Cassazione Civile Sentenza n.9057/18 – Responsabilità medica

Cassazione Civile Sentenza n.9057/18 – Responsabilità medica – La Corte di Cassazione ha inteso chiarire l’ambito e il perimetro del danno alla salute del paziente – Nella valutazione del danno alla salute (non diversamente che da quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto), il giudice, al di là della terminologia definitoria da tempo adottata dal legislatore (danno c.d. biologico), dovrà valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce altro da sé); pertanto, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico (inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico-relazionali) e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali ‘categorie’ di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.), mentre una differente e autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute. Pertanto la liquidazione unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una ipotetica quanto in- consapevole simmetria legislativa, il danno emergente, in guisa di vulnus ‘interno’ al patrimonio del creditore), quanto sotto il profilo dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione, in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al c.d. lucro cessante quale proiezione ‘esterna’ del patrimonio del soggetto.

FATTO E DIRITTO: la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello proposto da R. L. V., e in riforma della sentenza di primo grado, per quel che ancora interessa in questa sede, ha condannato G. P. B. al risarcimento, in favore della L. V., dei danni da quest’ultima subiti in conseguenza di un intervento chirurgico di by- pass digiuno ileale realizzato in concomitanza con altro intervento programmato di isterectomia; che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come l’intervento di by -pass digiuno ileale era stato nella specie praticato senza alcuna effettiva necessità terapeutica ed aveva determinato talune complicanze tali da imporre un successivo intervento di riconversione al fine di ripristinare le originarie condizioni degli organi viscerali della L. V.; che, peraltro, la corte d’appello ha sottolineato come, pur non essendo in alcun modo giustificati sul piano terapeutico, gli interventi chirurgici in esame avevano determinato conseguenze apprezzabili, sul piano del danno alla persona, nei soli limiti degli esiti cicatriziali e dell’ingiustificato prolungamento della degenza ospedaliera, senza riscontro di ulteriori conseguenze rilevanti sul piano risarcitorio; che, avverso la sentenza d’appello, R. L. V. propone ricorso per cassazione sulla base di undici motivi d’impugnazione; che G. P. B. resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi di censura, illustrato da successiva memoria; che la AXA Assicurazioni s.p.a., originariamente chiamata in giudizio a fine di manleva, ha depositato controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria; che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede; considerato, che, con il primo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 2, 13 e 32 Cost., e dell’art. 33 della legge n. 833/78 (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente il contestato rilievo della mancanza di un valido consenso informato a fondamento dell’esecuzione dell’intervento di by -pass digiuno ileale, nella specie non surrogato dalla sottoscrizione di un generico modulo privo delle indicazioni indispensabili ai fini di una corretta informazione connessa alle caratteristiche, alle conseguenze e ai rischi dell’intervento prospettato, con la conseguente mancata pronuncia sulla corrispondente domanda risarcitoria avanzata dall’originaria attrice; che, con il secondo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), nonché per violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente rilevato la mancata proposizione, in sede di appello, da parte della L. V., di alcuna contestazione avverso la pronuncia di primo grado nella parte in cui avrebbe escluso la connessione causale dell’epatite HCV denunciata dall’originaria attrice con l’intervento chirurgico contestato in questa sede; che, con il terzo motivo, la ricorrente principale censura la se tenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché per violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulle risultanze istruttorie concernenti gli esiti da turbe della canalizzazione e da colecisti acuta verificatisi a carico della L. V. a seguito degli interventi chirurgici posti in essere dal B.; che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impu- gnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché per violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta dall’originaria attrice per il risarcimento dei danni riferiti al volvolo ileale e alla crisi occlusiva sofferta dalla L.V.; ; che, con il quinto motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa interpretazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato, sulla scia delle indicazioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio, l’avvenuto emendamento del laparocele riscontrato ad esito dell’intervento chirurgico oggetto d’esame; che, con il sesto motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa interpretazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonché degli artt. 1223, 1224, 1225, 1227 c.c. e degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la riconducibilità causale della depressione patita dalla L. V. all’intervento chirurgico oggetto dell’odierno giudizio, arrivando peraltro ad attestare ingiustificatamente la mancata indicazione di tale depressione, nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, quale conseguenza dannosa dell’illecito di controparte, non costituendo domanda nuova la diversa specificazione in sede d’appello della pretesa risarcitoria originariamente avanzata, in assenza di modificazione dei fatti costi- tutivi dedotti in primo grado; che, con il settimo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale acriticamente recepito le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, dottor B., in relazione alla negazione della riconducibilità causale dell’intervento di colicistectomia ai precedenti interventi effettuati dal B., senza giustificare in maniera adeguata dette conclusioni, peraltro contraddette dalle