“È molto diffusa la percezione che la qualità dell’assistenza sanitaria pubblica si vada riducendo, con punte di grave malcontento nelle regioni meridionali. Il 49% degli italiani giudica inadeguati i servizi sanitari offerti dalla propria regione, ma la percentuale si riduce significativamente al Nord-Est (27,5%) e aumenta nettamente al Sud (72%). Seppure la maggioranza degli italiani ritiene che il Servizio sanitario della propria regione sia rimasto uguale negli ultimi due anni, in particolare al Nord-Est (70%), il 38,5% rileva un peggioramento, e ad avere questa opinione sono soprattutto i residenti del Mezzogiorno (46%)”.
Ancora una volta, il Sud è in condizioni critiche non solo per la crisi economica e per la disoccupazione, ma anche per quanto riguarda la Sanità. Resta il divario con il Centro-Nord del Paese, in particolare con il Nord-Est. Questi dati sono del Monitor Biomedico, l’indagine condotta periodicamente dal Censis, nell’ambito del Forum per la Ricerca Biomedica e presentati a Roma dal Vice-direttore del Censis Carla Collicelli, dal responsabile del Welfare del Censis Ketty Vaccaro, dal Presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi e dal Presidente del Censis Giuseppe De Rita.
SSN in peggioramento
“L’aspetto che pesa più negativamente nel rapporto con le strutture sanitarie pubbliche è la lunghezza delle liste d’attesa: è l’opinione del 64% degli italiani. Negativo è anche il giudizio sulla chiusura dei piccoli ospedali: il 67% si dichiara contrario, perché costituiscono un presidio importante (44%). Cresce la quota di coloro che reputano negativa l’attribuzione di maggiori responsabilità alle regioni (il 36% di oggi contro il 30,5% del 2012)”. E’ netta, nella declinazione del Censis, la percezione che gli italiani hanno del SSN: è in peggioramento, e questa percezione è ancora più marcata al Sud e nelle isole.
“A causa della crisi, nell’ultimo anno il 53% degli italiani si è rassegnato a sopportare tempi di attesa più lunghi per effettuare analisi, visite e cure mediche nelle strutture pubbliche. Ed è aumentato il «fai da te»: il 48% si è rivolto direttamente al privato per effettuare analisi, visite e cure a causa delle liste d’attesa, il 35% si è rivolto al privato per ricevere prestazioni di migliore qualità, e due terzi degli italiani hanno sostenuto spese di tasca propria, in particolare per il ticket sui farmaci (66%) e sulle visite specialistiche (45,5%), o per le prestazioni odontoiatriche private (45,5%)”. Crisi, peggioramento del SSN e aumento dei bisogni di salute di una popolazione sempre più anziana spingono verso il “fai da te” e accentuano le paure di vecchie e nuove patologie.
Paure: tumori, malattie cardiovascolari e neurodegenerative
“Le malattie che fanno più paura sono i tumori (63%), seguiti dalle patologie che provocano la non autosufficienza (31%), quelle cardiovascolari (28%) e quelle neurologiche (26%). Anche a questo proposito aumentano le forme di autoregolazione: per mantenersi in buona salute, il 44% della popolazione dichiara di seguire una dieta sana e il 19,5% vorrebbe farlo, ma non ci riesce. La prevenzione coinvolge una parte consistente di italiani: il 43% effettua controlli medici una o due volte all’anno, mentre il 14% li effettua ancora più spesso”.
Questa nuova ricerca del Censis conferma come sia cambiata l’informazione su Sanità e Medicina, soprattutto per la sempre maggiore diffusione di Internet. Dice il Censis: “Più del 70% degli italiani si ritiene molto o abbastanza informato sulla salute, ma cresce la quota di coloro che temono il rischio della confusione causata dalle troppe informazioni (il 54,5% contro il 41% del 2012). Il medico di base rimane la fonte di informazione più consultata dagli italiani (73%), seguito dallo specialista (27%). Ma cresce il ruolo dei media. La percentuale di italiani che almeno qualche volta traducono in comportamenti le informazioni sulla salute acquisite da tv, radio, giornali, internet è passata dal 30% del 2012 al 48% del 2014. Si tratta più frequentemente dell’acquisto di integratori e vitamine (35%) o farmaci (25%), ma anche di modifiche al proprio stile di vita (26%). A utilizzare internet come fonte di informazione sanitaria è ormai il 42% degli italiani. Di questi, il 78% usa il web per informarsi su patologie specifiche, il 29% per trovare informazioni su medici e strutture a cui rivolgersi, il 25% per prenotare visite, esami o comunicare tramite e-mail con il proprio medico”.
Fiducia nei medici e nei farmaci nell’era di Internet
La ricerca Censis conferma poi che “gli italiani hanno fiducia nei medici, ma l’aderenza alle prescrizioni da parte dei pazienti varia a seconda della gravità della patologia. Nel caso di malattie gravi, nel 90% dei casi le prescrizioni del medico vengono seguite scrupolosamente nelle dosi e nella durata. Se la malattia è meno grave, invece, aumentano l’empowerment, le decisioni soggettive e l’autogestione: la percentuale di coloro che rispettano alla lettera le indicazioni del medico scende al 57%”.
