La Corte di Cassazione ha affermato che nel caso di intervento svolto in equipe il chirurgo è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente che non è limitata all’ambito strettamente chirurgico, ma si estende al successivo decorso post operatorio, di talchè è ravvisabile una sua responsabilità per condotte di allontanamento dal nosocomio, anche nel caso in cui l’intervento sia terminato. Concludeva pertanto la corte di appello, con argomentare privo di contraddizioni, che al ricorrente non erano applicabili ipotesi di esonero di responsabilità riconducibili all’abbandono anticipato dell’equipe chirurgica e che pertanto lo stesso dovesse rispondere, al pari del primo operatore, di tutte le manchevolezze connesse alla esecuzione del trattamento chirurgico, con particolare riferimento alla derelizione e alla mancata verifica ed estrazione del corpo estraneo relitto nella cavità pleurica del paziente.
FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Napoli in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Avellino, in accoglimento della impugnazione proposta dal pubblico ministero in sede riconosceva la responsabilità anche di B. L., secondo operatore dell’equipe medica che aveva trattato chirurgicamente per grave patologia polmonare (carcinoma) il paziente S. S., in ragione di complicanza settica da cui erano derivati empiema con fistola e polmonite destra in ragione di derelizione, all’interno di cavità pleurica, di una garza di consistenti dimensioni. Richiamata la giurisprudenza in materia di responsabilità di equipe in ipotesi di dimenticanza nel sito operatorio di presidi chirurgici ed escluse ipotesi alternative in cui potesse essersi realizzato l’evento, il giudice distrettuale riconosceva altresì la causalità tra il trattenimento della garza e le lesioni determinatesi a carico della zona trattata chirurgicamente, confermando la responsabilità penale del capo equipe D.A.A. in ragione degli obblighi sullo stesso gravanti nel conteggio delle garze all’inizio e alla fine del trattamento, anche sulla base di specifiche regole sanitarie sintetizzate in Raccomandazioni ministeriali, tenuto conto del suo ruolo apicale e del fatto che lo stesso aveva preso parte all’intero svolgimento dell’intervento, durato circa dieci ore, laddove altri sanitari si erano alternati negli incombenti di secondo operatore. Riconosceva peraltro la responsabilità di B.L. in quanto, pure subentrato solo in seconda battuta (dalle h.14 fino alle h.18,45) allo stesso era certamente ascrivibile una condotta negligente, sia in ragione del mancato conteggio delle garze utilizzate al momento dello scioglimento dell’equipe, sia in quanto non aveva atteso la conclusione del trattamento sanitario per abbandonare l’equipe e tale condotta non era giustificata dalla necessità di provvedere ad altri incombenti sanitari, né dalla superfluità del suo contributo, risultando al contrario la complessità dell’intervento anche nelle attività conclusive di sutura. D’altro canto il giudice di secondo grado rappresentava che, a prescindere dalla mancata verifica del numero delle garze impiegate rispetto a quelle recuperate, la responsabilità derivava dallo stesso atto medico che aveva concorso a realizzare, per il fatto di avere omesso di recuperare la garza dalla sede operatoria pur avendo direttamente partecipato all’intervento chirurgico. Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione le difese degli imputati D.A.A. e B.L.. Il ricorso proposto da D.A.A: è infondato e deve essere rigettato. Del tutto logicamente il giudice territoriale ha escluso, sotto il profilo tecnico, la necessità di procedere al supplemento istruttorio richiesto ravvisandone la superfluità e la inconcludenza in relazione a eventuali profili di interruzione del rapporto di causalità materiale. Invero con costrutto motivazionale privo di contraddizioni e di salti logici ha evidenziato come la riconducibilità dei fenomeni infettivi alla presenza della garza, sia in ragione della natura e delle caratteristiche delle aderenze e dei processi settici in atto (ennpiema sinistro, fistola bronco pleurica e polmonite destra in fase iniziale), sia in ragione della dislocazione della garza derelitta (in corrispondenza della cavità interessata dal trattamento chirurgico) era risultato dimostrato alla stregua degli accertamenti tecnici i quali, sul punto non avevano trovato sostanziale contrapposizione, se non con argomenti assolutamente generici, dedotti al termine del dibattimento di primo grado e privi di sostanziale confronto con gli argomenti addotti dal consulente del pubblico ministero, non emergendo né essendo indicati fattori causali alternativi preesistenti o sopravvenuti tali da interrompere la relazione causale tra il fattore indicato dal consulente (garza in cavità pleurica) e i fenomeni infettivi sopra indicati, ricorrendo assoluta coincidenza cronologica, topografica e fenomenologica tra il posizionamento della garza e la insorgenza delle complicanze a carico del paziente. Del tutto coerentemente con le emergenze processuali e nel rispetto della legge processuale il giudice di appello, facendo uso della discrezionalità propria della fase processuale ha escluso, con congruo argomentare, la necessità di approfondire la questione, escludendo la assoluta necessità della integrazione istruttoria dal contenuto tecnico. La questione pertanto non può essere riproposta e conseguentemente riesaminata in sede di legittimità. Parimenti infondati sono i motivi di ricorso che attengono alla responsabilità del D.A.A.atteso che, esclusi fattori alternativi di interruzione del rapporto di causalità tra la dimenticanza della garza e l’evento dannoso il giudice di appello ha motivato in termini assolutamente logici e condivisibili come la responsabilità del D.A.A. sorgesse dall’essere questi il primo operatore nell’ambito dell’equipe medica che aveva provveduto al trattamento chirurgico e che il controllo sul numero delle garze utilizzato non poteva ritenersi affidato esclusivamente al personale ausiliario o paramedico, laddove è stato riconosciuto che di regola grava sul capo dell’equipe medico chirurgica il dovere, da valutarsi alla luce delle particolari condizioni operative, di controllare il conteggio dei ferri utilizzati nel corso dell’intervento e di verificare con attenzione il campo operatorio prima della sua chiusura, al fine di evitare l’abbandono in esso di oggetti facenti parte dello strumentario. Sotto diverso profilo del tutto infondato è anche il rilievo relativo alla omessa considerazione della applicabilità della disciplina Balduzzi (art.3 comma primo legge 8.11.2012 n.189) la quale opera in caso di condotta professionale conforme alle linee guida ed alle buone pratiche, anche nella ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall’imperizia (sez.IV, 11.5.2016, Denegri, Rv.266903), laddove il giudice di appello ha del tutto escluso che la fattispecie potesse in qualche modo essere ricondotta alla sopra richiamata disciplina, laddove a fronte di un addebito di negligenza generica, veniva altresì specificato dal giudice distrettuale, conformemente al capo di imputazione, che la condotta del sanitario si era posta in contrasto con specifiche Raccomandazioni sanitarie del Ministero della Sanità risalenti all’anno 2007 allo scopo di evitare la ritenzione di presidi medici all’interno del sito chirurgico, di talchè risultavano disattese dal ricorrente le buone prassi sanitarie, peraltro codificate in apposite raccomandazioni, volte a presidiare la salute del paziente anche in relazione a difetti di vigilanza e di monitoraggio strettamente connessi alla esecuzione del gesto chirurgico. Ne consegue pertanto la estraneità della vicenda al campo di applicazione della disciplina richiamata. Il ricorso di B. L. risulta parimenti infondato. In particolare è infondato il primo motivo di ricorso che deduce la inammissibilità dell’atto di appello del PM in quanto meramente ripropositivo delle tesi disattese dal primo giudice e privo dei requisiti di specificità richiesti dalla giurisprudenza, in particolare della enunciazione dei profili di critica avverso il provvedimento impugnato, tanto con riferimento agli elementi di fatto quanto alle ragioni di diritto che ne avrebbero dovuto sorreggere l’impianto secondo lo schema delineato dall’art.581 cod.proc.pen. Orbene la sentenza impugnata, nel ripercorrere l’iter logico giuridico posto alla base dell’atto innpugnatorio del PM, ha evidenziato come fosse ben riconoscibile nell’impugnazione della pubblica accusa il nucleo della censura mossa alla sentenza di primo grado, il quale risiedeva nella errata risoluzione della questione di diritto, e nella mancata sussunzione della fattispecie nello spettro di colpa contestata, se l’abbandono di un componente della equipe che aveva proceduto al trattamento sanitario-chirurgico ne comportasse l’esonero da responsabilità per colpa, qualora l’evento infausto fosse comunque collegabile ad una condotta negligente (nel caso in specie dimenticanza di garza all’interno del sito operatorio e mancata rimozione della stessa prima della sutura) intervenuta nel corso del trattamento. La responsabilità del B. veniva in discussione non solo per avere coadiuvato l’opera dell’equipe medica al momento dell’inserimento della garza in situ, ma anche per avere mancato, unitamente agli altri componenti