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Cassazione Penale Sentenza n. 5/18 – Responsabilità dell’infermiere

Cassazione Penale Sentenza n. 5/18 – Responsabilità dell’infermiere – La Corte di Cassazione ha già avuto modo di individuare in capo all’infermiere delle responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico e ha ravvisato il fondamento di tale posizione di garanzia proprio nell’autonoma professionalità dell’infermiere che va oggi considerato non più “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario”, quale soggetto che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, essendo onerato di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l’intervento del medico.

FATTO E DIRITTO: Con sentenza emessa in data 11/07/2013, il Tribunale di Roma dichiarava S.G. colpevole del reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p. e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena – sospesa – di mesi 8 di reclusione oltre al risarcimento del danno cagionato alle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede. . Con la sentenza n. 5134/16 del 20/05/2016, la Corte di Appello di Roma, adita dall’imputato, in riforma della sentenza di primo grado dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.G. perchè il delitto ascritto è estinto per intervenuta prescrizione; confermava le statuizioni civili disposte con la sentenza. Avverso tale sentenza d’appello, propone ricorso per cassazione S.G., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p. , comma 1,) vizi motivazionali. Deduce che il processo vedeva in origine imputati tutti i sanitari (medici e infermieri) che, a vario titolo, avevano avuto contatti con il paziente Ve. dal momento del suo ricovero (avvenuto il (OMISSIS)) fino al momento del decesso, avvenuto in data (OMISSIS); l’istruttoria dibattimentale del processo di primo grado era stata, pertanto, tutta improntata sulla ricerca, attraverso le testimonianze dei consulenti dell’accusa, di quelli della difesa e l’esame degli imputati, delle cause che avevano portato al decesso del Ve.. Afferma che gli esiti di tali mezzi di ricerca della prova avevano condotto ad un insanabile contrasto sul dato tecnico-scientifico, derivante da una netta contrapposizione tra gli elaborati dei consulenti dell’accusa e quelli delle difese; per quanto riguarda l’infermiere S. il Tribunale aveva rinvenuto la sua responsabilità nel non aver allertato il medico di guardia in presenza di una crisi ipotensiva del sig. Ve., verificatasi nel pomeriggio dell'(OMISSIS). Deve osservarsi che questa Sezione – che ha già avuto modo di individuare in capo all’infermiere delle responsabilità di tipo omissivo riconducibili ad una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente del tutto autonoma rispetto a quella del medico (cfr., ad es. Sez. 4, n. 9638 del 02/03/2000, Troiano ed altri, Rv. 217477; più di recente Sez. 4, n. 2541 del 03/12/2015; Sez. 4, e “1573 del 13/5/2011, Monopoli ed altri)- ha ravvisato il fondamento di tale posizione di garanzia proprio nell’autonoma professionalità dell’infermiere quale soggetto che svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, essendo onerato di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l’intervento del medico, che va oggi considerato non più “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario”. La Corte ha quindi rilevato che   “l’imprudenza degli infermieri di non chiedere immediatamente l’intervento del medico ha costituito l’errore clamoroso che è costato la vita al povero Ve. che, in quel momento, sottoposto a nuovo controllo dell’emocromo, avrebbe manifestato un ulteriore abbassamento del valore che, unitamente alle crisi ipotensive, già avrebbero permesso di formulare l’esatta diagnosi e procedere alle trasfusioni. Va, altresì, rilevato come i due infermieri, nonostante le crisi, abbiano colpevolmente omesso di controllare la frequenza cardiaca e quella respiratoria che, quantomeno nel corso dell’abbassamento pressorio, avrebbe consentito con certezza di registrare un aumento”).

 

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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