Cassazione Penale Sentenza n. 3869/18 – Responsabilità del medico di medicina generale – Paziente deceduto per le complicanze della frattura, non tempestivamente diagnosticata dal MMG – Non è affatto sostenibile quanto assunto dalla difesa del B. sul ruolo del medico di medicina generale, che svolgerebbe una funzione, quasi amministrativa, neppure inquadrabile nell’arte sanitaria, limitata alla prescrizione dei medicinali normalmente assunti dal paziente: la professione medica impone ben altra diligenza, e non certo la macroscopica superficialità dimostrata dall’imputato, che ha omesso di visitare un paziente che manifestava una grande sofferenza e, per la disabilità di cui era affetto, non era in grado di comunicare e di esprimersi con chiarezza sulla sintomatologia accusata; neppure risulta prescritta dal B. una semplice radiologia d’urgenza, che avrebbe consentito l’immediato trasferimento del paziente in un istituto attrezzato ove sarebbe stata tempestivamente rilevata la frattura, così da scongiurare le conseguenze della omessa diagnosi, avendo egli richiesto solo verbalmente una visita da parte del fisiatra. Nella specie, il paziente è deceduto per le complicanze della frattura, non tempestivamente diagnosticata dal medico di medicina generale, e non per una patologia differente, e dunque non si è innescato alcun fattore successivo, imprevedibile, quale causa dell’evento mortale. Se è vero che vi furono altre negligenze, va però ricordato, in tema di causalità, che non può parlarsi di affidamento sull’operato altrui quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succedono nella stessa posizione di garanzia, eliminino la violazione o pongano rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo assurgere a fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento.
FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Napoli confermava la condanna resa dal G.I.P. del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti di B. A., ritenuto responsabile, insieme ad altri soggetti separatamente giudicati, del decesso di D.A.C. , persona affetta da tetraparesi spastica e cerebropatia e ricoverata per tali patologie da molti anni presso il centro di riabilitazione “Omissis” di (Omissis), ove il B. svolgeva l’attività di medico di base. Dalla ricostruzione della vicenda esposta dai giudici di merito, è emerso che tra il 21 ed il 22 settembre 2010 il (Omissis) aveva riportato, in costanza di ricovero nella menzionata struttura, la frattura del femore destro; che il 23 settembre il B. era stato chiamato perché il paziente accusava dolore alla coscia destra, che appariva gonfia, e non stava in piedi, mentre era abitualmente in grado di poggiare i piedi a terra; che in tale occasione il medico non aveva ritenuto neppure di visionare gli arti inferiori del paziente, limitandosi a somministrare un antibiotico per un pregresso problema dentario; che la frattura era stata accertata solo il 10 ottobre, dopo il ricovero del D:A.C. presso l’ospedale di Scafati; che a causa della mancata tempestiva diagnosi e cura della frattura il D.A.C. era deceduto il 14 ottobre per una complicanza dovuta a tromboembolia polmonare. La colpa contestata e ritenuta dalla Corte territoriale a carico dell’imputato è stata dunque quella di aver omesso, all’atto del suo primo intervento come medico di base, ed a fronte della segnalazione di specifici sintomi lamentati dal paziente, ogni verifica delle condizioni fisiche dello stesso, verifica necessaria per poi indirizzare la persona a successive indagini strumentali e controlli specialistici; sotto il profilo controfattuale, è stato ulteriormente evidenziato che già dal 23 settembre il paziente presentava segni obiettivi di una patologia che, ove tempestivamente rilevati, avrebbero indotto alla somministrazione di farmaci salvifici di basilare conoscenza, quale la calcioeparina, che fu poi dispensata da un infermiere di propria iniziativa. La Corte di merito aveva definito “prassi diffusa” da considerare “contra legem”, la modalità di intervento del medico di base, che si risolveva in una mera prescrizione di farmaci, non preceduta dalla visita del paziente. La Corte di Cassazione ha affermato che risulta accertato dai giudici di merito che il B., chiamato presso il centro di (Omissis) perché il D.A.C. accusava forte dolore alla gamba e non riusciva a mantenere la posizione eretta, non visitò il paziente, nonostante sussistessero già plurimi elementi che imponevano, al contrario, la massima attenzione ed il massimo scrupolo, trattandosi di una persona affetta da un quadro patologico complesso (tetraparesi spastica). Tale omissione ha costituito grave negligenza, poiché il B., nel suo primo intervento quale medico di base della struttura, non avrebbe dovuto limitarsi a consigliare di rivolgersi ad un fisiatra ma, visionando, come suo dovere professionale, la gamba dolente, si sarebbe accorto del gonfiore alla coscia ed avrebbe potuto tempestivamente diagnosticare o quanto meno sospettare la presenza di una frattura e chiedere immediatamente ulteriori esami ed accertamenti, quali una semplice radiografia, che evidenziando la frattura avrebbe consentito le terapie volte a scongiurare in maniera drastica l’insorgenza di una tromboembolia, che poi ha costituito causa del decesso. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta all’esito di un’attenta lettura della consulenza tecnica, secondo la quale il ritardo nella diagnosi e nella terapia fu considerevole, mentre una tempestiva diagnosi e terapia avrebbero certamente ridotto drasticamente i rischi delle possibili complicanze, quali appunto la tromboembolia polmonare, e che erano inesistenti altri fattori causali che avrebbero potuto agire in via alternativa. Di qui la ineccepibile conclusione che la omissione della diagnosi, frutto della macroscopica superficialità dell’imputato, fosse stato l’unico fattore causare dell’evento mortale. Non è affatto sostenibile quanto assunto dalla difesa del B. sul ruolo del medico di base, che svolgerebbe una funzione, quasi amministrativa, neppure inquadrabile nell’arte sanitaria, limitata alla prescrizione dei medicinali normalmente assunti dal paziente: la professione medica impone ben altra diligenza, e non certo la macroscopica superficialità dimostrata dall’imputato, che ha omesso di visitare un paziente che manifestava una grande sofferenza e, per la disabilità di cui era affetto, non era in grado di comunicare e di esprimersi con chiarezza sulla sintomatologia accusata; neppure risulta prescritta dal B. una semplice radiologia d’urgenza, che avrebbe consentito l’immediato trasferimento del paziente in un istituto attrezzato ove sarebbe stata tempestivamente rilevata la frattura, così da scongiurare le conseguenze della omessa diagnosi, avendo egli richiesto solo verbalmente una visita da parte del fisiatra. Nella specie, il paziente è deceduto per le complicanze della frattura, non tempestivamente diagnosticata dal medico di base, e non per una patologia differente, e dunque non si è innescato alcun fattore successivo, imprevedibile, quale causa dell’evento mortale. Se è vero che vi furono altre negligenze, va però ricordato, in tema di causalità, che non può parlarsi di affidamento sull’operato altrui quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succedono nella stessa posizione di garanzia, eliminino la violazione o pongano rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo assurgere a fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento (Sez.4, n.692 del 14/1/2013, dep. 10/1/2014, Rv.258127). Nella fattispecie di colpa professionale oggetto del procedimento, sono state configurate plurime condotte colpose, autonome ed indipendenti, poste in essere non contestualmente dai vari medici che si occuparono del D’Auria, e che condussero al suo decesso. Ciò non esclude che ognuno fosse tenuto al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte nel proprio intervento sanitario, dovendosi rimarcare che l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale, su cui poi si innesti l’altrui condotta colposa, non può invocare il richiamato principio dell’affidamento, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio della equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità (Sez.4, n.30991 del 672/2015, Rv.264315), carattere, si è già detto, da escludersi nel caso in esame. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali).