la qualificazione delle prestazioni, ponendosi anzi in armonia con il principio generale, espresso dall’art. 4, comma 7, della legge 30 5 a r.g. n. 1037/2015 dicembre 1991, n. 412, di tendenziale esclusività dei rapporti di lavoro nell’ambito del Servizio sanitario nazionale (cfr. Cass. 28/02/2014 n. 4857 e 29/07/2008 n. 20851). 7. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e omessa applicazione delle previsioni dell’art. 19 del d.l. n. 112 del 2008 convertito nella legge n. 133 del 2008. Sostiene il ricorrente che la disposizione della cumulabilità dei redditi con la pensione trova applicazione anche nel caso in esame e l’inderogabilità della disposizione è confermata dalla circostanza che ha essa stessa individuato, all’art. 4 del d.P.R. n. 758 del 1965, le ipotesi di incompatibilità. 8. Anche tale censura è infondata. 8.1. Va qui rammentato che l’art. 19 del d.l. n. 112 del 208 convertito in legge n. 133 del 2008, che regola il cumulo tra pensione e redditi di lavoro dispone che a decorrere dal 10 gennaio 2009 sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni dirette di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima e che sono del pari cumulabili quelle dirette, conseguite nel regime contributivo in via anticipata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima nonché della gestione separata di cui all’articolo 1, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, a condizione che il soggetto abbia maturato i requisiti di cui all’articolo 1, commi 6 e 7 della legge 23 agosto 2004, n. 243 e successive modificazioni e integrazioni fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti disciplinato dall’articolo 1, comma 6, della predetta legge n. 243 del 2004. Con riguardo alle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo, con decorrenza dal 1 gennaio 2009, poi, queste sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente per quanto concerne le pensioni di vecchiaia anticipate liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni (lettera a) e le pensioni di vecchiaia liquidate a soggetti con età pari o superiore a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne (lettera b). L’ultimo comma dell’art. 19 citato ha poi mantenuto ferme le disposizioni dettate dall’ art. 4 del d.P.R. 5 giugno 1965, n. 758 che regola il cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di Enti pubblici, in applicazione della legge 5 dicembre 1964, n. 1268 e dispone che questo “non è ammesso nei casi in cui il nuovo servizio costituisce derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto che ha dato luogo alla pensione” precisando in particolare che tale divieto trova applicazione oltre che nei casi di riammissione in servizio di personale civile (lett. a), di richiamo di ufficiale, 6 (14) r.g. n. 1037/2015 sottufficiale o militare di truppa titolare di pensione per il precedente servizio militare (lett.b), di immissione nell’impiego civile di sottufficiale o graduato, in applicazione delle particolari disposizioni concernenti riserva di posti in favore di dette categorie di militari (lett.c), di nomina conseguita mediante concorso riservato esclusivamente a soggetti che hanno già prestato servizio ovvero a tali soggetti insieme con appartenenti a particolari categorie di professionisti (lett.d), di conferimento di incarichi di insegnamento in scuole o istituti dello stesso grado di quelli presso cui e’ stato prestato il servizio precedente da incaricato (lett. e), di nomina senza concorso nello Stato o negli Enti di cui al precedente art. 1, conseguita in derivazione o in continuazione o, comunque, in costanza di un precedente rapporto di impiego, rispettivamente, con lo Stato o con gli Enti stessi (lett.f). 8.2. L’art. 4 citato prevede poi che “nei casi in cui il precedente rapporto abbia dato titolo alla liquidazione di un trattamento di pensione, il trattamento stesso è sospeso” e che “al termine del nuovo servizio è liquidato il trattamento di quiescenza (…)”. 8.3. Orbene, osserva il Collegio che la disposizione che detta le incompatibilità tra il trattamento pensionistico e la percezione di una retribuzione da lavoro autonomo o dipendente si preoccupa di disciplinare i casi in cui è ammissibile il cumulo delle prestazioni e non riguarda il diverso tema della individuazione dei requisiti per il conferimento di incarichi di lavoro in convenzione in relazione ai quali l’art. 17 dell’Accordo Economico Collettivo del 23 marzo 2005 specifica, per effetto del rinvio operato dall’art. 48 della legge n. 833 del 1978, le ulteriori incompatibilità all’assunzione dell’incarico. Come già ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. n. 4857/2014 cit.) con riguardo alla parallela ipotesi del pediatra in convenzione, l’art. 17 dell’ACN del 28/9/05 consiste in una specificazione, demandata agli accordi collettivi dalla generica previsione di cui all’art. 48 citato, del regime delle incompatibilità considerato e la tassatività dell’elencazione delle cause di incompatibilità, di cui all’art. 4 comma 7 della legge n. 412 del 1991, non è desumibile in alcun modo dal disposto normativo. Come già affermato con riguardo all’ipotesi della cessazione del rapporto del medico convenzionato al settantesimo anno di età (cfr. Cass. n. 5952 del 1997 cit.) l’elencazione dei limiti ipotizzati dall’art. 48 della legge n. 833 del 1978 non è QUIL ritenersi tassativa, non essendo prevista come tale ed indicando, invece, la disposizione unicamente le materie che devono necessariamente essere regolate dagli r.g. n. 1037/2015 accordi collettivi da recepire, poi, con appositi D.P.R. di esecuzione, e, pertanto non escludendo per questo che altri aspetti del rapporto convenzionale possano essere disciplinati dai predetti accordi. 