indicazioni ricava- bili dalle valutazioni espresse dei consulenti tecnici d’ufficio precedentemente nominati; che, con l’ottavo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 201, 115 e 116 c.p.c. per avere la corte territoriale erroneamente omesso di tener conto dei rilievi sollevati dal consulente tecnico di parte (analiticamente riprodotti in ricorso) nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio; che con il nono motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente assorbito il risarcimento dei danni morali subiti dalla L. V. nella somma alla stessa attribuita a titolo di danno biologico, omettendo di procedere all’adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale; che, con il decimo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt.2043 c.c., 115 c.p.c. e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul capo di do- manda riguardante la condanna alle spese sostenute per le cure, i controlli medici, l’assistenza e l’accudimento resi necessari dalle conseguenze dell’intervento chirurgico oggetto di giudizio; che, con l’undicesimo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 91 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente provveduto alla regolazione delle spese del giudizio, attraverso la compensazione per la metà delle spese giudiziali nel rapporto proces- suale tra la L. V. e il B., nonostante l’avvenuto accoglimento della domanda risarcitoria proposta in primo grado dall’odierna ricorrente;che, con il primo motivo del ricorso incidentale, G. P. B. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la responsabilità del B. in relazione ai danni denunciati dalla L. V., nonostante l’avvenuta acquisizione del relativo consenso in relazione a tutti gli interventi dalla stessa subiti e nonostante l’avvenuta corret- ta esecuzione degli stessi; che, con il secondo motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 191 c.p.c. (in re- lazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.). Il nono motivo del ricorso principale è fondato; che, al riguardo, varrà in questa sede ribadire come, in tema di risarcimento dei danni, sul piano del diritto positivo l’ordinamento riconosca e disciplini (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.); che la natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle sezioni unite della S.C. (Corte cost. n. 233/2003; Cass. ss.uu. n. 26972/2008), dev’essere interpretata, rispettivamente, nel senso di unitarietà, rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica, e come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni risarcitorie attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, in sede di compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni; che, nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235/2014, punto 10.1 e ss.) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 del c.d. codice delle assicurazioni private, come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 2 agosto 2017), deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non pa trimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (il c.d. danno morale), quanto quello dinamico-relazionale (danno alla vita di relazione, o danno esistenziale); che, nella valutazione del danno alla salute (non diversamente che da quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto), il giudice, al di là della terminologia definitoria da tempo adottata dal legislatore (danno c.d. biologico), dovrà valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con se stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce altro da se); che, pertanto, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta at-tribuzione del danno biologico (inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico-relazionali) e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali ‘categorie’ di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.), mentre una diffe- rente e autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute; che, in assenza di lesioni della salute, ogni vulnus arrecato a un altro valore/interesse costituzionalmente tutelato andrà specularmen- te valutato e accertato, all’esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo (volta che, nelle singole fattispecie concrete, non è impredicabile, pur se non frequente, l’ipotesi dell’accertamento della sola sofferenza morale o della sola modificazione in pejus degli aspetti dinamico-relazionali della vita), sotto il medesimo, duplice aspetto, della sofferenza morale e della privazio- ne/diminuzione/modificazione delle attività dinamico-relazionali pre- cedentemente esplicate dal soggetto danneggiato. La liquidazione unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una ipotetica quanto in- consapevole simmetria legislativa, il danno emergente, in guisa di vulnus ‘interno’ al patrimonio del creditore), quanto sotto il profilo dell’alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione, in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (danno idealmente omogeneo al c.d. lucro cessante quale proiezione ‘esterna’ del patrimonio del soggetto); che, nel caso di specie, avendo il giudice a quo del tutto omesso di procedere a una specifica valutazione (in ipotesi anche negativa) del pregiudizio di natura non patrimoniale (diverso dal solo danno biologico) eventualmente subito dalla L. V. per effetto del comportamento del B., la sentenza impugnata dev’essere cassata sul punto, spettando al giudice del rinvio il compito di provvedere all’esame di tale aspetto, non limitandosi alla sola considerazione del danno biologico (in sé e per sé considerato) senza tener conto delle proiezioni dannose dell’illecito del B. sulla sfera morale della L. V., o di quelle incidenti sul terreno dinamico-relazionale della sua vita in misure e forme eventualmente non coincidenti con le ordinarie valutazioni tabellari; che, pertanto, rilevata la fondatezza del nono motivo del ricorso proposto dalla L. V. (e la complessiva infondatezza dei restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale proposto dal B.), dev’essere disposta – disattesi i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale – la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Catania, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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