Parla di “dimesso orgoglio” quest’anno Giuseppe De Rita, nel presentare il 47° Rapporto sullo stato sociale del Paese, appuntamento annuale del Censis nel Parlamentino del Cnel, a Roma.
“Abbiamo il dimesso orgoglio essere rimasti qui per 47 anni ad analizzare la continuità italiana, in una società che cerca la discontinuità”. De Rita ricorda: “Il primo Rapporto fu del ’68, il secondo durante l’autunno caldo del ’69. Parlavo allora di accettazione del conflitto e venivo apostrofato ‘autonomo bianco’, perché cattolico. Ma, ancora oggi, continuiamo a lavorare sulla continuità, mentre tutti siamo un po’ guardoni e discontinui, in una società che è sciapa e infelice”.
Il Librone verde del Censis si compone quest’anno di 566 pagine. E’ suddiviso in quattro parti con numerosi capitoli e paragrafi, secondo il metodo di indagine sociologica tipica della Fondazione, un Librone pieno di analisi e dati. De Rita, come sempre, scrive di suo pugno le considerazioni generali e poi le racconta all’appuntamento annuale al Cnel. “Negli ultimi tempi, tutto il dibattito nel Paese è ruotato attorno a tre concetti: baratro, stabilità e classi dirigenti. Tre carte, le giochiamo tutt’e tre e ci incartiamo da soli. In realtà, nessuno ha spiegato bene che cosa è il baratro. Dove sta il baratro? E’ un concetto ansiogeno e indistinto, rispetto al quale la reazione è il desiderio di sopravvivenza. Vogliamo sopravvivere – precisa De Rita – ma la sopravvivenza, nella situazione data, vuol dire voler vivere oltre il momento contingente e la crisi, cambiando noi stessi”.
L’ansia della sopravvivenza per andare oltre la crisi
Il richiamo è al Rapporto dello scorso anno, a quell’ansia di sopravvivenza che determinava una reazione positiva basata su tre elementi: restanza, differenza, riposizionamento. E De Rita insiste: “La sopravvivenza ci ha dato nuovi slanci nell’imprenditoria, specialmente femminile, a cui si è aggiunta quella degli immigrati mentre il fenomeno dei giovani che vanno all’estero va interpretato non soltanto in termini negativi, ma nel senso di nuove opportunità”. Ma è sul concetto di stabilità che De Rita si sofferma: “Si è pensato di spianare il mare, senza capire che il mare è movimento, lo squilibrio era ed è insito nel sistema, come il mare ha in sé maremoti e tempeste, che non si possono arginare pensando di coprire il mare. Invece abbiamo classi dirigenti che giocano un gioco proprio: enfatizzano alcuni fenomeni come la crisi, lo spread e così via al solo scopo di giustificare se stesse e la propria funzione. Questo meccanismo indebolisce non soltanto le stesse classi dirigenti, ma l’intero Paese, che reagisce in cerca della sopravvivenza, mentre la cosiddetta “società civile” (espressione che non mi è mai piaciuta) non esiste più, si è espressa in singoli episodi, ma non ha dato alcuna risposta complessiva”.
47° Rapporto e 50 anni di attività del Censis, ricordati, lo scorso 26 novembre, in una cerimonia al Quirinale, dove Giuseppe De Rita e il suo gruppo di lavoro sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma De Rita svela, presentando il Rapporto, un colloquio privato nei giorni scorsi con Papa Francesco: “Il Papa dice che la realtà è nelle periferie e, in effetti, è quello che noi abbiamo cercato di fare in questi lunghi anni, per cercare di captare cosa cambiava nelle pieghe sconosciute della società italiana. Siamo stati a Prato per capire come si andava creando quel distretto industriale, decenni prima che arrivassero i cinesi. La verità di oggi è – precisa De Rita – che si è perso il fervore di operare. La società è sciapa perché manca il sale dell’alchimia, la capacità di determinare e accompagnare i processi di cambiamento. Rispetto agli anni del secondo dopoguerra, quelli della ricostruzione e del boom economico, oggi siamo più infelici perché non abbiamo più mobilità sociale, ognuno di noi vive in una collocazione sociale ferma”.