8.3. In armonia con il principio secondo il quale gli atti di normazione secondaria non possono porsi in contrasto con la fonte primaria cui si riferiscono, o con altra legge ovvero con i principi generali dell’ordinamento dello Stato (disciplina contra legem), ma, tuttavia, ben possono dettare norme che valgono ad integrare la disciplina legislativa ed a chiarirne l’esatta portata con precetti esplicativi (disciplina secundum legem o praeter legem), purché in ogni caso le norme di carattere interpretativo ed integrativo siano conformi alle finalità ed alla ratio della legge che ne autorizza la emanazione. 8.4. Orbene la finalità dell’introduzione dell’ incompatibilità di cui all’art. 17 citato non è contrastante con il dettato normativo atteso che lo stesso art. 48 citato individua quale finalità della disciplina delle incompatibilità e delle limitazioni del rapporto convenzionale rispetto ad altre attività mediche il “fine di favorire la migliore distribuzione del lavoro medico e la qualificazione delle prestazioni”. 8.5. Ne segue che la disposizione dell’art. 17 citato si pone in armonia ed in attuazione del principio generale dettato dall’art. 4,comma 7, della legge n. 412 del 1991 volto ad assicurare la tendenziale esclusività dei rapporti di lavoro nel servizio sanitario nazionale per valorizzare la migliore utilizzazione del servizio dei medici ed il principio generale di esclusività deve trovare applicazione anche nel caso di titolarità di trattamento pensionistico derivante da un rapporto con il SSN (cfr. Cass.4857/2014 cit.). 9. Con il terzo motivo di ricorso si sostiene che l’art. 17 dell’ACN, ampliando le incompatibilità previste dalla legge, in violazione degli artt. 1, 3, 4 e 35 della Costituzione, impedendo lo svolgimento di un’attività lavorativa si porrebbe in contrasto con le citate disposizioni determinando una ingiustificata disparità di trattamento tra i pensionati INPDAP e quelli titolari di trattamento AGO EMPAM e di altre forme di previdenza obbligatorie (INPS) per i quali l’incompatibilità non sussiste. 10. La censura non ha pregio in quanto, eiggilifialfak l’incompatibilità è comunque limitata all’esercizio della specifica attività in convenzione e non preclude lo svolgimento di altre attività professionali.r.g. n. 1037/2015 11. Il quarto motivo di ricorso attiene alla dedotta violazione degli artt. 35 „comma 2, 17,comma 5, 19 e 30 dell’Accordo Collettivo Nazionale applicabile al caso di specie. Sostiene il ricorrente che, una volta formata la graduatoria, l’Amministrazione è tenuta a stipulare la convenzione ed il medico è perciò titolare di un vero e proprio diritto soggettivo. Aggiunge poi che la facoltà di recesso può essere esercitata solo nei limiti dettati dall’art. 2237 cod.civ. 12. La censura è infondata. 12.1. A norma dell’art. 17, commi 5, 6 e 7 dell’ACN, infatti, una volta accertata e contestata una situazione di incompatibilità tra quelle previste dalla stessa norma il rapporto convenzionale cessa secondo la procedura prevista dall’art. 30 dell’ACN e l’ Azienda deve disporre, mediante i propri servizi ispettivi, i controlli idonei ad accertare la sussistenza delle situazioni di incompatibilità, anche in corrispondenza della comunicazione del medico relative al proprio status convenzionale. La situazione di incompatibilità deve essere contestata al medico, ai sensi di quanto disposto dall’art. 30. Nel caso in cui il medico sia incluso nella graduatoria regionale la eventuale situazione di incompatibilità a suo carico deve cessare all’atto dell’assegnazione del relativo ambito territoriale carente o incarico vacante (comma 8 dell’art. 17). 12.2. Occorre perciò distinguere tra incompatibilità preesistenti al conferimento dell’incarico ed incompatibilità insorte successivamente. Nel caso in cui l’incompatibilità preesista non vi è questione di risoluzione del rapporto che, di fatto e per mancanza dei requisiti necessari, non si è mai costituito. 13. Il quinto motivo di ricorso, che attiene alla richiesta di risarcimento del danno conseguente alla mancata assunzione e denuncia”messo esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, resta evidentemente assorbito dalla reiezione delle altre censure con conferma della correttezza dell’operato dell’Azienda convenuta. 14. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente soccombente. Va infine dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. r.g. n. 1037/2015 P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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