Cassazione Penale Sentenza N. 8864/2020 – Responsabilità medica

La Corte di Cassazione ha affermato che, “in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta”; nel caso di specie deve constatarsi che, sulla base dell’apporto scientifico fornito dai periti designati d’ufficio, resta sostanzialmente inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria della rilevanza causale della condotta addebitata al medico rispetto all’evento infausto.

FATTO E DIRITTO. 1. La Corte d’appello di Venezia, in data 16 luglio 2018, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Verona il 3 novembre 2014, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di F. D. in ordine al delitto di omicidio colposo, contestato come commesso in Verona tra il 31 agosto e il 3 settembre 2009; nel resto la sentenza di primo grado é stata confermata ed il D. é stato condannato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili. Il D. risponde del predetto delitto, nella sua qualità di ginecologo in servizio presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia Policlinico G.B. R. di V., perché accusato di avere concorso a cagionare (unitamente al collega V. S., separatamente giudicato) il decesso del feto che G. R., alla 31+3 settimana di gravidanza con sintomi di preeclampsia, portava in grembo. Ciò a seguito di una disamina non corretta del quadro complessivo della gestante, che – se correttamente valutato – avrebbe dovuto indurre a considerare un rapido espletamento del parto, stante l’insussistenza delle condizioni per attendere oltre (ossia in presenza di rilevante stato anemico, riduzione del flusso nelle arterie uterine, ritardo di crescita fetale nelle ultime due settimane di gestazione, segno di una ridotta funzione placentare, calo delle piastrine, elevati valori pressori); inoltre non veniva eseguito un adeguato monitoraggio ed apporto terapeutico per la stabilizzazione delle condizioni della paziente, atteso che dopo due giorni dal ricovero, permanendo elevati i valori pressori, non eseguivano un nuovo esame di flussimetria Doppler; e successivamente, pur a fronte di elementi deponenti per una possibile evoluzione in forma grave della preeclampsia e per una possibile insorgenza di sindrome di Hellp, i due sanitari non adottavano le necessarie misure terapeutiche e di controllo per salvaguardare la salute della madre e del feto. Per quanto concerne in particolare il D. (subentrato al S., durante il turno del quale, alle 02,30, si erano manifestati i segni della sindrome di Hellp), l’accusa é di avere omesso, nell’arco temporale di sua competenza (dalle 08,00 del mattino del 3 settembre 2009), qualsiasi intervento, così portando la paziente in pericolo di vita e il feto in asfissia; di tal che l’intervento chirurgico da lui compiuto alle 10,07 risultava tardivo, in quanto il feto era già morto. Secondo il Tribunale, sebbene vi fosse stato un deficit di comunicazione fra il dott. S. e il subentrante dott. D., quest’ultimo si sarebbe dovuto accorgere della situazione ed eseguire un intervento immediato, che se effettuato avrebbe potuto essere risolutivo, in quanto fino alle 09,30 la situazione, pur grave, non era ancora compromessa e il feto era ancora vivo; invece egli riprese il monitoraggio cardiotocografico solo alle 09,30, ormai tardivamente. In sede d’appello, su richiesta della difesa del D., veniva espletata perizia, con la nomina di collegio peritale nelle persone dei dottori D. F. e Z.. Rispondendo all’ampio quesito rivolto dalla Corte di merito, i sunnominati periti ricostruivano il quadro venutosi a delineare prima del subentro del dott. D. al dott. S., stigmatizzando il fatto che già in questa fase vi erano gli elementi per poter procedere d’urgenza al taglio cesareo; e ricostruivano altresì l’operato del dott. D. nel periodo che va dalle ore 08,00 al decesso del feto, durante il quale il D. prese compiutamente coscienza della situazione solo alle 08,45; diede disposizioni in base a procedure corrette sul piano generale, ma che non tenevano conto delle condizioni del feto; omise di riapplicare la cardiotocografia fino alle 09,30, laddove, se essa fosse stata riapplicata subito, avrebbe consentito di apprezzare meglio le condizioni del nascituro e di intervenire con maggiore tempestività. Peraltro, concludono i periti, l’indisponibilità del tracciato cardiotocografico nell’arco temporale compreso tra le 07,00 e le 09,30 non ha consentito di stabilire se, qualora il cardiotocografo fosse stato tempestivamente riapplicato e fosse stato eseguito il taglio cesareo un’ora prima, il feto si sarebbe potuto salvare, laddove la sopravvivenza é stata ritenuta certamente probabile se il taglio cesareo fosse stato eseguito attorno alle ore 07,00 (ossia quando di turno era il dott. S.). A fronte di ciò, la Corte lagunare ha tuttavia concluso che il ritardo di 45 minuti (dalle 08,45 alle 09,30) nel ricollegare il cardiotocografo ebbe con ogni probabilità un ruolo decisivo nella morte del feto: il quale, sicuramente ancora vivo alle 09,45, sarebbe stato altrettanto sicuramente in condizioni migliori e con maggiori probabilità di sopravvivere qualora la condotta doverosa fosse stata anticipata di un’ora, a nulla rilevando – prosegue la Corte di merito – il dubbio dei periti circa le effettive chances che il feto avrebbe avuto poi di sopravvivere nell’ambiente esterno dopo la nascita. 