Cassazione Penale Sentenza n. 11674/19 – Responsabilità medica – In ipotesi di responsabilità dell’esercente professione medica, si è affermato che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto.
FATTO E DIRITTO: La corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale cittadino, appellata dagli imputati M. E. e I. V., con la quale costoro erano stati ritenuti penalmente responsabili, a titolo di colpa generica (dovuta a negligenza, imprudenza e imperizia) e specifica (in violazione delle norme che disciplinano l’attività medica) – quali esercenti la professione sanitaria (il primo primario del reparto di urologia dell’Istituto Clinico (Omissis) e medico curante, il secondo urologo curante di turno) – del decesso del paziente L. Primo, avvenuto il 28 settembre 2010 in Milano. In particolare, al M. si è contestato di aver lasciato alla mera discrezionalità degli infermieri la somministrazione di antidolorifici senza protettore gastrico a paziente anziano e da mesi defedato, così non impedendo la formazione di ulcere duodenali e la perforazione di tre ulcere; ad entrambi, di non aver diagnosticato tempestivamente la conseguente peritonite, erroneamente diagnosticando esiti di ascesso al rene destro, pur essendo le cisti renali già state diagnosticate nelle visite precedenti e così cagionato la morte del L., per shock settico evoluto in scompenso cardio- circolatorio. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorsi gli imputati con separati atti e difensori. La difesa dell’imputato M. ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto inosservanza e erronea applicazione degli artt. 40 e 43 co d. pen., oltre al mancanza della motivazione sul punto, con riferimento alla somministrazione dell’antidolorifico e alla osservanza delle linee guida. Quanto al primo profilo, in particolare, la difesa ha rilevato che la corte milanese avrebbe disatteso gli esiti della perizia disposta in appello, senza opporre a tali risultanze scientifiche una tesi altrettanto valida, essendo rimasta ad oggi non chiara la genesi delle perforazioni duodenali del L., potendo ipotizzarsi rispetto ad esse una pluralità di fattori determinanti. La corte territoriale, secondo il deducente, avrebbe applicato al caso concreto una regola basata su un coefficiente probabilistico, senza tuttavia procedere alla verifica di essa nel caso concreto, alla luce delle evidenze disponibili. Di qui la ritenuta inadeguatezza del percorso giustificativo sulla ricostruzione del nesso causale, tenuto conto degli altri fattori causali che avrebbero neutralizzato l’ipotesi accusatoria e imposto un giudizio assolutorio, quale conseguenza del ragionevole dubbio configurabile. Sotto altro profilo, parte ricorrente ha rilevato che il giudice di merito avrebbe considerato solo alcune emergenze processuali, addivenendo ad una ricostruzione dei fatti avvenuti nella notte tra il 25 e il 26 settembre 2010 erronea e travisata, rispondendo il M. del reato ascrittogli per non aver compreso per telefono la gravità della situazione del paziente e l’urgenza di intervenire. Il deducente, partendo dall’esame della cartella clinica e dell’elaborato tecnico, ha rilevato la riconosciuta obiettiva difficoltà del sospetto di perforazione duodenale e l’esistenza di elementi motivanti la decisione di soprassedere temporaneamente ad ogni iniziativa chirurgica. Ha, inoltre, rilevato che il medico che ricopre ruolo apicale riveste una posizione di garanzia generica nei confronti del paziente, diversamente dai medici che operano nel pronto soccorso, nel caso di specie il dott. L., cosicché il primario non potrebbe essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza, non essendo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività che si compiono nella struttura sanitaria (nel caso di specie, il pronto soccorso). La difesa dell’imputato I. ha formulato quattro motivi. Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione, rilevando un radicale disallineamento della motivazione della sentenza di secondo grado, rispetto a quella del tribunale, nonostante il richiamo ad essa da parte dei giudici d’appello. In particolare, si è evidenziato che il primo giudice, su basi completamente difformi, aveva espressamente escluso l’imperizia del dott. I., affidatosi alla diagnosi del dott. L., il quale aveva ritenuto che i dolori addominali lamentati dal paziente non potessero essere ricondotti a una perforazione duodenale in atto, concentrando il rimprovero penale sulla riconosciuta imprudenza del sanitario per non avere costui richiesto l’intervento dello specialista radiologo per la lettura del dato diagnostico, nell’ottica della prevenzione del rischio e senza prendere in considerazione la possibilità che il collega L. potesse aver sbagliato la propria diagnosi, pur trovandosi nelle condizioni di riconoscere l’errore diagnostico e porvi rimedio. Di tutto ciò la corte d’appello non sembra, secondo il deducente, essersi avveduta, determinandosi così un vizio logico della motivazione, poichè i due percorsi motivazionali, lungi dall’essere sequenziali e coerenti, sarebbero scollati e intrinsecamente distaccati. Con il secondo, ha dedotto vizio di omessa motivazione in ordine alle richieste formulate dalla difesa con i motivi del gravame di merito, con le quali si era evidenziata la plausibilità della diagnosi del dott. L., alla luce delle condizioni cliniche del L., laddove la terza diagnosi, pur formulata dal dott. I., sarebbe stata conseguenza della personale conoscenza della storia clinica del paziente, già sottoposto a intervento al rene. Nell’ottica della corte d’appello, invece, la posizione dell’imputato è venuta a sovrapporsi a quella del dott. L., al primo spettando quindi la diagnosi della patologia della p.o. e la lettura e interpretazione dell’esame diagnostico, il che avrebbe determinato una divaricazione evidente rispetto alla posizione ricostruita dal primo giudice, senza alcuna considerazione delle argomentazioni difensive formulate con l’atto di appello. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto travisamento e omessa valutazione della prova (perizia disposta in appello), avendo gli esperti confermato l’obiettiva difficoltà di interpretare il quadro radiologico del paziente; secondo i periti, infatti, né il L., né l’I. avrebbero avuto motivo tecnico o di giudizio di assumere decisioni cliniche diverse, anche ove fosse stato disponibile – già nella notte – il referto dello specialista radiologo. La corte d’appello avrebbe disatteso tali conclusioni, travisando la relativa prova, punto sul quale parte ricorrente ha invocato l’applicazione dei principi formulati dal S.C. di questa corte con la sentenza del 2016, Dasgupta. Con il quarto motivo, infine, ha dedotto violazione di legge, nella parte in cui la corte d’appello ha sospeso il termine di prescrizione per il tempo di redazione dei motivi della decisione, l’art. 159 cod. pen. novellato ai sensi della legge 103 del 2017 non potendo trovare applicazione per i processi relativi a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge di modifica della norma processuale. Considerato in diritto 1. La sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essersi il reato estinto per pescrizione, avuto riguardo al titolo di reato (art. 589 cod. pen.) e al tempus commissi delicti (25/09/2010). Ciò consente di ritenere carente l’interesse del ricorrente I. quanto al quarto motivo di ricorso, evidenziandosi, ad ogni buon conto, la fondatezza dell’assunto difensivo (cfr. art. 1 co. 15 della legge 23 giugno 2017, n. 103, con riferimento al regime transitorio delle disposizioni concernenti lo statuto della prescrizione e l’introduzione di nuove ipotesi di sospensione del relativo termine. La Corte di Cassazione ha affermato che in ipotesi di responsabilità dell’esercente professione medica, si è affermato che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di elevata probabilità logica, che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento deduttivo basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo circa il ruolo salvifico della condotta omessa, elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e focalizzato sulle particolarità del caso concreto. La sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essere il reato estinto per prescrizione.