Quest’anno ricorre il 50° anniversario della fondazione del Censis: era il 1964. Due anni dopo, il Centro studi investimenti sociali, fondato da Giuseppe De Rita, presentò il suo primo Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
E così, eccoci giunti al 48° Rapporto che, nelle sue considerazioni generali, scritte come sempre di pugno proprio da De Rita, balza subito in evidenza la descrizione di una società sempre più informe e sghemba anche nei pensieri. La metafora scelta quest’anno è quella delle sette giare (I poteri sovranazionali. La politica nazionale. Le istituzioni. Le minoranze vitali. La gente del quotidiano. Il sommerso. I media). Sette giare dentro ognuna delle quali c’è un gran fermento, ma le giare non comunicano tra di loro, chiosa De Rita: “Le sette giare sono sette mondi diversi, asimmetrici”. E il Rapporto va a vedere che succede in ciascuna giara.
I poteri sovranazionali. Siamo sempre più condizionati dal circuito sovranazionale, senza che mai corrisponda alle aspettative collettive. La finanza internazionale si regola e ci regola attraverso lo strumento del mercato con procedure che vivono di vita propria, senza innervare una reale dialettica con le realtà nazionali. E le autorità comunitarie, con i vincoli cui sono sottoposti gli Stati (direttive, controlli, parametri, patti di stabilità, fiscal compact), comportano una crescente cessione di sovranità (quasi una sudditanza), che spinge a un crescente egoismo nazionale e a un continuo confronto duro sui relativi interessi.
La politica nazionale. Non riuscendo a modificare i circuiti di potere sovraordinato, la politica è riconfinata nell’ambito nazionale, con la reazione di rilanciare il primato della politica. In una società molto frammentata e molecolare si era creato un vuoto di decisionalità e di orientamento complessivo. Su questo vuoto si è costruita un’onda di rivincita sulla rappresentanza, sui corpi intermedi, sulle istituzioni locali, stimolando così una empatia consensuale. Ma il primato della politica rischia di restare senza efficacia collettiva, a causa della perdita di sovranità verso l’alto e non avendo potere reale verso il basso, perché la volontà decisionale e la decretazione d’urgenza supportata dai voti di fiducia non sempre riescono a passare all’incasso sul piano dell’amministrazione corrente e dei comportamenti collettivi. La politica rischia di restare confinata al gioco della sola politica.
Le istituzioni. Vivono in una dinamica tutta loro: abbiamo grandi enti pubblici vuoti di competenze il cui funzionamento è appaltato a società esterne di consulenza o di informatica, personale pubblico (anche giudiziario) che sente la tentazione di fare politica o passa a occupare altri ruoli (di garanzia o di gestione operativa), un costante rimpallo delle responsabilità fra le diverse sedi di potere, rincorse infinite fra decisioni e ricorsi conseguenti. La giara sobolle in piena inefficacia collettiva.
Le minoranze vitali. I medio-piccoli imprenditori concentrati sull’export e sulla presenza internazionale nel manifatturiero, ma anche nell’agroalimentare, nel turismo, nel digitale, nel terziario di qualità, costituiscono un insieme variegato che si è rivelato molto competitivo. Tendono però a non fare gruppo. Preferiscono vivere ancorati alle loro dinamiche aziendali, con una durezza della competizione che alimenta il loro gene egoista, riducendo le relazioni verso l’esterno. I vari protagonisti si sentono poco assistiti dal sistema pubblico, così aumenta il loro congenito individualismo e si riducono le loro appartenenze associative e di rappresentanza.
La gente del quotidiano. È un altro mondo che vive di se stesso. Qui non c’è mobilità verticale, né perseguita singolarmente, né espressa in aggregazioni intermedie (sindacali, professionali, sociali). C’è una sospensione delle aspettative. È un terreno dove possono incubarsi crescenti diseguaglianze e imprevedibili tensioni sociali. Emerge solo la voglia dei nuovi diritti nella sfera individuale, con rivendicazioni soggettive (il diritto di avere un figlio anche in età avanzata, alla dolce morte, ad avere un matrimonio di tipo paritario) che però riguardano una minoranza attivista incapace di indurre grandi trasformazioni sociali, come era invece avvenuto negli anni ’70 (anni di grandi battaglie sui diritti, ma anche di grandi desideri collettivi).
Il sommerso. Consente a famiglie e imprese di reggere, è il riferimento adattativo di milioni di italiani. C’è una recrudescenza della propensione di tutti a nascondersi, proteggersi e sommergersi, che riguarda l’occupazione, la formazione del reddito, la propensione al risparmio, anch’esso sommerso, in nero, cash. Il mondo del sommerso rinforza così l’estraneità alle generali politiche di sistema.
