Cassazione Civile Sentenza n. 9806/18 – Colpa medica – Cicatrice da rimozione tatuaggio – La Corte di Cassazione ha affermato che non sussiste colpa medica per la cicatrice derivante da rimozione di un tatuaggio se il paziente ha avuto un dialogo specifico con il medico sul tema, ricevendo spiegazioni tecniche sui due diversi tipi di intervento al fine di valutare quello preferibile e ciò con riferimento specifico all’esito cicatriziale di entrambi. In sostanza, il paziente ha dichiarato di avere concordato, insieme al medico, l’intervento escludendo la dermoabrasione e preferendo la rimozione chirurgica, proprio in funzione del miglior esito cicatriziale (“tale cicatrice era esteticamente migliore”) e ricevendo indicazioni attraverso un disegno. La Corte di Cassazione ha quindi accolto il ricorso del medico che era stato citato in giudizio da un paziente per il risarcimento del danno derivante da un intervento chirurgico eseguito dal dottor P. il 3 febbraio 1995, consistito nella rimozione di un tatuaggio impresso sul deltoide destro.
FATTO E DIRITTO: Con atto di citazione notificato il 9 luglio 1997, P. F. conveniva davanti al Tribunale di Roma, N. P. R. B. P. e la clinica privata E. E. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico eseguito dal dottor P. il 3 febbraio 1995, consistito nella rimozione di un tatuaggio impresso sul deltoide destro. Secondo l’attore l’intervento non aveva raggiunto un risultato soddisfacente, essendo residuata una cicatrice di notevoli dimensioni. La responsabilità del chirurgo era ricondotta alla circostanza di non avere informato adeguatamente H paziente circa gli effetti dell’intervento. Costituitosi il chirurgo contestava nel merito la pretesa, mentre la clinica eccepiva il difetto di legittimazione passiva. Con sentenza del 1 giugno 2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, con condanna del convenuto N. P. al pagamento delle somme, ritenendo non dimostrata la circostanza che il convenuto avesse adeguatamente informato il paziente, rigettando la domanda nei confronti della clinica cui non incombeva alcun dovere di controllo sulle prestazioni mediche eseguite. Con atto di citazione del 27 ottobre 2005 il professionista proponeva appello nei confronti del solo F. contestando la violazione del principio del consenso informato, escludendo la riconducibilità del trattamento alla chirurgia estetica e deducendo l’assenza di errori nella scelta dell’intervento e in sede di esecuzione. Contestava, altresì, il danno come liquidato. Con sentenza del 26 settembre 2013 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione con condanna del P. al pagamento delle spese di lite, rilevando che sul professionista gravava un dovere di informazione la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale e che il convenuto non aveva dimostrato di avere assolto l’onere a lui spettante di adeguatamente informare ii paziente. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione N. R. P. affidandosi a due motivi. Resiste in giudizio P. F. con controricorso. Cori il primo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c, la violazione degli articoli 228 e 230 c.p.c, nonché degli articoli 2732 e 2733 c.c. e deil’articolo 116 c.p.c. con riferimento alla motivazione della Corte territoriale secondo cui gravava sul professionista l’onere di dimostrare di avere fornito una compiuta informazione circa gli esiti cicatriziali che sarebbero derivati, al fine di consentire al paziente di effettuare una consapevole comparazione tra costi e benefici di un intervento meramente elettivo. In particolare, in sede di interrogatorio formale, l’attore avrebbe confessato l’esistenza di uno scambio di informazioni sulle tecniche utilizzabili. Dalle risultanze processuali emerge che il paziente all’udienza del 31 maggio 2000 ha reso le seguenti dichiarazioni: “rispetto alla dermoabrasione tale cicatrice era esteticamente migliore … Il dottor P. indicò con il proprio dito l’andamento dell’intervento, figurandolo s.L.. mio deltoide; successivamente, con un pennarello, disegnò il taglio che con il bisturi avrebbe dovuto fare”. Pertanto il controricorrente, in sede di interrogatorio formale, ha riconosciuto di avere avuto con l’odierno ricorrente un dialogo specifico sul tema, ricevendo spiegazioni tecniche sui due diversi tipi di intervento al fine di valutare quello preferibile e ciò con riferimento specifico a!l’esito cicatriziale di entrambi. In sostanza, il paziente ha dichiarato di avere concordato, insieme al medico, l’intervento escludendo la dermoabrasione e preferendo la rimozione chirurgica, proprio in funzione del miglior esito cicatriziale (“tale cicatrice era esteticamente migliore”) e ricevendo indicazioni attraverso un disegno (“successivamente con un pennarello disegnò il taglio … indicò con il proprio dito l’andamento dell’intervento figurandolo sul mio deltoide”). La decisione impugnata, al contrario, omette di considerare il riferimento specifico agli esiti cicatriziali, nel momento in cui la corte territoriale motiva il rigetto della impugnazione. Ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, in forza della omessa valutazione di un segmento delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, non sono stati esaminati i presupposti fondamentali dell’azione, quali l’onere di adeguata informazione che non riguarda solo la modalità dell’intervento, ma anche gli esiti cicatriziali che sarebbero derivati dall’intervento. Si tratta di una valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito che dovrà essere espletata dal giudice di rinvio. La Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivo accolti e rinvia la causa.