In tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 2 luglio 2015 il Tribunale di Monza dichiarava A. A. Vi. e P. P., medici del reparto di chirurgia dell’Ospedale Policlinico di (Omissis), con gli incarichi rispettivamente di primario e di aiuto anziano, responsabili del reato di omicidio colposo in danno di R. I., deceduta a causa di: una “M. O. F. da polmonite a focolai confluente dal lobo inferiore del polmone destro e ad estensione del lobo superiore del polmone sinistro con stato settico; una grave insufficienza circolatoria per shock emorragico da sanguinamento intraepatico; una insufficienza epatica con ittero severo; una insufficienza renale acuta in paziente operata per colecistite cronica colesterolosica e calcolosa e più volte rioperata per complicanze locoregionali ed addominali con ematoma sottocapsulare del fegato interessante i segmenti VI, VII e VIII e infarto ischemico del lobo destro del fegato in esiti di flogosi peritonitica con diffusa situazione aderenziale prevalente a livello della loggia sovramesocolica, perforazione coperta della parete anteriore del duodeno poco distale alla papilla pregressa sede di tubo duodenostomico di Petzer. 1.1. Nella originaria imputazione era ascritto: – ad A. A. V. e a P. M. E. P., quali medici incaricati di eseguire l’intervento di colecistectomia laparoscopica effettuato in data 19 dicembre 2011, di avere omesso, per negligenza, imprudenza ed imperizia, di eseguire un controllo pre – operatorio con esofagastroduodenoscopia in presenza di pregressa gastrite emorragica da farmaci e malattie del tubo digerente (ulcera – gastrite) e per avere determinato, nel corso delle manovre di isolamento della colecisti e della lisi aderenziale, una discontinuazione della parete duodenale con conseguente peritonite da perforazione duodenale avvenuta tra il 20 e il 21 dicembre 2011 (capo a) ; – ad A. A. V. e a P. P. di avere effettuato, con negligenza, imprudenza ed imperizia, il 21 dicembre 2011 un intervento di rafia di perforazione duodenale e toilette del cavo peritoneale per via laparoscopica quando invece si sarebbe dovuto procedere con l’asportazione dei margini della perforazione duodenale su tessuto sano ed operare una sutura in allargamento per meglio assicurarne la tenuta e il 28 dicembre 2011 un ulteriore intervento laparotomico di rafia di deiscenza di sutura di perforazione duodenale e toilette del cavo peritoneale mentre invece, in considerazione della presenza di recidiva di perforazione duodenale nella stessa sede dopo che questa era stata suturata, si sarebbe dovuto procedere a resezione gastroduodenale o escludente così determinando una nuova (terza) perforazione/deiscenza; – ad A. A. V., P. P. e a P. M. E. P. di avere determinato, per negligenza, imprudenza ed imperizia, l’insorgenza di un ematoma epatico con importante espansione nel corso dell’intervento effettuato il 2 gennaio 2012 a causa della presenza di una grave insufficienza epatica e compromissione generale multi – organo conseguente alla peritonite, alla sepsi prolungata e ai ripetuti interventi chirurgici, nel posizionamento dei divaricatori, delle spatole laparotomiche, nelle trazioni e manipolazioni chirurgiche sul fegato dirette e indirette. 1.2. Il giudice di primo grado assolveva A. A. V. (aiuto anziano) e P. M. E. P. (aiuto – giovane e primo operatore) dalle accuse elevate in relazione all’intervento del 19 dicembre 2011 di rimozione della colicisti che veniva ritenuto adeguato alle patologie sofferte dalla R. ed eseguito secondo una prassi corretta mentre la complicanza verificatasi nel corso delle manovre di adesiolisi delle aderenze (perforazione duodenale) e dovuta all’uso dell’elettrobisturi (nel caso di specie del diatermocauterio) era ritenuta una possibile conseguenza fisiologica, non necessariamente dovuta ad errori esecutivi, e rimediabile in quanto non avente di per sé prognosi infausta. All’esito di tale intervento seguiva un quadro clinico di peritonite biliare secondaria dovuta alla perforazione duodenale che rendeva necessario l’intervento di urgenza del 21 dicembre 2011 che veniva effettuato nuovamente per via laparoscopica, nel corso del quale P. P. (primario e primo operatore) e A. A. V. (aiuto – anziano) eseguivano la sutura della fissurazione duodenale con la rafia anziché procedere alla escissione dei margini tessutiali della lesione al fine di verificarne lo stato effettivo a mezzo di esame anatomo – patologico ed effettuare poi la sutura in allargamento su un tessuto sano. Veniva pertanto ritenuto fondato tale specifico addebito mosso dalla pubblica accusa così come la sottovalutazione delle condizioni cliniche di peritonite settica manifestatesi quantomeno dal 27 dicembre 2011 quando gli esiti della TAC riscontravano, tra l’altro, un versamento pleurico