I media. Incardinati al binomio opinione-evento, i grandi media si allontanano dal rigoroso mandato di aderenza alla realtà e di sua rappresentazione. E i media digitali personali rispondono sempre più alla tendenza dei singoli alla introflessione. La pratica diffusa del selfie è l’evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con esso.
Dalla metafora delle giare allo sforzo di interpretazione di De Rita: “Questo Paese ha capitale ma non lo sa agire e questa è la cosa più angosciante. Nessuno sa interpretare le aspettative, non c’è capacità di indurre aspettative e quindi di creare sviluppo. Gradatamente, non si è parlato più di sviluppo, ma di ripresa (che non c’è) e poi addirittura di “ripresina”. Questo vuol dire che manca un riferimento di orientamento. Questo è un adattamento alla mediocrità, un fenomeno che riguarda anche i singoli, le famiglie e le imprese. Oggi se si chiede a qualcuno: come va? La risposta più incoraggiante è: resistiamo, senza una prospettiva di futuro. Aumenta così la molecolarità del sistema –aggiunge De Rita- ormai vale il motto “ognuno per sé, Dio per tutti”, e aumenta la solitudine del singolo che non sa più dove andare. La verità è che non si crede più al ‘sistema’, non si ha una visione sistemica, come qualche decennio fa, oggi questa società è sempre più a-sistemica”. Riprende, De Rita, l’intuizione che fu di Zygmunt Bauman: “La società liquida liquefa il sistema, mentre, negli ultimi anni, la verticalizzazione della politica non ha funzionato, come non ha funzionato il federalismo. Siamo in piena crisi dell’approccio sistemico. E le sette giare sono ognuna per sé: dentro ognuna il movimento è forte, ma non esce nulla all’esterno. E nella società c’è anche una certa vitalità, ma con scarsa efficacia sociale”.
De Rita: recuperare cultura della politica
"Quarant’anni fa – ricorda De Rita – fummo i primi a individuare e cercare di interpretare il sommerso. Oggi abbiamo capito che il sommerso è un fenomeno strutturale che va gestito e non demonizzato”. Inevitabile un riferimento all’attuale momento politico e all’attivismo del Presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Non sono mai entrato in politica – spiega De Rita – ho sempre fatto il mio lavoro. Ma oggi affermo che occorre un recupero del ruolo trainante della politica, anche se soffre di un picco negativo di bassa reputazione e fiducia, di rancore diffuso, di anti-politica e di rabbia. Sarò in controtendenza, ma credo che la riaffermazione della politica sia oggi necessaria a patto che non si manifesti sotto forma di autoritarismo. Occorre autorità, ma l’autorità da sola non basta: c’è bisogno invece di politica paziente che muova le aspettative, che capisca gli orientamenti per poterli governare. Se non capisci e rappresenti il Paese, non puoi fare politica, non puoi governare, non puoi cambiare. Vedo nella politica di oggi tre pericoli: 1) una sorta di secessionismo sommerso (non più quello della Lega), ma un secessionismo strisciante, soprattutto in alcune città del Sud; 2) il populismo; 3) autoritarismo che naviga in tutta Europa. Per evitare incarognimento e incrostazione dei tre pericoli, occorre recuperare la cultura della politica, altrimenti la politica da sola non ce la fa”.
Valerii: combattere solitudine ed egocentrismo
A illustrare il Rapporto nel dettaglio, quest’anno, è stato Massimiliano Valerii, visto che l’ex direttore del Censis Giuseppe Roma è andato altrove, avviando un sua attività. Valerii, commentando dati e analisi, ha lanciato alcuni punti-chiave: l’atteggiamento attendista delle famiglie, che preferiscono tenere i soldi fermi nei conti correnti bancari (1219 miliardi); i consumi e gli investimenti immobiliari sono a picco, i più bassi dal dopoguerra; sono in atto strategie difensive di tutela individuale; famiglie sentono di non avere reti di protezione; capitale ‘inagito’ e sospensione delle aspettative; capitale umano che non si trasforma in capitale attivo; patrimonio culturale che non produce lavoro; crescita di estraneità e solitudine rispetto a una politica che rivendica il suo primato ma ha bypassato i corpi intermedi. Valerii ha poi descritto “un’Italia fuori dall’Italia, con il rischio di restare ai margini dell’economia mondiale, con i suoi svantaggi competitivi quali le difficoltà delle autorizzazioni e il gap della giustizia civile. Poi, gli italiani si fidano poco dell’Europa, mentre il brand Italia è ancora forte all’estero con una made in Italy che si conferma trainante, in particolare il settore dell’eno-gastronomia. Ma il rischio vero oggi – ha concluso Valerii – è la deflazione delle aspettative, lo spegnimento del desiderio che porta alla solitudine e all’egocentrismo”.
Autore: Redazione FNOMCeO