Senza speranza, quindi? No, un po’ di fervore esiste ancora in quella che una volta si poteva definire la cultura contadina, che oggi trova espressione nell’imprenditoria femminile per alcune produzioni agricole, si pensi ai vini; un po’ di fervore lo si trova nell’artigianato che sta facendo innovazione; lo si trova nel lavoro degli immigrati. De Rita: “E’ il momento di lanciare altre due sfide: la riforma del Welfare, inteso come welfare di comunità, welfare privato, contrattuale e associativo”, visto che il Welfare state si va esaurendo, anche per scarsità di risorse. La seconda sfida riguarda la digitalizzazione, un processo che va oltre l’Agenda digitale e che può fornire nuove opportunità di sviluppo.
“Ma c’è un filo conduttore che deve unificare il tutto: è la connettività – spiega De Rita – che risponde all’esigenza di mettersi insieme e la sopravvivenza è l’insieme delle nostre azioni connettive. Non parlo più di coesione sociale, in questa fase, ma di connettività, nella consapevolezza che essa non va verso l’alto, ma è orizzontale, esprime lo sviluppo nella continuità. Come Censis, parlo di orgoglio dimesso perché non abbiamo manie di protagonismo e se io fossi giovane andrei nelle periferie”.
I giovani navigatori nel mondo globale
Per Giuseppe Roma, direttore del Censis, “il lento scivolamento verso il basso si fermerà. Abbiamo attraversato un anno difficile, ma importante e il freno per non precipitare nel baratro lo danno le famiglie e le imprese. Famiglie che, pur essendo composte in media da 2,4 persone, in realtà stanno in una rete di 9 componenti tra parenti, nonni e nipoti. Otto milioni di famiglie in Italia si scambiano aiuti, è un Welfare familiare che risponde alla crisi. Ci si organizza anche per gli acquisti, mentre il punto dolente sta nelle indecisioni della politica, come nella vicenda dell’IMU: la pressione fiscale toglie risorse alle famiglie, ma la confusione toglie le certezze, crea insicurezze”. Anche Roma indica nelle donne, negli immigrati e nei giovani le possibilità di ripartenza per il Paese: “Un milione di famiglie ha un proprio congiunto all’estero, nel 45 per cento dei casi stabilmente all’estero. Ma niente fuga dei cervelli, basta con questa espressione, i giovani sono navigatori in un mondo globale”.
Il Presidente del Cnel Antonio Marzano ha così ricordato i 50 anni di lavoro del Censis: “Capire la società non è tempo perso, in questi anni c’è stato un intreccio continuo tra avanzamenti e regressioni, instabilità e tensioni sociali, con classi politiche non adeguate alla situazione. Il crollo non c’è stato soltanto perché milioni di italiani hanno perseguito l’obiettivo della sopravvivenza, ora si deve andare oltre la sopravvivenza. Abbiamo avuto la crisi economica più lunga perché si è determinata la sommatoria tra la crisi del mercato e la crisi dello Stato, non c’è stata compensazione”. Marzano ha confermato: “Il Cnel continua nel suo lavoro per capire i problemi della gente e rappresentarli alle Istituzioni, è il nostro compito”.
50 anni è mezzo secolo di vita del Paese e delle persone. Ne sono cambiate di cose e De Rita fa una battuta: “Quando 50 anni fa, per la prima volta ci venne in mente di sviluppare un lavoro del genere, un Rapporto annuale sulla società italiana, pareva un’idea bizzarra, ma qualcuno di noi, pensandoci bene, disse: se po’ fa”.
Allegati: 47° Rapporto Censis: le criticità legate a sistema di welfare e Mezzogiorno
Autore: Redazione FNOMCeO