Cassazione Penale Sentenza n. 39733/18 – Responsabilità medica

Cassazione Penale Sentenza n. 39733/18 –   Responsabilità medica – L’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. Le Sezioni Unite hanno quindi chiarito che l’art. 590-sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.

FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Savona in data 20.03.2014, nei confronti di A. G., in ordine al delitto di lesioni colpose. Al predetto, in cooperazione colposa con il primo operatore P., si contesta, nella sua qualità di secondo operatore, di avere provocato al paziente B. M. lesioni gravissime; ciò in quanto nel corso di intervento laparoscopico di rimozione di una cisti splenica, veniva erroneamente realizzata una nefrectomia con asportazione del rene sinistro in paziente minorenne. La Corte territoriale ha rilevato che A. non contesta l’errore del primo chirurgo, che asportò il rene, poiché tratto in inganno dalla calcolosi a stampo che interessava l’organo. Il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio. Ciò in quanto A. non si accorse del fatto che il primo operatore stava asportando il rene. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione A. G., a mezzo del difensore. Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione di legge, in riferimento alla responsabilità di equipe. La parte rileva che i giudici hanno erroneamente applicato la legge penale in tema di cooperazione nel delitto colposo. Osserva che A. è stato ritenuto responsabile, unitamente al primario P. che per grave imperizia asportò alla persona offesa l’unico rene che le era rimasto. A sostegno dell’assunto, il ricorrente si sofferma sui termini di fatto della vicenda clinica. Ribadisce di essere stato convocato, con l’incarico di secondo operatore, dal primario P., per l’intervento chirurgico di cui si tratta, solo il giorno precedente. Osserva che il breve preavviso rispondeva ad una pessima prassi seguita dal P.. L’esponente sottolinea che il giorno dell’intervento venne scelto dal primario per l’intervento sul paziente B.; e che nel frangente non poteva rifiutarsi di collaborare, giacché il paziente era già stato sedato. Il ricorrente osserva che l’intervento chirurgico venne eseguito dal primario e che all’A. era stato assegnato il compito di direzionare la telecamera nelle zone indicategli dal primo operatore. Afferma poi che l’errata recisione del rene avvenne con un gesto chirurgico repentino e non preannunciato. Considera che l’intervento presentava peculiari difficoltà, a causa della difformità anatomica del rene. À, Il deducente rileva che non sussiste alcun profilo di colpa a carico del secondo operatore. Nel ricorso si richiamano quindi arresti giurisprudenziali in tema di legittimo affidamento nell’ambito dell’attività medico chirurgica di equipe. La Corte regolatrice ha da ultimo chiarito che, in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in equipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui (Sez. 4, n. 27314 del 20/04/2017, Puglisi, Rv. 27018901). Il principio ora richiamato risulta coerente con l’insegnamento giurisprudenziale in base al quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. Giova, altresì, ricordare che la Suprema Corte ha affermato che il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio, ha l’obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso. Ciò posto, il Collegio ha chiarito che all’A. era stato affidato il compito di manovrare la telecamera; ha precisato che indubbiamene i diversi temi evidenziati dalla difesa dell’odierno imputato, relativi alla perfettibile organizzazione del lavoro, riguardavano unicamente la posizione del primario; e che i profili di colpa ascritti ad A. concernevano unicamente il suo ruolo di secondo operatore, incaricato di manovrare la telecamera. Tanto chiarito, il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio, ovvero di imperizia, per incapacità di identificare il rene: ciò in quanto A. non si accorse del fatto che il primo operatore stava procedendo alla asportazione del rene, anziché della cisti splenica. Al riguardo, il Collegio ha precisato che l’aiuto non doveva affatto sostituirsi al primario, ma garantire con la telecamera la visione del campo chirurgico, durante un accesso laparoscopico, come quello in esame. La Corte territoriale ha in particolare considerato che A. ben avrebbe potuto accorgersi di quanto stava avvenendo, nel contesto fattuale sopra descritto; ed ha rilevato che, a fronte dell’errore evidente in cui stava incorrendo il primario, A. aveva