Cassazione Penale – Esercizio abusivo di una professione – La giurisprudenza di legittimità ha dato dell’esercizio della professione, integrativo del reato di cui all’art. 348 cod. pen., una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale. Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, l’art. 348 cod. pen. diviene una norma penale in bianco in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo.
FATTO E DIRITTO: La Corte di appello di Cagliari con sentenza del 4 luglio 2017 ha confermato quella emessa dal tribunale della medesima città che aveva condannato l’imputato, (Omissis), alla pena di un mese di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., perché, agendo quale titolare della ditta “Centro Studi Aziendali ——–“, egli esercitava abusivamente prestazioni professionali per le quali era richiesta l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o a quello dei consulenti del lavoro. L’imputato, a mezzo di difensore di fiducia, ricorre in cassazione avverso l’indicata sentenza con due motivi di annullamento. Con il primo articolato motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 348 cod. pen. La Corte di appello aveva ritenuto il carattere abusivo della generica attività di consulenza tributaria e aziendale svolta dal prevenuto perché rientrante nelle competenze dei commercialisti e dei consulenti del lavoro e come tale erroneamente ritenuta non soggetta alla legge del 14 gennaio 2013 n. 4 di liberalizzazione delle professioni non organizzate o senza albo. Il criterio ispiratore della regolamentazione dello svolgimento di attività professionale sarebbe stato invece quello della libertà di iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 della Costituzione, rispetto alla quale avrebbe dovuto leggersi quale eccezione la disciplina contenuta nell’art. 33, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui essa subordina l’esercizio della professione al conseguimento dell’abilitazione. Siffatta ipotesi sarebbe valsa infatti soltanto per quelle professioni per le quali la legge prescrive l’iscrizione ad albi e collegi, e tanto a tutela della clientela. L’attività contestata, di consulenza fiscale generica, sarebbe invece rientrata tra quelle non organizzate in ordini o collegi e, quindi, sarebbe stata liberamente esercitabile nei termini di cui alla legge n. 4 del 2013 e tanto in applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole. La consulenza tributaria ed aziendale, contestata e ritenuta, non sarebbe stata riservata agli iscritti all’albo dei dottori commercialisti o dei ragionieri e periti commerciali per i principi affermati dalla Corte costituzionale nel dare interpretazione ad una complessa realtà in cui avrebbero trovato composizione le esigenze della interdisciplinarietà e della parziale concorrenza tra profili professionali ed il sistema degli ordinamenti di categoria della professionalità specifica (sentenze n. 418 del 1996 e n. 345 del 1995). La Corte di cassazione con un «overruling in malam partem» ed in violazione dell’art. 7 della CEDU, nella non prevedibilità della nuova interpretazione data alla materia con sentenza a sezioni unite n. 11545 del 23 marzo 2012, che sarebbe stata inapplicabile nella specie in quanto violativa della riserva di legge, avrebbe affermato, di contro a quanto ritenuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che l’attività di consulenza fosse riservata agli iscritti agli albi. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato sui motivi già proposti con l’appello e congruamente respinti in secondo grado e tanto sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato. La giurisprudenza di legittimità ha dato dell’esercizio della professione, integrativo del reato di cui all’art. 348 cod. pen., una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale. Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, l’art. 348 cod. pen. diviene una «norma penale in bianco» in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo. In applicazione dell’indicato principio con riguardo alla professione di dottore commercialista e di consulente del lavoro, la Corte di appello di Cagliari, in piena e corretta adesione alle affermazioni di questa Corte — puntualmente segnate dalla sentenza a Sezioni Unite n. 11545 del 2012 dalle cui persuasive conclusioni questo Collegio non ha ragione di discostarsi — ha debitamente valutato le attività svolte dall’imputato, per poi apprezzarne la piena riconducibilità alla contestata fattispecie di reato. Viene in considerazione, nella sua duplice accezione, la nozione di abusivo esercizio della professione che è tale sia perché svolta nella sua natura liberale-ordinistica in assenza della prescritta abilitazione sia perché si è comunque tradotta in una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza specifica di una professione, nel loro continuo, coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di apparenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela. L’art. 348 cod. pen. diviene una «norma penale in bianco» in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo (sul punto, Sez. 6, n. 2691 del 09/11/2017, dep. 2018, Dus, in motivazione, p…A 7 9) — e le altre in cui lo svolgimento dell’attività libero-intellettuale, in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione (art. 1 legge n. 4 cit.), resta emancipato dalle indicate forme Il tutto, comunque, per una complessiva disciplina in cui si accompagnano, nella coesistenza dei due sistemi, alle spinte di ispirazione convenzionale, dirette a favorire il mercato e la concorrenza, quelle, interne, di tutela delle professioni liberali, riservate. Il tema dell’ovveruling, pure oggetto del primo motivo e che si vorrebbe integrato, nelle difese articolate dall’imputato, dalle affermazioni in diritto contenute nella sentenza di questa Corte a Sezioni Uniti n. 11545 del 15/12/2011 cit., riceve debito apprezzamento da parte dei giudici di appello di Cagliari là dove essi evidenziano la mancanza, nei principi in sentenza sostenuti, del carattere dell’imprevedibilità, in quanto elaborazione di una precedente giurisprudenza di legittimità. Tale è stata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione della non rilevanza ai fini della configurabilità del reato di abusivo esercizio di una professione della distinzione tra i cc.dd. atti tipici della professione o atti riservati in via esclusiva a soggetti dotati di speciale abilitazione ed atti cc.dd. caratteristici o strumentalmente connessi ai primi ove compiuti in modo continuativo e professionale. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.