Censis: su Welfare e Sanità manca visione solidale

Tensioni, pulsioni, incertezze, scarsa prospettiva di futuro: il clima politico e sociale altalenante che ‘stringe’ in una morsa il Paese aleggia nel Parlamentino del Cnel durante la presentazione del 43° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, il tradizionale appuntamento del Censis, che quest’anno, in un 4 dicembre con la pioggia, assume una valenza speciale.

Sui temi generali ci torneremo con un approfondimento. Ma un assaggio su Welfare e Sanità lo si ha immergendosi un pò nel librone verde Censis di 688 pagine, almeno per vedere che aria tira: le tendenze, lo stato delle reti e dei servizi, in uno scenario in cui pesa la crisi economica generale.

Ed è proprio su questo punto che, in tema di Welfare e Sanità, il Censis sviluppa una sua prima considerazione: “L’impatto della crisi sembra sostanziarsi in un peggioramento delle possibilità di accesso ai servizi sanitari anche pubblici, che pesa di più proprio sui meno abbienti”. Come dire che la crisi potrebbe spingere il sistema di welfare e, in esso, il sistema sanitario verso scelte in cui potrebbe venir meno una visione solidale. D’altra parte, un’altra valutazione del Censis va tenuta presente, quest’anno: “Il rischio è che la combinazione della crisi economica, della razionalizzazione complessiva e dello sforzo suppletivo dell’adeguamento dei Piani di rientro finisca per penalizzare proprio quei cittadini che già pagano il costo di una sanità meno efficiente”.

I piani di rientro rimandano col pensiero agli sforzi di razionalizzazione della spesa sanitaria in quelle regioni dove si erano registrati i maggiori sfondamenti. L’altalenante andamento dell’economia e la caduta del PIL fanno pensare alle difficoltà di stabilizzazione della spesa e ad una accentuazione delle differenze tra regione e regione, con un welfare che si sposta verso il basso, in cerca di una dimensione territoriale sempre più vicina ai cittadini. “Gli effetti sono schizofrenici –afferma il Censis- perché alle persistenti difficoltà del modello di welfare community, si aggiunge il contrasto irrisolto tra pulsioni verticistiche e spinte devolutive; la Sanità è, ancora adesso, un terreno di battaglia tra spinte e controspinte, con negoziazioni sfiancanti e una irrequietudine crescente delle Regioni con buone performance e senza disavanzi”. Ma, alla luce di questi fenomeni, si tocca con mano, ormai, il rischio dell’acutizzarsi delle differenze non solo tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra regione e regione nella stessa area territoriale vasta. E a pagare di più per la crisi o le ricorrenti crisi finanziarie della Sanità nei vari territori sono sempre i cittadini più poveri. Spiega il Censis: “Quasi il 40% degli intervistati di livello socio-economico basso dichiara di essere stato costretto a rinunciare per motivi economici a prestazioni sanitarie, ed è di poco inferiore (37,8%) la quota di chi ha ridotto l’acquisto di farmaci a pagamento. Per i meno abbienti rimane solo il welfare che spesso comunque richiede un esborso economico: il 51,9% degli intervistati di livello basso e il 42,8% di chi si autocolloca ad un livello medio-basso si sono rassegnati alla lunghezza delle liste d’attesa senza poter sperimentare l’exit verso la sanità privata, spesso necessaria per accedere alle prestazioni in tempi brevi”.

Risposte? Scelte di priorità? Quest’anno il Censis indica che le priorità sulle quali far convergere le scelte per far compiere un salto in avanti al sistema sanitario sono due: “Il governo della non autosufficienza e la gestione della cronicità rappresentano le priorità di un sistema che risulta, invece, ancora disequilibrato, nel quale il bilanciamento tra ospedale e territorio è ancora un work in progress”. Tutti i dati dimostrano che è ancora fortemente centrale il ruolo dell’ospedale e che il ricorso all’ospedale è visto dai cittadini come l’unica cosa da fare in assenza di un sistema efficiente di cure primarie: “Gli accessi ai Pronto soccorso sono infatti stimati secondo i dati Istat in circa 55.000 al giorno. Solo nella regione Lazio gli accessi al Pronto soccorso toccano nel 2008 quota 2.125.823, e sono in gran parte ascrivibili a codici verdi (72,9%) e bianchi (9,7%)”.

Ed ecco l’interpretazione del Censis su questo aspetto: “La strutturazione odierna della primary care risulta in difficoltà, ancora troppo caratterizzata da accessibilità limitata, da isolamento professionale, da scarso coordinamento pluri-professionale. I medici di medicina generale, proprio in virtù dell’ampio favore di cui godono (gli italiani esprimono nel 2009 una soddisfazione largamente maggioritaria circa l’adeguatezza del servizio, pari al 75,9 per cento anche se con alcune notevoli differenze legate all’area geografica), rappresentano il fulcro e l’anima della ristrutturazione complessiva dell’organizzazione territoriale”.

Questo quadro delineato dal Censis dovrebbe essere tenuto a mente non soltanto dal Governo, ma soprattutto dalle Regioni, che, avviandosi verso la campagna elettorale per le elezioni del 28-29 marzo, potrebbero porre priorità e scelte nei programmi della prossima legislatura. Perché, nonostante queste criticità, resta sempre, in termini di macrodati, una realtà sanitaria italiana che viaggia con una spesa complessiva (dati 2008) di 106,650 miliardi di euro, di cui 106,104 miliardi relativi a Regioni e Province autonome e 546 milioni relativi agli enti finanziati direttamente dallo Stato. Nel 2008, l’incidenza della spesa sanitaria sul PIL è risultata del 6,8 per cento, mentre l’incremento della spesa è stato del 2,9 per cento, a fronte del 4 per cento dell’anno precedente. In compenso è diminuito il disavanzo complessivo dai 3.644 miliardi del 2007 ai 3.202 miliardi nel 2008.

La sensazione di una ‘realtà ristretta’ la si ha anche se si considera, sempre in termini di macrodati e di tendenze, che la realtà italiana è caratterizzata da meno risorse e più conflittualità nella distribuzione della spesa sociale, che, calcolata pro-capite, si attesta sui 5.743 euro con un incremento annuo dell’1,7 per cento. E’ sotto la media europea, anche se in termini percentuali occorre tener conto che il PIL italiano è cresciuto meno che in Europa. L’impressione complessiva è che per rimettere in sesto Welfare e Sanità occorra, in Italia, un resettaggio di robuste proporzioni. 

Autore: Redazione FNOMCeO

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