Cassazione Penale Sentenza N. 53368/18 – Responsabilità medica – La Corte di Cassazione ha condannato, per truffa aggravata, il medico che aveva dichiarato di svolgere, in piena consapevolezza, attività libero professionale solo occasionale e per meno di 5 ore settimanali.
FATTO e DIRITTO: La CORTE d’APPELLO di VENEZIA, con sentenza in data 19/5/2017, confermava la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE DI VICENZA il 7/3/2016, nei confronti di S. P. in relazione al reato di cui all’art. 640 CP. S.P. proponeva ricorso avverso la suddetta sentenza.S. P. è imputato del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. Lo stesso, nella qualità di medico convenzionato con la USL di Vicenza, dichiarando falsamente negli anni 2001 e 2008 di svolgere attività libero professionale di odontoiatra solo occasionale, e cioè non strutturata e per un impegno settimanale inferiore a 5 ore, avrebbe indotto i funzionari dell’ente pubblico ad erogargli le indennità annue previste dagli artt. 54 e 58 dell’accordo collettivo nazionale quale compenso per l’associazionismo, la medicina di gruppo ed il collaboratore di studio e/o l’infermiere, per gli importi specificamente indicati nel capo di imputazione per gli anni dal 2008 al 2013. Il Tribunale, all’esito del dibattimento – nel corso del quale sono stati sentiti gli ufficiali della Guardia di Finanza e numerosi testimoni, tra pazienti dell’attività libero professionale, pazienti convenzionati, collaboratori e medici- ha ritenuto dimostrata la circostanza che il dott. S. aveva continuativamente svolto attività libero professionale in forma organizzata e strutturata per almeno 12 ore a settimana e, quindi, considerate false le dichiarazioni dallo stesso rese sul punto, lo ha condannato. Avverso la sentenza di primo grado i difensori hanno presentato appello evidenziando l’inattendibilità degli esiti delle indagini, lo scarso rilievo dimostrativo degli esiti della perquisizione effettuata presso lo studio professionale dell’imputato, la circostanza che le testimonianze non evidenzierebbero l’esistenza di una attività professionale strutturata e, da ultimo, la carenza dell’elemento soggettivo poiché lo S., in presenza di un quadro normativo confuso, avrebbe reso le dichiarazioni in buona fede. La Corte territoriale, ritenuti infondati i motivi di appello, ha confermato la sentenza di condanna. La Corte contesta la sussistenza dell’elemento materiale ed in qualche modo l’idoneità dell’artificio e raggiro (la falsa dichiarazione) a conseguire l’indebita erogazione.Il profitto e l’antigiuridicità dello stesso sono insiti nella illiceità del conseguimento poiché al dott. S. non spettavano le indennità che ha percepito dichiarando il falso. Il profitto, poi, è costituito dalle indennità indebitamente conseguite ed il danno, diversamente da quanto suggestivamente sostenuto dalla difesa facendo riferimento all’eventuale disservizio subito dai pazienti, è determinato dalla diminuzione del patrimonio del SSN che ha corrisposto delle indennità non dovute. Quello che assume rilievo quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico è rappresentato dalla coscienza e volontà all’atto della dichiarazione. Il Dott. S., coscientemente e volontariamente, in due diverse occasioni, ha dichiarato di svolgere una attività libero professionale solo occasionale e per meno di 5 ore settimanali. La circostanza che la dichiarazione sia stata reiterata nel 2008, all’atto della costituzione dell’associazione, come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, evidenzia la piena consapevolezza del ricorrente e, quindi, la sussistenza del dolo richiesto dalla norma).