Appare evidente che il Ssn, in tempi di crisi economica e di spending review, presenti dei dati di finanza pubblica che non sono comprimibili, oltre a quanto non siano già stati sforbiciati negli anni scorsi. Ed è così, in particolare, per la farmaceutica. Spiega il Censis: “Gli italiani attribuiscono ai farmaci un ruolo importante sia nella lotta alle malattie (per il 37% la finalità principale delle medicine è proprio quella di guarire dalle patologie), sia rispetto alla gestione delle cronicità, visto che il 21% ritiene che i farmaci abbiano un ruolo importante nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti e nel garantire la possibilità di convivere a lungo con le malattie croniche. Per il 15,5% i farmaci devono svolgere una funzione di prevenzione delle malattie e per il 7% devono sconfiggere per sempre le patologie mortali. Il giudizio sul livello di copertura farmaceutica garantito dal Servizio sanitario nazionale è in prevalenza positivo, ma aumentano coloro che reputano insufficienti i farmaci garantiti dal Ssn: il 35% oggi contro il 31% del 2012. Il ticket è una tassa iniqua per il 45% degli italiani, uno strumento inutile per il 22% e solo il 33% ritiene che sia uno strumento utile per limitare l’acquisto di farmaci. Il 42% degli italiani ha comprato più frequentemente i farmaci generici rispetto a quelli con marchio commerciale nell’ultimo anno, ma il 45% dichiara di preferire il farmaco di marca (contro il 35% del 2012)”.
Gli interventi
Carla Collicelli ha spiegato che “il Forum per la Ricerca Biomedica conduce indagini molto ampie su tematiche che stiamo portando avanti da tempo. I dati di cui parliamo oggi rappresentano dei trend che sono confermati anche dall’Istat. Emerge forte il tema delle diseguaglianze, soprattutto di quelle territoriali, che si aggravano in conseguenza della crisi economica, ma anche per il razionamento delle risorse, fattori questi che incidono sulle opportunità di cura e che fanno delineare scenari di peggioramento del SSN”.
Ketty Vaccaro, in rapporto a come cambia la Sanità in questi anni di crisi, ha detto che “si assiste oggi a un’inversione di tendenza: paradossalmente è in diminuzione la spesa privata, che invece negli anni precedenti aumentava mentre diminuiva la spesa pubblica. Non è più così: c’è la tendenza al fai da te, ma al tempo stesso cala la spesa privata e questo è un effetto della crisi. I dati dimostrano che ci troviamo di fronte ad un nuovo paziente, più autonomo e responsabilizzato, che ricorre all’informazione mediatica, ma che ha tra le paure quella per la non autosufficienza”.
Per Massimo Scaccabarozzi, la domanda da porsi è: “Il SSN è ancora universalistico? Questo è un concetto da rivedere: in Sanità se si deve tagliare lo si deve fare dove ci sono gli sprechi. Non lo si può fare sulla farmaceutica, che da anni ha funzionato da bancomat per le casse dello Stato. Occorre poi ribaltare la visione secondo la quale l’innovazione è vista come un costo e non come investimento, perché è un investimento. Il ticket è ingiusto? E’ doppiamente ingiusto perché pagato due volte: dal cittadino e dall’impresa farmaceutica. L’aumento della scolarità e dell’informazione ha fatto aumentare le aspettative: gradualmente si è passati dal diritto alla cura al diritto alla salute e oggi al diritto alla qualità della vita. Aspettative in aumento sulle quali andrebbero calibrate le disponibilità finanziarie e la sostenibilità del sistema. E’ possibile? E’ vero che c’è più informazione e Internet, ma è aumentata anche la disinformazione. Tutti fattori, questi, che portano alla sintesi del titolo della ricerca dove convivono i concetti di insoddisfazione, arretramento e Sanità minimale. Invece dovremmo tutti puntare ad una Sanità ottimale”.
Giuseppe De Rita: “Dopo decenni di studi, dopo diverse riforme sanitarie, parlare oggi di Sanità minimale è stordente. In verità, è un ciclo che sta cambiando proprio sul tema dei diritti. Oggi il diritto è inteso come diritto individuale che si dilata: abbiamo perso il diritto alla cura in cambio della dilatazione di altri diritti. In un arco temporale di 40 anni, come cambia il corpo di una persona, cambia anche il corpo sociale: 40 anni fa era più forte e chiedeva di essere curato, oggi non è più così e chiede il diritto alla qualità della vita. Questo ci deve far riflettere se poi si tratta rapportare i mutamenti alle risorse finanziarie disponibili. Oggi la diseguaglianza sociale sta, oltre che nelle differenze economiche e territoriali, anche nelle diverse aspettative che attraversano la società”.
Autore: Redazione FNOMCeO