Cassazione Penale Sentenza n. 5892/19 – Responsabilità medica – L’esito assolutorio del giudizio travolge automaticamente le statuizioni civili.
FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Bologna in riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Modena in data 14.06.2016, nei confronti di R. N., L. D. P. e dell’Azienda Asl di Modena, per il reato di omicidio colposo contestato a seguito del decesso della paziente G. D. R., assolveva le imputate con la formula perché il fatto non costituisce reato. La Corte distrettuale confermava le statuizioni civili già pronunciate dal Tribunale. Il Collegio evidenziava che l’omessa effettuazione di accertamenti diagnostici, suggeriti dalla specifica storia personale e familiare della paziente, ma non indicati in nessuna linea guida, evidenziava la sussistenza di un profilo di colpa di grado lieve, penalmente irrilevante. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Unità Sanitaria di Modena, quale responsabile civile. Con unico motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 538 e 605 cod. proc. pen. La parte rileva, citando giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che nel caso in cui il processo penale si concluda con una assoluzione, salvo i casi di cui all’art. 578 cod. proc. pen., il giudicante non può statuire sulla domanda risarcitoria. Ciò posto, il responsabile civile osserva che la Corte di Appello, nel mandare assolte le imputate, non avrebbe potuto condannarle in solido al risarcimento dei danni. Rileva, inoltre, che l’appello venne proposto dalle imputate, di talché, ai sensi dell’art. 574, comma 4, cod. proc. pen., l’impugnazione si è estesa agli effetti della pronuncia sulla domanda risarcitoria. Il ricorso è fondato, nei sensi di seguito esposti. Si osserva, prinnierannente, che la giurisprudenza di legittimità, nel delineare i rapporti intercorrenti tra azione penale e azione civile nei gradi di impugnazione, ha sottolineato lo stretto collegamento che sussiste tra le due azioni (Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, C, Rv. 26817901). In particolare, ai fini di interesse, si osserva che si è chiarito che l’art. 574, comma 4, cod. proc. pen., estende al capo civile gli effetti dell’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della decisione di condanna; con la precisazione che la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette automaticamente sulla decisione relativa alla responsabilità civile. Preme pure richiamare il disposto di cui all’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., ove è stabilito che il giudice penale decide sulla domanda risarcitoria proposta dalla parte civile quando pronuncia sentenza di condanna. Sulla portata della citata disposizione, si richiamano le indicazioni interpretative offerte dal Giudice delle leggi, laddove si è da ultimo ribadito che “Il collegamento istituito dalla norma censurata [art. 538, comma 1, cod. proc. pen.], nel solco di una lunga tradizione storica, tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato riflette il carattere accessorio e subordinato dell’azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell’azione penale: obiettivi che si focalizzano nell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato. Di qui la ritenuta inopportunità di lasciar ferma la competenza del giudice penale a pronunciare sulle pretese civilistiche anche quando l’affermazione di detta responsabilità non abbia luogo” (Corte Costituzionale, sentenza n. 12 del 2016, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione). La sintesi delle indicazioni interpretative sin qui svolte, conduce ai seguenti approdi, di natura sistemica: – il giudice penale, qualora venga pronunciata sentenza di condanna, decide anche sulla domanda risarcitoria, spiegata dalla costituita parte civile; – la valutazione del giudice di secondo grado, in caso di impugnazione proposta dall’imputato avverso la decisione di condanna contenente pure statuizioni civili, si riflette automaticamente anche sulla decisione relativa alla responsabilità civile. La sintesi delle indicazioni interpretative sin qui svolte, conduce ai seguenti approdi, di natura sistemica: – il giudice penale, qualora venga pronunciata sentenza di condanna, decide anche sulla domanda risarcitoria, spiegata dalla costituita parte civile; – la valutazione del giudice di secondo grado, in caso di impugnazione proposta dall’imputato avverso la decisione di condanna contenente pure statuizioni civili, si riflette automaticamente anche sulla decisione relativa alla responsabilità civile. La sintesi delle indicazioni interpretative sin qui svolte, conduce ai seguenti approdi, di natura sistemica: – il giudice penale, qualora venga pronunciata sentenza di condanna, decide anche sulla domanda risarcitoria, spiegata dalla costituita parte civile; – la valutazione del giudice di secondo grado, in caso di impugnazione proposta dall’imputato avverso la decisione di condanna contenente pure statuizioni civili, si riflette automaticamente anche sulla decisione relativa alla responsabilità civile. Del resto le Sezioni Unite, nel soffermarsi sulla specifica questione relativa alla sopravvenuta abrogazione del reato prima della sentenza di primo grado, hanno da ultimo ribadito che tale evenienza comporta automaticamente la impossibilità, per il giudice, di pronunciarsi sulla domanda della parte civile costituita, «perché vi osta il disposto dell’art. 538 cod. proc. pen.: e cioè la norma del codice di rito che, in via generale, pone la regola della subordinazione del potere del giudice penale di decidere sulle restituzioni e il risarcimento alla pronuncia di sentenza di condanna» (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016 – dep. 07/11/2016, Schirru e altro, Rv. 26788401). E le Sezioni Unite, con la sentenza ora richiamata, hanno evidenziato che il richiamato principio vale anche per il giudizio di impugnazione. . A questo punto della trattazione occorre in via di estrema sintesi richiamare i recenti interventi normativi sul tema di responsabilità sanitaria. Il legislatore è intervenuto sul tema della responsabilità penale colposa in ambito sanitario con l’art. 3, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, ove è stabilito: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve: La Corte di Cassazione ha chiarito che la novella del 2012 esclude la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto a quelle condotte lesive che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica. In particolare, si è evidenziato che la norma ha dato luogo ad una “abolitio criminis” parziale degli artt. 589 e 590 cod. pen., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, giacché oggi vengono in rilievo unicamente le condotte qualificate da colpa grave. Il tema della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose, è stato oggetto di un ulteriore intervento normativo, con il quale il legislatore ha posto mano nuovamente alla materia della responsabilità sanitaria, anche in ambito penale. Il riferimento è alla legge 8 marzo 2017, n. 24, recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, pubblicata in G.U. Serie Generale n. 64 del 17.3.2017, entrata in vigore in data 01.04.2017. L’art. 590 -sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge n. 24 del 2017, prevede che qualora l’evento lesivo si sia verificato in ambito sanitario, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero le buone partiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590 -sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. In particolare, secondo diritto vivente la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Nel caso di giudizio, alle imputate sono stati contestati profili di colpa per «imprudenza, imperizia e negligenza», in riferimento al reato di cui all’art. 589, 4 /2 cod. pen., per aver omesso di procedere ad accertamenti diagnostici più approfonditi, così determinando l’aumento del grado di malignità ed aggressività della neoplasia che affliggeva la paziente, come si legge nel capo di imputazione. Il fatto di reato si è verificato in data 8 .06.2011. 4.1 Nel mandare assolte le imputate, con la formula il fatto non costituisce reato, la Corte di Appello non ha chiarito se ha ritenuto applicabile il citato decreto Balduzzi, in quanto norma più favorevole, se pure abrogata dalla legge n. 24 del 2017; né ha indicato il profilo di colpa generica riferibile alle prevenute: la Corte si è limitata a chiarie che si trattava di una colpa di grado lieve. Nel caso di giudizio, alle imputate sono stati contestati profili di colpa per imprudenza, imperizia e negligenza, in riferimento al reato di cui all’art. 589, 4 /2 cod. pen., per aver omesso di procedere ad accertamenti diagnostici più approfonditi, così determinando l’aumento del grado di malignità ed aggressività della neoplasia che affliggeva la paziente, come si legge nel capo di imputazione. Il fatto di reato si è verificato in data 8 .06.2011. 4.1 Nel mandare assolte le imputate, con la formula il fatto non costituisce reato, la Corte di Appello non ha chiarito se ha ritenuto applicabile il citato decreto Balduzzi, in quanto norma più favorevole, se pure abrogata dalla legge n. 24 del 2017; né ha indicato il profilo di colpa generica riferibile alle prevenute: la Corte si è limitata a chiarie che si trattava di una colpa di grado lieve. E bene: osserva il Collegio che la formula assolutoria indicata nel dispositivo (il fatto non costituisce reato) e la stessa mancata specificazione della natura del profilo di colpa generica riferibile alla condotta omissiva delle imputate, sono evenienze che inducono a ritenere che la Corte di Appello abbia inteso applicare ultrattivamente, in bonam partem, il citato art. 3, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, disposizione che aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 cod. pen., come sopra chiarito. Tutto quanto sopra considerato, rileva il Collegio che la sentenza in esame non può che essere qualificata come sentenza assolutoria di merito: la Corte di Appello, in ragione del lieve grado di colpa accertato in giudizio, ha reputato che la condotta delle imputate rientrasse nell’ambito applicativo dell’esonero di responsabilità, per colpa lieve, sancito dall’art. 3, legge n. 189 del 2012. L’applicazione dei principi di dritto sopra ricordati, in ordine all’ambito della cognizione del giudice d’appello, a fronte dell’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza di condanna, induce allora a convenire con il ricorrente, laddove ha rilevato che la Corte di Appello di Bologna, nel mandare assolte le odierne imputate con la formula perché il fatto non costituisce reato, ha erroneamente confermato le statuizioni civili che erano contenute nella sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Modena. Invero, da un lato la sentenza impugnata risulta vulnerata dalla denunciata violazione di legge, con specifico riguardo al combinato disposto di cui agli artt. 538, comma 1, e 605, comma 1, cod. proc. pen.; ciò in quanto la Corte territoriale ha deciso – confermandole – sulle statuizioni civili, al di fuori dei casi consentiti dalla legge processuale penale. Dall’altro, la Corte ha omesso di revocare le statuizioni civili che erano state pronunciate dal Tribunale, statuizioni travolte automaticamente dall’esito assolutorio del giudizio di secondo grado, come sopra evidenziato. È poi appena il caso di rilevare che la sentenza risulta viziata anche per carenza motivazionale, atteso che, sul punto relativo alla conferma delle statuizioni civili, contestualmente alla pronuncia assolutoria, non è stata espressa alcuna ragione giustificatrice. Si impone pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla conferma delle statuizioni civili. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 587, comma 4, cod. proc. pen., la presente impugnazione proposta dal responsabile civile, non essendo fondata su motivi personali, per le ragioni sopra evidenziate, giova agli imputati non ricorrenti; per l’effetto, le statuizioni civili vengono eliminate anche nei confronti di R. N. e L. Di P., oltre che dell’Azienda Asl di Modena, quale responsabile civile ricorrente. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conferma delle statuizioni civili, statuizioni che elimina sia nei confronti del responsabile civile ricorrente.