Cassazione Penale Sentenza N. 14033/18 – Responsabilità medica – Nesso di causalità

Cassazione Penale Sentenza N. 14033/18 – Responsabilità medica – Nesso di causalità – La Corte di Cassazione ha affermato che in materia di colpa medica deve essere sempre accertata la necessaria sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta e l’evento. Con riferimento al caso di specie la Corte ha rilevato che  “se pertanto, è certamente rimproverabile all’imputato sotto il profilo strettamente professionale la circostanza di avere prescritto al bambino la somministrazione di due cucchiai di olio di ricino, tale terapia suggerita e praticata può essere collegata come determinante solamente al vomito e alla incidenza di questo sul verificatosi shock ipovolemico e diselettrolitico (trattato con successo dopo il ricovero), ma non già all’evento morte successivo di cui non costituisce neanche concausa, giacché l’evento tipico era quello di un grave effetto emetico indotto dall’olio di ricino, e, come detto, di una conseguente disidratazione, non correlabile, però, per espressa indicazione dei periti, a un rischio morte, non ipotizzabile in astratto, né in concreto giustificato dalla tenera età e dalle condizioni del bambino, in realtà non allarmanti al momento della visita secondo altrettanta univoca indicazione peritale”.

FATTO E DIRITTO: Con sentenza della Corte di appello di Palermo, del 10 novembre 2016, in sede di rinvio per l’annullamento della precedente sentenza con la decisione della Cassazione, sezione 4, dell’8 maggio 2015, è stata riformata la decisione di condanna di primo grado del Tribunale di Trapani del 25 luglio 2012, con l’assoluzione di D. M. perché il fatto non sussiste relativamente al reato di cui agli art. 40, 113 e 589, comma 1, cod. pen. commesso ad Erice 1’8 settembre 2007. L’imputato aveva rinunciato alla prescrizione. Le parti civili M. R. e L. V. propongono ricorso per Cassazione, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.; impugna per Cassazione anche la Procura Generale presso la Corte di appello di Palermo. I motivi sono comuni, e quindi si procede ad una elencazione unica. Violazione di legge, art. 627 cod. proc. pen., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, relativamente al nesso di causalità escluso dalla sentenza. Omessa riapertura dell’istruttoria dibattimentale. La Cassazione con la decisione di annullamento della precedente sentenza aveva circoscritto la nuova indagine della Corte di merito, da un lato, alla sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità colposa e, dall’altro, al nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del sanitario e l’evento morte. Sia la Procura generale e sia le parti civili avevano richiesto alla Corte di appello, in sede di rinvio, la riapertura dell’istruzione dibattimentale, proprio per dare concreta attuazione ai dettami contenuti nella sentenza di annullamento della Cassazione. La Procura Generale riteneva (e ritiene nel ricorso per Cassazione) assolutamente necessario disporre nuova perizia (collegiale) per accertare: «le cause, prossime e remote, della morte di F. M., tenendo presenti gli esiti dell’esame autoptico; natura e gravità della SEPSI ed incidenza sulla stessa dello stato di disidratazione in cui versava M. F.; cause dello stato di disidratazione e diselettrolitemia, con particolare riferimento all’assunzione dell’olio di ricino; l’incidenza nel processo causale, della presenza del fecaloma e delle complicanze tipiche del Morbo di Hirschsprung; se e come sarebbe stato possibile individuare la presenza della SIRS al momento della visita eseguita dall’imputato la mattina del 5 settembre 2007. I ricorsi risultano infondati e devono rigettarsi, con la condanna delle parti private ricorrenti alle spese processuali. I ricorrenti richiedono l’annullamento della sentenza, sostanzialmente, per non aver accolto l’istanza di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, relativamente alla richiesta perizia collegiale, sugli aspetti della vicenda in giudizio. Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma primo, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata. La decisione impugnata ha adeguatamente motivato (già con l’ordinanza del 21 giugno 2016 – di rigetto dell’istanza), senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, rilevando come le risposte degli eventuali nuovi periti da nominare riguarderebbero quesiti che esulano dalla condotta ascritta all’imputato nel capo di imputazione e a fronte della quale egli è chiamato a rispondere e, precisamente, “l’avere omesso, di diagnosticare la malattia di Hirschprung”, “l’avere omesso, di conseguenza, di somministrare o comunque prescrivere la idonea terapia chirurgica”, nonché “l’avere prescritto due cucchiai di olio di ricino che, a causa dell’insorgere di un vomito incoercibile, avrebbe accelerato lo shock ipovolemico e diselettrolitico ed il conseguente collasso cardiocircolatorio”, condotte con riferimento alle quali tutti i periti e consulenti che hanno agito nel processo si sono già espressi in senso univoco; che, conseguentemente, non può trovare accoglimento la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale formulata dal P.G. esulando dai limiti del giudizio imposto dalla Corte di Cassazione in sede di rinvio. La sentenza impugnata poi con ampia motivazione, esaustiva e adeguata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità esclude la responsabilità del ricorrente, rilevando come dal materiale probatorio acquisito (più che sufficiente per la decisione, senza necessità di nuove prove) emerge con tutta evidenza l’assenza del nesso di causalità tra l’operato dell’imputato ed il decesso; infatti, per la sentenza impugnata, tutti i periti sentiti nel giudizio di primo grado, fatta eccezione di quelli dell’imputato, hanno concluso che la prescrizione dell’olio di ricino da parte dell’imputato dopo la visita effettuata al piccolo M. la mattina del 7 luglio 2007 era da considerarsi non corretta dal punto di vista sanitario in considerazione delle particolari condizioni di salute del paziente conosciute dal D., trattandosi in ogni caso di un rimedio eccessivo per un bambino di piccola età, così come hanno concordato che tale somministrazione era da considerare la causa prima dell’episodio di vomito avvenuto dopo circa trenta minuti dalla somministrazione del primo cucchiaio dell’olio di ricino. Ma che tale somministrazione accelerasse lo shock ipovolemico e diselettrolitico ed il conseguente collasso cardiocircolatorio non viene affermato da alcuno. Innanzitutto l’utilizzo del termine accelerava comporta che lo shock […] sarebbe comunque insorto, e comunque, risulta chiaramente che il bambino una volta ricoverato veniva trattato mediante terapia di reidratazione che compensava lo shock e stabilizzava le sue condizioni; in più è a dire come secondo tutti i periti la causa determinante del decesso fosse da ascrivere all’insorgenza di una sepsi grave di origine incerta indipendente dallo shock e che non diagnosticata dai sanitari dell’ospedale dove il bambino era stato ricoverato d’urgenza nonostante egli presentasse due dei quattro elementi indicatori che, come osservato dal primo giudice rifacendosi alla letteratura scientifica, permettono una tale diagnosi e cioè l’alterazione della temperatura corporea e la leucocitosi; tutti i periti concordano sul fatto che se il bambino fosse stato adeguatamente trattato sin da subito con adeguata terapia antibiotica avrebbe avuto alte probabilità di sopravvivenza. […] Non a caso il Tribunale, potendosi ravvisare responsabilità a titolo di colpa nei sanitari di turno in ospedale, ebbe a disporre la trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica. Se pertanto, è certamente rimproverabile all’imputato sotto il profilo strettamente professionale la circostanza di avere prescritto al bambino la somministrazione di due cucchiai di olio di ricino, tale terapia suggerita e praticata può essere collegata come determinante solamente al vomito e alla incidenza di questo sul verificatosi shock ipovolemico e diselettrolitico (trattato con successo dopo il ricovero), ma non già all’evento morte successivo di cui non costituisce neanche concausa, giacché l’evento tipico era quello di un grave effetto emetico indotto dall’olio di ricino, e, come detto, di una conseguente disidratazione, non correlabile, però, per espressa indicazione dei periti, a un rischio morte, non ipotizzabile in astratto, né in concreto giustificato dalla tenera età e dalle condizioni del bambino, in realtà non allarmanti al momento della visita secondo altrettanta univoca indicazione peritale.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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