colposamente omesso di segnalare cosa stava realmente avvenendo, a causa della negligente disattenzione nella visione del campo operatorio ovvero per un elevato grado di imperizia, che gli aveva impedito di identificare il rene, quale reale organo obiettivo del primo operatore. Preme allora evidenziare che i giudici di merito, nei termini ora richiamati, hanno apprezzato la sussistenza di profili di colpa per negligenza, riferibili alla condotta dell’aiuto chirurgo che omise di segnalare quanto stava avvenendo, nel corso dell’intervento. Non sfugge che in sentenza si afferma pure che, alternativamente, la condotta del ricorrente può integrare una gravissima colpa per imperizia, posto che nel caso di specie l’uso della tecnica laparoscopica coinvolgeva direttamente l’A., al quale era stato affidato il compito di garantire con la telecamera la visione del campo chirurgico. Si tratta, peraltro, di un mero artificio retorico, funzionale a lumeggiare l’indice di gravità della accertata negligenza; convince di 5 tanto considerare che i giudici di secondo grado hanno sottolineato che l’avulsione del rene venne realizzata dal primo operatore nell’arco di un significativo arco temporale e non improvvisamente, modalità che avrebbe consentito all’aiuto chirurgo di segnalare quanto stava avvenendo, ove avesse prestato la dovuta attenzione nel visionare costantemente il campo operatorio, ad addome chiuso, mediante la telecamera a lui affidata. Si osserva, altresì, che la Corte di Appello non ha altrimenti omesso di effettuare un ragionamento di natura controfattuale, su base induttiva, rispetto alla utilità del comportamento alternativo lecito. Il Collegio ha infatti chiarito che ove A. avesse segnalato al primario l’errore evidente in cui stava incorrendo, il primo operatore avrebbe certamente effettuato diverse valutazioni, idonee a scongiurare l’espianto dell’unico rene di cui il malato disponeva. Come noto, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede che qualora l’evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalla linee guida ovvero le buone partiche clinico- assistenziali, sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto. E bene: nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato la ricorrenza di profili di colpa per negligenza a carico del secondo operatore dott. A., come sopra si è ampiamente chiarito. Da tanto consegue l’inapplicabilità della novella alla fattispecie per cui è giudizio, che involge profili di colpa estranei dall’ambito applicativo della invocata causa di non punibilità, ex art. 590-sexies, cod. pen. Del resto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590-sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Ai fini di interesse, si osserva in particolare che secondo diritto vivente la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti, Rv. 27217401). Conclusivamente sul punto, si osserva che la causa di non punibilità introdotta dall’art. 590-sexies, cod,. pen., di cui la difesa lamenta la mancata applicazione da parte della Corte territoriale, non risulta applicabile al caso di specie per plurime ragioni. Da un lato, sono stati accertati a carico dell’imputato A. profili di colpa per negligenza esecutiva, per disattenzione nell’assolvimento dei compiti assegnati, in seno all’equipe chirurgica, evenienza di per sé ostativa all’operatività del nuovo istituto Dall’altro, la Corte di Appello ha evidenziato che il grado della colpa doveva ritenersi elevato, circostanza che, come detto, esclude del pari l’operatività della richiamata causa di non punibilità. Per quanto detto, la sentenza impugnata non può essere oggi sindacata per il mancato approfondimento del tema relativo all’osservanza delle raccomandazioni contenute nelle linee guida adeguate al caso di specie, per l’evidenziata ontologica inapplicabilità al caso di giudizio della disciplina di cui all’art. 590-sexies, cod. pen.3.1. Per completezza argomentativa, è appena il caso di rilevare che le Sezioni Unite, con la sentenza sopra citata, hanno pure precisato che, in tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’abrogato art. 3 comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, cit.). Come si vede, le svolte considerazioni, circa l’elevato grado di colpa per negligenza rinvenibile nella condotta posta in essere dall’odierno imputato, conducono ad apprezzare pure l’inapplicabilità al caso di giudizio della previgente disciplina in materia di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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