dell’equipe, di rimuoverla, nonché per avere omesso il conteggio delle garze impiegate per l’intervento prima di procedere, all’esito di un trattamento durato oltre dieci ore, alla definitiva sutura del paziente cui la responsabilità del B. risiede non solo nel fatto di non avere partecipato alla conta conclusiva del materiale sanitario impiegato, bensì nella esistenza di un immanente dovere di diligenza del chirurgo nell’utilizzo delle garze laparotomiche, il quale non risulta escluso dalla attribuzione a un componente specifico dell’equipe operatorio del compito del conteggio delle garze, preliminare, coevo e successivo all’intervento. Si verte infatti in regola cautelare che scaturisce dai canoni della prevedibilità e della evitabilità dell’evento pregiudizievole connesso alla derelizione delle garze nel corpo del paziente e che è alla base dei protocolli osservati nel luogo di cura e alle Raccomandazioni ministeriali espressamente indicate in imputazione. Si tratta di dovere aggiuntivo rispetto a quello gravante sugli altri componenti dell’equipe sanitaria e a quello di controllo formale che il capo equipe deve svolgere sull’operato del ferrista, di talchè l’obbligo di controllo del chirurgo capo equipe del conteggio dello strumentario operato dal collaboratore si accompagna all’obbligo di diligenza nel controllo del campo operatorio, onde prevenire la derelizione in esso di cose facenti parte di quello strumentario, da parte di chi, come nel caso in specie, titolare di una coeva e solidale posizione di garanzia, abbia partecipato alle fasi salienti del trattamento chirurgico per abbandonare l’equipe prima della conclusione del trattamento. 5.3 In relazione poi allo specifico rilievo fondato sull’esonero di responsabilità a seguito ad abbandono concordato dell’equipe il giudice di appello, con costrutto motivazionale integro e privo di vizi logico giuridici, ha fornito conto del diverso apprezzamento operato rispetto al giudice di primo grado, evidenziando in particolare che, maturata dal B. la posizione di garanzia in ragione della partecipazione al gesto chirurgico e riconosciuta la prevedibilità e la evitabilità dell’evento in ragione dell’obbligo di diligenza connesso allo svolgimento di tale attività che si sostanziava anche nella verifica delle garze impiegate, nel conteggio delle stesse e nell’esplorazione, quale operatore, del sito ove era stato eseguito l’intervento proprio al fine di prevenire la derelizione di medicamenti e bende, una siffatto obbligo di garanzia non era cessato per l’anticipata cessazione della prestazione. Invero il giudice di appello da un lato ha ritenuto, del tutto motivatamente, che l’eventuale autorizzazione del capo equipe alla cessazione anticipata dell’apporto del secondo operatore non sarebbe stata in grado di modificare i termini della questione, poiché quest’ultimo aveva comunque maturato un autonomo dovere di vigilanza e di intervento proprio in ragione del fatto di avere partecipato a un rilevante segmento dell’operazione; dall’altra ha riconosciuto come la delicatezza e la lunghezza dell’intervento, la articolazione delle manovre di sutura (da eseguirsi a strati), la esigenza di procedere ad una conta finale dei presidi impiegati in uno con la condizione del capo equipe, provato da oltre dieci ore di intervento, oltre a rendere inopportuno l’abbandono del campo operatorio da parte del B., secondo operatore, comportavano che gli adempimenti finali dovessero ritenersi tutt’altro che routinari o di agevole esecuzione così da escludere l’elemento soggettivo della colpa per negligenza in capo al sanitario che aveva anticipatamente abbandonato l’equipe. In conclusione la Corte di Cassazione ha affermato che nel caso di intervento svolto in equipe, il chirurgo è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente che non è limitata all’ambito strettamente chirurgico, ma si estende al successivo decorso post operatorio, di talchè è ravvisabile una sua responsabilità per condotte di allontanamento dal nosocomio, anche nel caso in cui l’intervento sia terminato.Concludeva pertanto la corte di appello, con argomentare privo di contraddizioni, che al ricorrente non erano applicabili ipotesi di esonero di responsabilità riconducibili all’abbandono anticipato dell’equipe chirurgica e che pertanto lo stesso dovesse rispondere, al pari del primo operatore, di tutte le manchevolezze connesse alla esecuzione del trattamento chirurgico, con particolare riferimento alla derelizione e alla mancata verifica ed estrazione del corpo estraneo relitto nella cavità pleurica del paziente. I ricorsi vanno pertanto rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili costituite.