bilaterale e la disventilazione dei territori polmonari che portava al progressivo peggioramento delle condizioni fisiche della paziente. Il Tribunale di Monza sottolineava che le risultanze processuali comprovavano la ancor più marcata inadeguatezza dell’intervento d’urgenza del 28 dicembre 2011 della sutura di una nuova perforazione duodenale su una lesione deiscente con rafia in laparascopia, convertita in laparotomia, in quanto si sarebbe dovuto provvedere, sin dal 27 dicembre 2011, all’intervento c.d.”salvavita” che è stato poi tardivamente eseguito il 2 gennaio 2012 (gastro – entero anastomosi con sezione antro – pilorica per fistola biliare recidiva). Ed ancora, con riguardo a quest’ultimo intervento effettuato per avere i medici riscontrato una fistola biliare a livello della precedente rafia, il giudice di primo grado rilevava che la sua esecuzione era avvenuta con modalità talmente imperite da causare una complicanza emorragica epatica che determinava un profondo sanguinamento e una sofferenza multiorgano. In particolare veniva ritenuto comprovato che l’ematoma era dovuto ad un traumatismo da compressione (eccessiva manipolazione meccanica dell’organo, ad esempio, durante il posizionamento di divaricatori e di spatole laparotomiche, trazioni, manipolazioni chirurgiche sul fegato dirette ed indirette). Il Tribunale di Monza perveniva così al convincimento che gli interventi del 21 e del 28 dicembre 2011 effettuati in laparascopia erano stati inadeguati ad arrestare il patologico processo peritonitico che si era innescato mentre l’intervento del 2 gennaio 2012 di resezione gastroduodenale escludente era stato eseguito con modalità gravemente imperite. In particolare veniva evidenziato che il primario P. P. aveva gestito in prima persona la situazione della paziente R. a partire dal manifestarsi della prima complicanza ed aveva operato nel secondo, terzo e quarto intervento e l’aiuto anziano A. A. V. A. aveva condiviso ogni sua scelta decisionale partecipando ai predetti interventi. P. M. E. veniva invece assolto anche in relazione all’intervento del 2 gennaio 2012 in quanto aveva ricoperto il ruolo assolutamente marginale di terzo operatore. 2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza del 14 giugno 2018, ha confermato la pronuncia impugnata puntualizzando che i profili di colpa a carico di P. P. e di A. A. V. andavano circoscritti al terzo e al quarto intervento eseguiti il 28 dicembre 2011 e il 2 gennaio 2012. Veniva specificata la erroneità della scelta da parte di P. P. e di A. A. V. dì non praticare il 28 dicembre 2011 l’escissione dei margini del duodeno e di non procedere già a quella data alla sezione del duodeno e alla gastro – entero – anastomosi procedendo, invece, alla ripetizione della rafia già posta nel corso dell’intervento precedente del 21 dicembre e rivelatasi fallimentare. Quanto alla posizione dell’A., si escludeva che avesse avuto un ruolo marginale nella decisione di effettuare l’ intervento conservativo di sutura dei tessuti della paziente anzichè procedere ad un intervento di gastro entero anastomatosi anche perché P. P. aveva affermato che le scelte assunte erano state da lui condivise. Veniva altresì specificato che la pronuncia assolutoria formulata dal giudice di primo grado nei confronti di P. M. in ragione del suo ruolo marginale non faceva che rafforzare la responsabilità non solo del padre, P. P., ma anche dell’aiuto anziano A. A. V. 3. A. A. V. ricorre per cassazione elevando tre motivi. 3.1. Con il primo motivo denuncia il vizio motivazionale per la mancata verifica sull’operato concreto dei singoli sanitari al fine della individuazione delle responsabilità individuali di ciascun sanitario tanto più alla stregua degli elementi probatori acquisiti tra cui le dichiarazioni rese dallo stesso primario P. P. che venivano travisate posto che il predetto aveva affermato di avere riservato a sé sia le scelte operatorie che l’esecuzione materiale degli interventi. Soggiunge che, in assenza di linee guida, il comportamento andava valutato ex ante e non all’esito della vicenda. 3.2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione alle norme concorsuali stante il preteso rafforzamento delle sue responsabilità rispetto a quelle di P. M. adombrando così una responsabilità per omessa vigilanza sull’operato del componente più giovane dell’equipe senza alcuna altra specificazione al riguardo. Sottolinea che l’eventuale errore compiuto da P. M. nelle manovre di posizionamento dei divaricatori eseguite nel quarto intervento non era percepibile nel corso dell’intervento e pertanto non era emendabile nella immediatezza. 3.3. Con il terzo motivo lamenta l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 40 e 41 cod. pen. ovvero al rapporto causale tra la condotta posta in essere dall’A. e il decesso della R. in quanto non vi è alcuna prova di una sua condotta atta a cagionare il trauma epatico. 