2. Avverso la prefata sentenza ricorre il D., con atto affidato a due motivi di doglianza. 2.1. Con il primo motivo l’esponente lamenta vizio di motivazione in riferimento al nesso causale tra la condotta contestata al D. e l’evento letale. Il ricorrente ricostruisce le valutazioni e le conclusioni dei periti nominati dalla Corte territoriale, evidenziando che, quanto al rapporto di causalità relativo alla condotta del D., non era possibile stabilire se, con l’immediata riapplicazione del tracciato CTG e l’anticipazione del taglio cesareo alle ore 09,00, le condizioni del feto sarebbero state adeguate alla sopravvivenza. Tale conclusione é stata giudicata dalla Corte di merito come irrilevante per dubitare dell’incidenza causale del ritardo del dott. D.. Ciò, secondo il ricorrente, determina una carenza motivazionale in punto di ricostruzione del decorso causale riferito al comportamento omissivo oggetto di addebito nei confronti dell’odierno ricorrente: ciò sotto il duplice profilo dell’analisi dei tempi della resistenza fetale a una condizione ipossica (la stima della quale doveva condurre a considerare un arco temporale variabile tra i 10 e i 180 minuti, decorrenti dal momento di prima rilevazione dei segni di sofferenza fetale, che i periti collocano alle ore 06,00) e della condizione di prematurità del feto (tale da cagionare ex se, nelle condizioni date, un elevato rischio di mortalità); tant’é che i periti hanno dichiarato che, qualora l’estrazione fetale fosse stata effettuata alle ore 09,30 (o subito dopo), sarebbe stato altamente improbabile che il feto fosse estratto vivo e vitale; e hanno concluso affermando che, seppure possa addebitarsi al dott. D. una condotta omissiva, concretizzatasi in un ritardo diagnostico, non ritenevano che tale condotta, con elevata probabilità prossima alla certezza, avesse avuto quale conseguenza la morte del feto. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge in punto di qualificazione giuridica del reato, che meglio si sarebbe dovuto inquadrare nella fattispecie di cui all’art. 593-bis cod.pen. (aborto colposo), punita con pena meno grave. Invero, il perito dott. Z. ha chiarito che i polmoni del nascituro non avevano mai respirato, e d’altra parte la diversa qualificazione del reato é stata già riconosciuta nei confronti del coimputato dott. S. nella sentenza di condanna a suo carico. 1. Il primo motivo di ricorso é fondato e assorbente. 1.1. Si premette che, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l’apprezzamento – positivo o negativo – dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale tuttavia, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l’obbligo di motivare adeguatamente sulle ragioni del dissenso (per tutte vds. Sez. 1, n. 46432 del 19/04/2017, Fierro e altri, Rv. 271924). Più specificamente, a proposito dell’obbligo motivazionale del giudice dissenziente in tema di responsabilità medica, si afferma che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio é tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico- scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 9831 del 15/12/2015 – dep. 2016, Minichini e altri, Rv. 267566). 1.2. Nella specie, la Corte lagunare non risulta aver fatto buon governo di siffatti principi. A fronte delle valutazioni fortemente dubitative dei periti nominati dalla Corte di merito circa le possibilità di un parto con feto vivo qualora il dott. D. avesse agito con la richiesta tempestività – valutazioni ampiamente illustrate nella relazione dei dottori D. F. e Z., che hanno condotto gli stessi a trarre le conclusioni di cui alle pagine 26 e 27 della relazione stessa e a ribadirne i contenuti in aula, nel contraddittorio delle parti -, la Corte di merito affida il proprio difforme convincimento a poche battute, evocando genericamente il principio secondo il quale «in presenza di una sofferenza fetale la situazione si aggrava con il decorso del tempo, con una incidenza causale maggiore in prossimità dell’evento acuto (nello specifico del distacco della placenta) con la conseguenza che anche l’attesa di un’ora (arco temporale nemmeno tanto contenuto) deve essere ritenuta significativa in una condizione nella quale poco prima dell’intervento il feto era ancora vivo»; e qualificando come altamente probabile, «nell’ambito di una valutazione logica» (distonica, tuttavia, rispetto a quella del collegio peritale), l’estrazione di un feto ancora in vita se la condotta del dott. D. fosse stata adeguatamente tempestiva e quindi anticipata di circa un’ora, in quanto – ritengono i giudici dell’appello – «il distacco della placenta, avvenuto proprio nel periodo di tempo nel quale la parte civile era seguita dal dott. D., fosse, nello specifico, prevedibile ed evitabile utilizzando una condotta professionale adeguata». Tali essendo le sole ragioni poste a base della decisione oggi impugnata, non é dato comprendere in base a quali elementi non solo scientifici, ma anche logici, la Corte distrettuale pervenga a siffatto, univoco convincimento, sul quale poggia (sia pure nell’ambito di una sentenza di proscioglimento per maturata prescrizione) l’affermazione di responsabilità dell’odierno ricorrente. 1.3. A fronte di ciò, beninteso, i dottori D. F. e Z. hanno censurato il ritardo di 45 minuti (alle ore 09,30 anziché alle 08,45) con il quale il dott. D. ha proceduto a riapplicare il cardiotocografo, ritardo da essi giudicato senza dubbio colpevole; ma, attraverso un’accurata illustrazione delle peculiarità della fattispecie e sulla base di un approfondito ragionamento controfattuale, hanno concluso (come detto) in termini fortemente dubitativi in ordine alla rilevanza causale di tale ritardo sul corso degli eventi e, in specie, sull’esito fatale al nascituro. Quanto al fatto che il distacco della placenta fu la causa finale del decesso, i periti hanno chiarito che esso non può collocarsi in un momento puntuale, ma verosimilmente era già iniziato prima delle ore 07,00 (pagg. 10 – 11 trascr. verbale udienza 11/06/2018). Ed ancora, quanto alla possibilità che il nascituro nascesse vivo e vitale ove estratto alle 07,00 anziché alle 09,30, i periti si sono detti non in grado di fornire una risposta certa, in relazione alle condizioni della madre e del feto (p. 18 trascr. Verbale udienza 11/06/2018). 1.4. Disattendendo le prefate conclusioni sulla base di argomentazioni sommarie e non assistite da un oggettivo sostegno scientifico, e conferendo alla condotta sicuramente negligente del dott. D. una sorta di rilevanza causale ex se nel determinismo del decesso del feto, la Corte distrettuale si é discostata dall’insegnamento di questa Corte di legittimità, in base al quale, nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Jann e altri, Rv. 262239). Analogamente, in un caso per molti versi analogo a quello che ne occupa, si é affermato – in modo altrettanto pertinente rispetto al caso di specie – che, in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che é accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta (Sez. 4, Sentenza n. 23339 del 31/01/2013, Giusti, Rv. 256941: in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione del giudice di appello che ha affermato la responsabilità di un medico – per avere, sulla base di un’errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio cesareo, causandone il decesso – ritenendo non provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale e, quindi, la circostanza che il feto potesse essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all’attenzione del medico, se quest’ultimo fosse tempestivamente intervenuto). 1.5. In relazione a quanto precede, deve constatarsi che, sulla base dell’apporto scientifico fornito dai periti designati d’ufficio, resta sostanzialmente ; inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria della rilevanza causale della condotta addebitata al dott. D. rispetto all’evento infausto. Rimane all’evidenza assorbito il secondo motivo di ricorso, che sarebbe peraltro anch’esso fondato (atteso che la corretta qualificazione giuridica del reato ex art. 17, legge n. 194/1978, oggi 593-bis cod.pen., é stata definitivamente affermata da questa Corte quanto al coimputato S. V., con sentenza declaratoria di prescrizione: vds. Sez. 5, n. 1123 del 16/01/2019). 2. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, quanto alla posizione del ricorrente D. F., con la formula “per non aver commesso il fatto” (a fronte dell’attribuzione di responsabilità per lo stesso fatto al coimputato S. V.). S’impone la revoca delle statuizioni civili disposte con la sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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