4. Con la memoria depositata in data 24 gennaio 2019 A. A. V. ha depositato motivi nuovi con i quali deduce il vizio motivazionale in quanto la sentenza impugnata non motiva sulla conformità o meno delle condotte tenute dall’A. alle linee guida di settore, questione che riveste fondamentale importanza ai fini della valutazione della eventuale sussistenza di una colpa lieve del sanitari secondo il disposto dell’art. 3 della legge n. 189/2012. 4.1. Inoltre denuncia il vizio motivazionale in ordine al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonchè al beneficio della sospensione condizionale della pena che poteva essere riconosciuta ex officio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 2. I tre motivi di ricorso, strettamente connessi, vengono esaminati unitariamente. 3. Colgono nel segno le doglianze formulate da A. A. V. sul ruolo da lui effettivamente svolto nell’ambito dell’equipe medica, riguardo alla preminente responsabilità del capo – equipe, individuato nella persona del primario P. P., alla stregua delle emergenze probatorie segnalate nel ricorso ed in particolare delle dichiarazioni rese da quest’ultimo nel corso del dibattimento di primo grado che non sono state valutate nel loro complesso ma solo parzialmente. Osserva il Collegio che l’iter motivazionale risulta viziato in relazione all’omessa verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta individuale posta in essere dal ricorrente e l’evento, in violazione delle regole cautelari che si assumono inosservate. Tale verifica da parte del giudice deve essere particolarmente attenta nella ipotesi di lavoro in equipe e, più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito. La delicatezza del tema discende dalla necessità di contemperare il principio di affidamento – in forza del quale il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento – con l’obbligo di garanzia verso il paziente in forza del quale tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all’intervento terapeutico. E’ opportuno rammentare che, secondo la Suprema Corte, (Sez. 4, n. 7346 dell’ 08/07/2014 – dep. 2015- Rv. 262244) in tali casi l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza di condanna nei confronti di due medici componenti la più ampia “equipe” chirurgica, rinviando al giudice di merito i dovuti accertamenti sulla sussistenza del nesso causale con le lesioni patite dalla vittima, in ragione del ruolo non preminente in concreto da loro svolto nell’ambito delrequipe”). Ed ancora (Sez. 4, n. 43988 del 18/06/2013, Rv. 257699) in tema di colpa professionale, per l’affermazione della responsabilità penale del singolo sanitario operante in equipe chirurgica, è necessario non solo accertare la valenza con-causale del suo concreto comportamento attivo o omissivo al verificarsi dell’evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità di un medico specialista che si era occupato della fase preparatoria di un intervento chirurgico e del post operatorio per le lesioni occorse alla persona offesa, non avendo il giudice di merito accertato se egli avesse avuto la concreta possibilità di conoscere e valutare l’attività svolta da altro collega, di controllarne la correttezza e di agire ponendo rimedio agli errori emendabili da lui commessi). Inoltre (Sez. 4, n. 27314 del 20/04/2017, Rv. 270189) in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui. Nell’ambito dell’attività medica, proprio il principio di affidamento consente infatti di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 Cost. Inoltre il riconoscimento della responsabilità per l’eventuale errore altrui (nel caso di specie quello adombrato a carico di P. M. nel quarto intervento chirurgico) non è, conseguentemente, illimitato e, per quanto qui rileva, richiede la verifica del ruolo effettivo svolto dal ricorrente, non essendo consentito ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo e ciò tanto più alla luce delle argomentazioni difensive del ricorrente che ha evidenziato che il posizionamento dei divaricatori non era comunque percepibile nell’immediatezza. 3.1. La sentenza impugnata omette altresì di appurare se e in quale misura la condotta dell’A. si sia discostata dalle linee guida di settore o dalle buone pratiche clinico- assistenziali (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, Rv. 27346). 4. Tale esito decisorio rende superflua la disamina del motivo inerente al trattamento sanzionatorio contenuto nella memoria difensiva depositata in data 24 gennaio 2019. 5. Alla stregua di quanto sopra esposto la sentenza impugnata va annullata limitatamente all’imputato A. A. V. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio).